(Acronos)
> I punti di vista, osservare ed osservarsi, prendere coscienza>
Un compito singolare, durante le scuole, consisteva nel trovare coppie di proverbi che si contraddicessero. Pensavo che sarebbe stato difficile invece mi accorsi presto che ne esistevano molti. Ad esempio "l'unione fa la forza" e "chi fa da se fa per tre" oppure "chi non risica non rosica" e "chi si accontenta gode" ecc. ecc. Di per se ciò non dimostra nulla se non che non esiste una sola verità. Non mi riferisco alle illuminanti teorie sulla cosmogenesi o alle leggi che governa(no) l'uomo. Apriremmo un discorso senza fine e, forse, indimostrabile.
Il mio tentativo invece è quello di ragionare sull'utilità dello studio e della conoscenza, sull'importanza del discernimento del Cuore e non dell'intelletto, per raggiungere consapevolezza e liberare il nostro "Essere".
La conoscenza ci serve per progredire come uomini, per acquisire maggiore consapevolezza, che è coscienza ossia presenza a noi stessi a guisa di un bambino il quale usa le rotelle posteriori per imparare ad andare in bicicletta.
Ne "La Voce del Silenzio" si descrive chiaramente questa tappa sul sentiero della propria evoluzione. La Signora Blavatsky lo traduce come il "giardino della conoscenza", al quale si giunge dopo aver superato l'aula dell'ignoranza. In questo "giardino" ogni fiore rigoglioso ed inebriante ha un serpente arrotolato sul gambo che ci avvisa del pericolo che corriamo.
E' come se spinti dal Sacro bisogno di nutrirci prendessimo un coltello affilato per tagliare del pane. Se ci mettiamo a trastullare con l'arnese senza tagliare il pane rischiamo, appunto, di farci male perdendo di vista la sacralità del pasto, e questo è il grande errore. Quindi attraversiamo l'aula della cognizione e prepariamoci ad approdare nell'aula della sapienza. Come? Non esiste una risposta univoca, una panacea che guarisce ogni male, una ricetta unica da applicare a tutte le situazioni del quotidiano.
Bhagavadgita V 2) "La rinunzia e la devozione nell'attività conducono entrambe all'emancipazione, ma delle due la devozione nelle azioni è migliore della rinunzia delle azioni"
Lo sforzo continuo, riuscire ad essere sempre in contatto con la nostra parte Suprema, sta proprio nell'essere si consapevoli e presenti a se stessi ma cercare anche di "Essere" ed una delle strade Maestre per "Essere" è proprio quella della rinuncia. Ci deve essere chiaro che per rinuncia si deve intendere non la rinuncia dal compiere azioni, sarebbe un invito alla pigrizia ed alla nullafacenza bensì l'azione compiuta con spirito caritatevole e disinteressata e non per i propri comodi ma al "servizio" degli altri; rinuncia dunque al "frutto" delle azioni.
Bhagavadgita II 45) "I Veda hanno attinenza con tutto ciò che dai tre Guna* (Sattwa, Rajas e Tamas; n.d.r.) è prodotto; o Arjuna, sempre coraggioso e padrone di te, indifferente all'ottenere e al conservare i beni mondani, innalzati al di sopra degli effetti dei tre Guna e dei Contrari"
Secondo la filosofia induista le varie forme di materia nell'universo sono il prodotto di un'unica sostanza (PRAKRITI). Questa sostanza è formata dai GUNA ovvero da attributi o qualità: SATTWA che è bontà e purezza, RAJAS che è passione e attività, TAMAS, oscurità ed ignoranza. Il sistema Vedanta ritiene che queste qualità siano illusorie e che non appartengano alla realtà del Supremo Spirito. La filosofia Sàhnkya invece ritiene che questi tre attributi sono in se stessi, non qualità, ma ingredienti essenziali o sostanze elementari costituenti l'ultima materia, e che questa materia è permanente sebbene distinta dall'eterno Spirito o Purusa
(Jinarajadasa note alla Bhagavadgita)
Gli attributi valgono in egual misura per la conoscenza, oltre che per l'azione. Esistenza Sattwa tutte come uno ; Rajas tutti distinti ; Tamas uno come tutto
- Il ponte -
Io mi figuro questo percorso che ci porta all'Essere come un ponte, un ponte luminoso che dalla Consapevolezza ci porta alla Sapienza, un ponte che inizia col Sapere (conoscenza), passa sul Saper Fare (azione) ed infine finisce nell'Essere (rinuncia).
