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SCHEDA ARTICOLO N. «00494»

CLASSIFICAZIONE: 3
TIPOLOGIA: YOGA
AUTORE: KASTURI
TITOLO: HO VISTO SAI BABA TRASFORMARE SABBIA, IN PERLE.
SPAZIATORE bianco

TESTO ARTICOLO

Tratto da:

KASTURI



(OTTANTACINQUE ANNI SOTTO L'ATTENTO
SGUARDO DEL SIGNORE)

EDIZIONI MILESI



[...]

Giungemmo alla determinazione di trascorrere il resto della vita in quel
venerato santuario, che è Prashanti Nilayam: un'atmosfera invitante,
vibrante di fraternità, di felicità, di carità, di quell'amore che tutto
avvolge, tutto comprende. Eravamo felici d'esser salpati per una terra
fresca e calma, e decidemmo di gettarvi l'ancora.

Eravamo una cinquantina di residenti; per i canti del mattino e della sera,
si univano a noi circa altri venti visitatori. Certi giorni, i capi dei
villaggi limitrofi venivano coi contadini del luogo per sottoporre a Baba le
loro controversie e per invocarne una risoluzione, oppure ricorrevano a Lui
per una benedizione su qualche nuova impresa commerciale da intraprendere.
Gli portavano davanti gli armenti dell'anno, affinché la Sua benedizione ne
garantisse una lunga vita e buona salute.

Ricordo un vecchio, che al suo arrivo Baba salutò con un'espressione di
caloroso benvenuto. Costui era stato un testimone della fanciullezza di Baba
a Puttaparthi, ma in seguito all'impiego del figlio presso gli uffici
governativi di Penukonda, si era dovuto allontanare.

La sua devozione, però, era così intensa che, almeno una volta ogni quindici
giorni, affrontava un viaggio lungo e faticoso per recarsi alla divina
Presenza. Baba conversava per ore con lui sulla disciplina spirituale, sugli
eroi e i santi delle sacre epiche, sui luoghi santi, e si informava della
sua salute e della felicità di figli e nipoti. Durante i bhajan, da
qualunque parte lo scorgesse, si alzava dalla poltrona argentea e andava a
sedersi vicino a lui. All'ombra degli alberi del mandir conversavano in
atteggiamento molto affabile. Ricordo che un giorno Baba mi disse:

"Questo Thirumalappa è uno dei pochi che supplicava i genitori di
riconoscere e rispettare la Mia Realtà come incarnazione divina. Allora ero
proprio un fanciullo".

Durante quegli anni, Baba al pomeriggio, verso le quattro, scendeva dalla
Sua stanza che si trovava al primo piano. Era ormai un orario di routine. A
destra degli edifici c'erano otto appartamenti, a sinistra cinque e nella
parte posteriore c'era una fila di sei camere singole. Queste ultime erano
tanto vicine al mandir che, quando il vento girava capricciosamente, gli
odori della cucina andavano a finire nella sala dei bhajan.

Scendendo, Baba si fermava un istante tenendoci tutti col fiato sospeso,
mentre noi ci chiedevamo quale direzione avrebbe preso. Poi, però, arrivava
repentina la decisione su chi avrebbe benedetto per primo. Quanto ci faceva
felici! Entrava in ogni casa per allietare con alcuni minuti della Sua
presenza coloro che vi abitavano. Ogni giorno, a mezzodì, preparavamo la
casa per accoglierLo: si spazzava, si risciacquava, si spolverava, si
predisponevano delle decorazioni sul pavimento e alle porte venivano appese
delle foglie verdi.

In ogni casa per Lui c'era sempre una sedia artistica e confortevole,
disposta su un tappeto, insieme con un basso poggiapiedi. Su un altarino
ricavato da una nicchia nel muro o nell'angolo di una stanza c'era sempre
accesa una lampada di metallo. Ogni famiglia teneva una graziosa scatoletta
per il pan ad uso personale di Baba, e noi Gli procuravamo delle foglie
verde chiaro di pan, del supan dolcemente aromatico e del cedro alla rosa.

Ognuno di noi, senza batter ciglio, teneva lo sguardo fisso in attesa che
spuntasse la tunica arancione e la corona di capelli. Raramente, nel Suo
misericordioso giro, trascurava una casa, dove la Sua visita, che seguiva la
precedente, era data quasi per scontata. La mia casa era sulla destra del
mandir. Baba aveva per celia soprannominato quella fila di appartamenti
"Brindavan", che significa "giungla", accentuando la terza sillaba, poiché
dietro il nostro blocco di case c'era una siepe spinosa che ci separava
dalla strada percorsa dai villici per recarsi al fiume; la fila di case sul
lato sinistro l'aveva battezzata "Gokulam", ossia stalla, o mandria, poiché
la struttura prominente era un recinto per poche mucche.

Sovente si prendeva gioco di noi, fingendo in un primo momento di entrare e
dirigendosi poi con una piccola smorfia verso l'appartamento del vicino. Noi
eravamo sommersi fra risa e pianti di commozione. Eravamo verdi d'invidia
allorché ci scavalcava per preferire la persona della porta accanto e
quando, spesso, ci esasperava facendoci udire fragorose risate provenienti
da là.

