> > (di Satprem) > > Quando ci si siede, con gli occhi chiusi - per fare il silenzio mentale - > si > è immediatamente invasi da un torrente di pensieri che sorgono da tutte le > parti, in maniera confusa e aggressiva. Non esiste un manuale con diversi > metodi per venire a capo di questo baccano infernale; non c'è che da > tentare > e tentare ancora, pazientemente, ostinatamente. Soprattutto non c'è da > commettere l'errore di lottare mentalmente contro la mente; bisogna > spostare > il centro. > > Ciascuno di noi possiede al di là della mente, o ancora più in profondità, > un'aspirazione; quella stessa aspirazione che ci spinse verso il sentiero > dello yoga. Un bisogno intimo dell'essere, come se fosse una parola > d'ordine > con virtù solamente per noi, per noi soli. Aggrappandoci a questa > aspirazione, il lavoro riuscirà più facile giacché passeremo da > un'attitudine > negativa ad un'attitudine positiva. Più ripeteremo la nostra parola > d'ordine, > più essa acquisterà potenza. Ma si può ricorrere anche ad un'immagine, > come > per esempio: quella di un mare immenso, senza una sola increspatura, sul > quale ci abbandoniamo galleggiando fino a divenire parte di quella > tranquilla immensità. Ci si lascia andare, dolcemente, seguendo il moto > ondoso fino a che, a poco a poco, si viene assorbiti da quella tranquilla > pace. > Avremo in tal modo non solo il silenzio, ma anche l'allargamento della > coscienza. > > Ognuno deve trovare il metodo che più gli si addice e quanto più completo > sarà l'abbandono, più presto si riuscirà. > > Si può cominciare con qualsiasi sistema - che normalmente richiederebbe un > lungo lavoro - ed essere afferrati fin dal principio da un rapido > intervento > o da una manifestazione del silenzio, e ottenere effetti assolutamente > sproporzionati ai mezzi utilizzati. S'incomincia con un metodo, ma il > lavoro > è preso in mano da una grazia proveniente dall'alto, da ciò a cui si > aspira > o dall'irruzione delle immensità dello Spirito. In questo modo io stesso > ho > trovato il silenzio assoluto della mente, inimmaginabile per me prima di > aver avuto l'esperienza concreta (Sri Aurobindo, On Himself, 1953 pag. > 135). > > Abbiamo toccato qui un punto di singolare importanza, giacché saremmo > indubbiamente tentati di pensare che queste esperienze yogiche sono > veramente belle e interessanti, ma che in fondo sono ben lontane dalla > nostra umanità ordinaria. Com'è possibile che noi - così come siamo - > possiamo arrivare fin là? L'errore consiste nel fatto che si giudica con > un > "sé attuale" delle possibilità che appartengono ad un altro "se stesso". > Infatti, per il solo fatto di essersi messi in cammino, lo yoga sveglia > automaticamente una gamma di facoltà latenti e di forze invisibili che > vanno > molto al di là delle possibilità esteriori del nostro essere e che possono > fare per noi quello che normalmente saremmo incapaci di compiere. > > E' necessario chiarificare il passaggio tra mente esteriore ed essere > interiore... perché la coscienza yogica e i suoi poteri sono già in voi > (D. > K. Roy, Sri Aurobindo Came to Me, 1952, pag.219) e il miglior sistema per > "chiarificare" è quello di fare il silenzio mentale. Non sappiamo ancora > chi > siamo e nemmeno quello di cui siamo o non siamo capaci. > > Ma, gli esercizi di meditazione, a dire il vero, non sono la vera > soluzione > del problema - quantunque, al principio, la loro spinta sia necessaria per > dare l'impulso - perché potremmo anche arrivare ad un relativo silenzio, > ma... appena messo il piede fuori dalla nostra stanza o dal luogo di > isolamento scelto per la meditazione, ricadremmo ancora una volta nella > ressa abituale e continuerà l'eterna separazione del 'di dentro' dal 'di > fuori', della 'vita interiore' dalla 'vita mondana'. Noi abbiamo bisogno > di > una vita completa, abbiamo bisogno di vivere la verità del nostro essere, > tutti i giorni, in ogni momento, non solamente qualche volta oppure nella > solitudine. > > Rischiamo di incrostarci nella nostra reclusione spirituale... e dopo, > trovar difficile proiettarci al di fuori, vittoriosamente, per applicare > alla vita quello che avremo conquistato nella Natura Superiore. Quando > vorremo annettere questo regno dell'esterno alle nostre conquiste interne, > ci troveremo troppo abituati ad un'attività puramente soggettiva e non > potremo esercitare una pressione efficace sul piano materiale. > > Avremo gran difficoltà a trasformare la vita esteriore e il corpo. Oppure > ci accorgeremo che la nostra azione non risponde alla luce che ci illumina > interiormente, ma che obbedisce ancora ai vecchi imperfetti influssi; un > abisso doloroso separerà ancora la Verità che è in noi, dal meccanismo > ignorante della nostra natura esteriore... come se vivessimo in un altro > mondo, più vasto e più sottile, ma senza presa divina, o può darsi senza > presa di nessuna specie sull'esistenza materiale e terrestre (Sri > Aurobindo, > The Synthesis of Yoga, 1955 pag. 105). > > La sola possibile soluzione è quindi di praticare il silenzio mentale > nell'ambiente > e nel posto dove apparentemente sembra più difficile: in strada, in > metropolitana, al lavoro e ovunque. Invece di passare quattro volte al > giorno per il Boulevard Saint Michel come poveracci stanchi e obbligati a > camminare svelti, si può passare le stesse quattro volte coscientemente, > come ricercatori. Invece di vivere in un modo qualsiasi, sperduto in una > moltitudine di pensieri - non solamente privi di interesse, ma che > esauriscono sfibrando l'essere - si possono riunire i fili sparsi della > coscienza e lavorare, lavorare su se stessi ad ogni istante. Allora la > vita > comincerà a prendere interesse, un interesse assolutamente inaspettato, > perché le minime circostanze diventeranno l'occasione di una vittoria su > se > stessi. Avremo allora un orientamento, sapremo dove andare invece di > camminare alla cieca. > > Lo yoga non è una maniera di fare, ma una maniera di essere. > > (Adattato da: Satprem. Sri Aurobindo. L'avventura della coscienza. > Galeati. > Imola. 1968 )
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