Sappiamo, quando siamo consapevoli, Sappiamo fare se meditiamo, non per bearci di quell'estasi, o peggio ancora per fuggire dalle difficoltà della vita bensì se meditiamo continuamente le nostre scelte e le nostre azioni. Non esiste un decalogo per vivere nel segno di Dio se non Vivere nel segno di Dio, tagliare il pane, dividerlo con tutti i fratelli e con le tutte le sorelle e mangiarlo, giorno per giorno nel quotidiano.
- La meditazione -
Ma torniamo all'Essere, alla estremità del ponte alla quale dobbiamo giungere, dopo aver attraversato il Saper Fare, attuato con la meditazione, alla quale giungiamo con la consapevolezza, ovvero con la presenza a noi stessi (coscienza) e con gli strumenti della conoscenza.
Jiddu Krishnamurti può aiutarci a capire meglio il concetto di meditazione poiché spesso si ha una idea imprecisa di essa:
La meditazione non è un'attività dell''isolamento, ma l'azione nella vita quotidiana che esige cooperazione, sensibilità ed intelligenza. Senza il fondamento di una vita retta la meditazione diventa una fuga e non ha alcun valore.
La meditazione non è l'essere assorti in qualche idea o immagine grandiosa ... La mente meditativa è vedere, osservare, ascoltare senza la parola, senza commento, senza opinione - attentamente e costantemente - il movimento della vita in ogni suo rapporto; allora sopraggiunge un silenzio che è negazione del pensiero, un silenzio che l'osservatore non può richiamare. Se ne facesse esperienza, riconoscendolo, non sarebbe quel silenzio. Il silenzio della mente meditativa non è nei confini dell'individualità, e non ha frontiere.
- La meditazione è un movimento incessante -
La meditazione non è ai tuoi ordini. La sua benedizione non ti viene perché conduci una vita per così dire sistematizzata o segui una particolare routine o morale. Viene solo quando il tuo cuore è veramente aperto. Non aperto dalla chiave del pensiero, non reso sicuro dall'intelletto, ma quando è aperto come il cielo senza nuvole; allora viene senza che tu lo sappia, senza che tu la chiami. Ma non puoi mai custodirla, possederla, adorarla. Se cercherai di farlo, non verrà più, ti eviterà. Nella meditazione tu non sei importante, non occupi un posto; la sua bellezza non sei tu, la sua bellezza è in sé. E non puoi aggiungervi nulla. Non devi spiare dalla finestra sperando di prenderla di sorpresa, né sederti in una stanza buia ed attenderla; viene soltanto quando tu non sei là, e la sua benedizione non ha continuità..."
(Jiddu Krishnamurti)
Queste affermazioni rappresentano perfettamente la dottrina del cuore, descritta ne "La Voce del Silenzio", che è opera dell'anima ed è ben diversa dalla dottrina dell'occhio che è opera dell'intelletto ed è fatta di conoscenza la quale se fine a se stessa rischia di essere arida.
Quindi se riusciamo a raccoglierci nella nostra consapevolezza, padroni dei moti dei nostri pensieri, consci sia di osservare sia di essere oggetto dell'osservazione e fondere questi due aspetti "illusori" raggiungere una coscienza che vibra col cosmo, al di sopra dei tre guna e dei contrari, in un unico Essere che vive in armonia col tutto, abbiamo infine attraversato l'aula della sapienza.
Attraverso l'Amore dunque, liberi dall'egoismo, dalle distonie, dall'impazienza, dall'attaccamento e dalla menzogna, giungiamo alla pura meditazione la quale appunto viene da sé come un moto del Cuore e non del cervello. E' interessante notare la corrispondenza dei sette peccati capitali (la gola, la lussuria, l'avarizia, la superbia, l'accidia, l'invidia e l'ira) con il corpo fisico e alla corrispondenza delle sette virtù (la forza, la sapienza, la giustizia, la temperanza; la fede, la speranza e la carità) con lo spirito dal punto di vista dei veicoli di queste forze.