Egli poi addolciva il tutto con la grazia dei Suoi giochi e canti. Intanto
noi, però, ci mordevamo la lingua per aver perso l'occasione di assistere
alle ilari battute da Lui provocate. Poi, tutt'a un tratto, scendeva una
cortina di silenzio, che poteva durare cinque o anche dieci strazianti
secondi. S'era alzato? Stava uscendo? Veniva da noi? Stava masticando del
pan, o bevendo del succo d'arancia? Camminava per la stanza guardando i
quadri appesi? No; normalmente, quando lo fa, canticchia. Sarà andato in
cucina. Ah! Ecco, questo è il rumore della porta che dà accesso al cortile.
Forse sta guardando verso la capannina dove abita Venkappa, Suo "padre"...
Starà scendendo i tre gradini di pietra e dirigendosi verso la strada
polverosa?

Non osavamo spiare attraverso la porta socchiusa della cucina. Sarebbe stato
un sacrilegio. Come potevano le nostre fragili congetture sondare le Sue
possibilità infinite? Ah, ecco! Qualcuno ha bussato alla porta della nostra
cucina. È Lui. Entra canticchiando una canzoncina che scioglie
immediatamente la tristezza. È un canto composto dal santo Purandara Das
cinquecento anni or sono in kannada, lingua tanto cara alle nostre orecchie,
e comincia così: "Non dubitare del Signore". Una rassicurazione e un
ammonimento.

Un altro giorno, Baba si recò nel cortile del primo appartamento del
"Brindavan" ma, mentre noi stavamo sbirciando verso quella parte nel
tentativo di sorprenderLo, al momento preciso in cui sarebbe spuntato dalla
porta della casa di fronte, fece in modo di passare per la loro porta
posteriore e, camminando inosservato lungo una strettoia tra il numero sei e
il sette, dalla parte opposta sopraggiunse silenzioso alle spalle di me,
povero ingenuo.

Fasciandomi gli occhi con le Sue mani per farmi la più dolce delle sorprese,
mi chiese: "Chi è?". Una cascata di lacrime fu la mia risposta. Bambinate?
Il gioco di moscacieca fra un trentenne e un sessantenne? Proprio così. La
Sua forma fisica era al meriggio della giovinezza, ma la sostanza contenuta
era quella di un bimbo, il Bambino che era venuto per scherzare e far
cambiamenti; il Bambino venuto a rivelare l'ipocrisia dell'homo sapiens e a
render consapevole l'umanità dell'inganno a cui essa si è tanto tenacemente
attaccata.

Una leggenda narra di un imperatore altero che cavalcava su un cavallo
riccamente bardato, seguito dalla sua magnifica guardia d'onore e dai
cortigiani, ma indossando abiti così diafani che era come fosse nudo. In
verità, uno scaltro tessitore gli aveva promesso di vestirlo con l'abito più
sottile e prezioso e, dato che i sudditi lo guardavano a lungo per la sua
nudità, egli credeva di essere osservato per la sua magnificenza. Nessuno
trovava il coraggio di rivelargli l'oscena verità, finché un innocente
bambino cominciò a gridare: "Perché l'imperatore è nudo?".

Baba è il Bambino venuto per smascherare il vuoto della teologia accademica
e ampollosa, e per metterci in ridicolo sino a quando non ci renderemo conto
della Realtà che siamo. Il Divino Bambino, col Suo tenero palmo, applica il
balsamo della benedizione rinfrescante sui nostri occhi arrossati
dall'invidia e accecati dall'ira. Quand'Egli ci copre gli occhi, l'occhio
interiore perde la sua cecità. A quel punto non ci sarà più divisione; ci
sarà solo la Sua visione che, ad ogni istante, ci chiede: "Chi sono?". È il
Bambino che ci trascina a Sé con puro amore e immacolata saggezza.

I bambini del mondo vedono sé stessi come il centro dell'Universo e il mondo
come un prolungamento della loro esistenza. Il Bambino Divino sa che è così.

I bambini arrivano nel mondo senza alcun nome; quando arrivano, siamo noi
che applichiamo loro un'etichetta. Baba, il Divino Bambino ha detto: "Io non
ho nomi, ma rispondo a tutti i nomi. Non dichiaro Mio alcun posto, giacché
appartengo a tutti i posti. Io sono dovunque sia desiderato".

I bambini sono molto assorti nel presente, e Baba ci ricorda: "II passato è
passato. Non voltatevi mai a guardare con malinconia e rimpianto una strada
che avete già percorso".

I bimbi non badano alle barriere del mondo; a loro non importano la Muraglia
Cinese, o il Muro di Berlino o i muri eretti per ripicca. I bambini si
lasciano coinvolgere da qualunque cosa e da chiunque: sono l'immagine
dell'innocenza, dell'amore, del perdono e della fraternità. Un bambino non
ha alcun pregiudizio, né prova disprezzo di alcun genere. Il Bambino Divino
afferma: "Io sono uomo tra gli uomini, donna fra le donne, bambino tra i
bambini"; un'affermazione che riecheggia nelle Upanisad, quando danno una
descrizione di Dio: "Tu sei la donna, tu sei l'uomo, tu sei la ragazza, tu
sei il vegliardo che si regge al bastone".