La Voce del Silenzio "Non compiere un atto di pietà è compiere un peccato mortale"; "Ti asterrai tu dall'azione? Non così sarà liberata l'Anima tua".
Bhagavadgita III 47 "L'azione soltanto ti concerne, non mai i frutti di essa;
tuo movente non sia il frutto dell'azione, né vi sia in te propensità all'inazione".
- Ma come arriviamo alla rinuncia al frutto dell'azione? -
Noi operiamo continuamente delle scelte, in ogni momento del quotidiano e nel momento in cui agiamo siamo consapevoli, avendo preso piena coscienza di noi stessi, se facciamo qualcosa per noi, per il nostro tornaconto personale o se per puro spirito di servizio e carità. Se ci dimentichiamo dell'Amore incondizionato a tutti, noi compresi, consci di essere parte del tutto e col tutto una cosa sola, senza distinzioni, rimarremo legati ad un ritorno positivo e ci legheremo di nuovo al permanente ed illusorio e non sapremo accettare nel giusto modo i successi e le sconfitte della vita. "L'aspettativa" è la vera ingannatrice dentro di noi. C'è un proverbio che dice: fai del bene e scorda, fai del male e pensa. Qualsiasi attesa di un tornaconto nel nostro agire ci contamina. L'Intenzione è fondamentale. Solamente sacrificando il nostro interesse per beneficare gli altri nell'Amore attraverso il servizio sapremo evolverci.
Bhagavadgita III 9 "Questo mondo è legato dalle azioni, all'infuori di quelle di sacrifizio; perciò, o Kaunteya, libero da attaccamento, con tale scopo di sacrifizio compi ogni azione"
Il vero sacrificio, inteso come rendere sacro qualcosa (sacrum facere) avviene quando l'azione non ha un movente egoistico ma spassionato, alla quale si partecipa come un osservatore.
Bhagavadgita III 13
I buoni che mangiano i resti del sacrificio sono liberati da tutti i peccati; ma, i malvagi che preparano il cibo unicamente per se stessi si nutrono di peccato.
Il non attaccamento al frutto delle nostre azioni è il metro per misurare la nostra evoluzione.
Quanto più riusciamo a beneficare in maniera completamente disinteressata, ed in questo a provare vera Gioia, anziché sofferenza, senza nessun secondo fine egoistico, tanto più il lavoro che stiamo facendo conduce per il verso giusto. In quest'ottica la nostra capacità, in termini di qualità, di rinunciare al frutto delle nostre azioni ci da la misura della nostra evoluzione personale lungo il sentiero.
Se invece di "Essere", di anelare verso una coscienza superiore, di operare nell'ottica del servizio, ci soffermiamo a "pensare" ai nostri interessi, saremo sempre vincolati ad un concetto di "ritorno" personale e non daremo spazio alla nostra energia di fluire in armonia con gli altri e col tutto. Non c'è niente di buono o di cattivo per se, è proprio per questo che non esiste una regola unica, se non l'Amore, ma solo un collocamento delle cose al di fuori del loro contesto. Essere capaci di mettere ogni e qualsiasi oggetto al suo posto giusto significherà, dunque, liberarsi dal male. Conoscere la giusta relazione della parte con l'intero è dunque il mezzo per trascendere la dualità di 'bene' e 'male'. "Innalzati al di sopra dei tre guna e dei contari, e dei contrari, la dualità, il caldo e il freddo, il bene e il male ecc.
Bhagavadgita V 3) Quegli che non ha avversioni o desideri dev'esser ritenuto un perpetuo asceta, poiché, o Mahabahu, chi è libero dai contrari, facilmente si libera dai legami.
7) Colui che è dedito alla devozione, che è puro di mente, che domina la propria natura, che domina i sensi, che identifica il suo sé con quello di tutte le creature, quantunque agisca non è contaminato.
Rimanendo legati al nostro tornaconto, al nostro egoismo non saremo mai liberi, se ci aspettiamo qualcosa dal nostro agire non saremo mai veramente liberi di agire.
I grandi santi come ad esempio San Francesco sono grandi perché per loro la rinuncia è stata, ad un certo punto, naturale, semplice, facile. Il risveglio di S.Francesco parla chiaro. Nel momento in cui egli ha abbandonato le cose terrene si è liberato.
Attenzione però perché osservare dall'esterno S.Francesco ci mostra l'effetto e non la causa della sua illuminazione. S. Francesco non si è messo a tavolino a studiare e poi, trovata la soluzione, ha cercato di metterla in pratica. S.Francesco ha sentito, ha saputo ascoltare la voce del silenzio, dopo aver ucciso e goduto della vita mondana e fugace, e nella Gioia austera ha trovato l'Amore. S.Francesco, come anche Milarepa, un altro mistico che ha fatto della rinuncia la sua ragion di vita, il santo più venerato in Tibet, vengono da un passato fatto di gravi errori, colpe grandi, e, l'immagine del fiore di loto, che nasce in acque stagnanti, e che sboccia senza che i petali tocchino l'acqua, rappresenta magnificamente la loro vita e il loro cambiamento.
- E' l'armonia col tutto che determina un equilibrio -
In oriente, specialmente in Giappone, la parola "problema" non esiste, nessun ideogramma esprime questo concetto prettamente occidentale. Al suo posto viene usata la parola "opportunità". Ogni difficoltà in effetti è vista come l'opportunità di mettere in gioco se stessi e migliorarci anziché divenire motivo di frustrazione o sofferenza. Possiamo considerare questa trasformazione come la vera alchimia spirituale da porre in opera dentro di noi. Tanto più sapremo trasformare le difficoltà della vita in opportunità tanto più riusciamo a dare un senso positivo alla nostra esistenza. Come? La domanda nasce nella visione del "problema" dal punto di vista dell'opportunità. "QUALE OPPORTUNITA' MI SI STA OFFRENDO CON QUESTO PROBLEMA?" Il punto interrogativo è rappresentato come un orecchio, è un orecchio. La risposta infatti arriva dal silenzio e quindi dall'ascolto di noi stessi come parte di un tutto.
- Il ritorno del Re -
Il ritorno del re è il percorso del Bodhisattwa, di colui che rinuncia alla cosa più grande, al premio del regno dei cieli, meritato con l'Amore vero, perfetto, per tornare ad occuparsi del mondo, sotto tutte le forme con una coscienza suprema. Intravedo il Cristo redentore che avendo percorso il sentiero fino all'Altissimo, dopo aver raggiunto il Padre ed essergli seduto accanto sulla destra, resuscita dai morti per raccontare, in mezzo ai vivi, la Buona Novella.
- L'intelligenza emotiva -
Se sentiamo di essere un tutt'uno non possiamo prescindere dalle nostre emozioni che spesso invece ci fanno tremare e non solo di Amore. L'intelligenza emotiva, l'ultima frontiera tra gli scienziati e la prima tra i popoli che vissero 5000 anni fa su questa stessa terra, è la capacità di equilibrare in maniera armonica, viva, espansa e rilassata la nostra sfera logica e razionale e la nostra sfera emozionale. Per fare questo dobbiamo scoprire, sottolineo la parola scoprire, non imparare, non c'è proprio nulla da imparare, ma solo scoprire di vedere col Cuore attraverso una interazione positiva con gli altri e con noi stessi, portando ad esempio sul luogo di lavoro capacità intuitive, sincronicità e positività, unità per dirla con una parola sola.
Ma voi non vedete né udite e questo è bene
Il velo che offusca i vostri occhi sarà sollevato dalla mano che lo ha tessuto.
E la creta che ostruisce le vostre orecchie sarà rimossa dalle dita che l'hanno impastata.
E voi vedrete.
E voi udirete.
Ma non rimpiangerete di aver conosciuto la cecità, né di essere stati sordi.
Poiché in quel giorno vi sarà rivelato il fine nascosto. E benedirete l'oscurità come avete benedetto la luce. (Kahlil Gibran)
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