I bambini si divertono a far scorrere la sabbia fra le dita. Il Bambino - e
io l'ho visto - un giorno prende una manciata di sabbia del Chitravathi e la
trasforma in un libretto, la Bhagavad Gita. A Cape Comorin, laddove le rive
sono bagnate da tre mari, ho veduto la sabbia trasformarsi in perle, mentre
Egli vi camminava gioiosamente sopra. Ho visto emergere una statua d'oro
massiccio di 18 pollici. Il Bambino ci stimola a ritornare bambini, in modo
da poter star sempre insieme con Lui.

La consapevolezza di questa verità, col trascorrere degli anni, si faceva
sempre più chiara in me e persiste ancor oggi, mentre Egli è cinquantenne e
io sull'ottantina. La giocosità è una caratteristica specifica del rapporto
fra Dio e l'uomo. "Ho creato il mondo per Mio piacere", scrisse Baba. E, in
un'altra occasione, ebbe a dire: "Io dirigo questo teatro di burattini, e mi
ci diverto". I Suoi passatempi preferiti: pungere e far scoppiare bolle
d'ego, demolire castelli in aria, giocare a nascondino. L'esortazione di
questo Fenomeno divino: "Amate la Mia incertezza". Chi potrebbe essere più
imprevedibile d'un bimbo? A volte elargisce dei laddu, gettandoli al volo
nelle mani dei devoti; a volte compie lo stesso gesto, ma con la mano vuota,
divertito per lo sconforto causato; e subito dopo gliene dà due, con una
pacca sulla spalla per lenire la delusione del momento.

Mi ricordo una sera, nel 1959, in cui mandò qualcuno a prendermi per essere
introdotto nella Sua stanza al mandir. Baba mi disse che l'editore di un
settimanale pubblicato a Hyderabad gli aveva chiesto una mia fotografia,
perché la voleva pubblicare sulla sua rivista insieme ad un articolo che mi
avrebbe presentato come redattore del Sanathana Sarathi. E Baba gli aveva
promesso che gliene avrebbe inviata una. Perciò mi diede qualche minuto per
prepararmi; Egli stesso mi avrebbe scattato la foto con una nuova macchina
fotografica, che aveva scelto proprio per quel preciso scopo. Ah! la mia
gioia era sconfinata. Mi sentivo al settimo cielo. Scesi di corsa i diciotto
gradini e corsi a casa per darmi una riassettata al look.

Nel giro di pochissimi minuti, con un gran sorriso, tornai alla Sua
Presenza.

Baba mi prese per le spalle e mi mise in posizione alla giusta distanza;
guardò attraverso l'obiettivo e si congratulò con me per il mio viso
fotogenico. Ero entusiasta all'idea che il mio viso sarebbe apparso davanti
agli occhi di almeno trentamila lettori dell'Andhra Pradesh. Il mio sorriso
si trasformò in un sorriso a trentadue denti. Baba mi avvertì con un
"Pronti?"; poi premette il pulsante e...

...dalla macchina fotografica saltò fuori un nero peloso sgorbio con una
coda vistosa e andò a finire sul mio collo. Strillai e balzai in un angolo
della stanza, mentre cercavo di togliermi di dosso quell'orribile, irsuto...
ma cos'era? un sorcio?... morto?... No. Era semplicemente un topo di cotone,
che era stato messo burlescamente nella finta macchina e sganciato pigiando
l'otturatore. Di fronte al mio panico, Baba rise a crepapelle e, per
allentare la tensione, anch'io mi misi a ridere.

Mi rimproverò con garbo per aver bevuto la storia, che aveva inventato
apposta per sgonfiarmi l'ego. Mi fece notare che il fatto d'essere un
redattore non era una notizia a cui il mondo potesse mostrar interesse. La
celebrità che non tramonta non andava ricercata attraverso le riviste che il
mattino dopo son carta straccia, ma nel servizio di Dio e dei santi.

Lasciai la stanza, un po' più curvo, ma più saggio. La misericordia di Baba
ci aiuta gradualmente e sottilmente a levarci di dosso il peso dell'ego.
Egli condanna la falsa modestia, definendola come una semplice posa che mira
ad ottenere attenzione ed ammirazione per sé stessi. Ci esorta ad essere
semplicemente noi stessi, senza nasconderci dietro alcuna maschera.

"Quale condizione vorresti ottenere più elevata di quella d'essere il mezzo
per impacchettare e spedire ogni mese il Mio messaggio a migliaia di
devoti?", mi chiese.

Baba è un Sole troppo fulgido per occhi umani. Possiamo crogiolarci e
bagnarci ai raggi del Sole, ma non possiamo guardarlo. Perché l'uomo possa
assimilarne l'aurea magnificenza, il Sole stesso deve attenuare il proprio
splendore e trasformarsi in un bellissimo disco rosseggiante.

Così pure, Baba ci consente di gettare frequentemente degli sguardi alla Sua
Gloria.

[...]

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