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SCHEDA ARTICOLO N. «00626»

CLASSIFICAZIONE: 2
TIPOLOGIA: BUDDISMO
AUTORE: FONTE: ILGIARDINODEIPENSIERI.COM
TITOLO: INTRODUZIONE AL PENSIERO BUDDISTA: PARTE PRIMA
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TESTO ARTICOLO

INTRODUZIONE AL PENSIERO BUDDISTA: PARTE PRIMA

Antologia di testi filosofici buddhisti
tratta dal "Canone Pali" >

dall'ex sito
http://www.ilgiardinodeipensieri.com

Introdurre un'esposizione del pensiero buddhista ad un pubblico di lettori
italiani non è cosa facile, soprattutto considerando che quanto ci
accingiamo a presentare verrà letto, soppesato e valutato da persone che
operano nella scuola, che ogni giorno si confrontano con problemi concreti,
la cui soluzione spesso richiede un continuo e faticoso rimettersi in gioco,
come insegnanti e come persone.

Nonostante il dibattito e il confronto tra Occidente ed Oriente non sia una
novità dell'ultima ora e il Buddhismo, nei suoi variegati aspetti ed
implicazioni, abbia fatto ingresso nella cultura europea ed italiana da
almeno trent'anni, la filosofia buddhista non è stata mai presa seriamente
in considerazione nell'ambito dei programmi scolastici.

Proponendo alla vostra attenzione questo lavoro, non ci aspettiamo certo di
rimediare ex abrupto ad una mancanza che non spetta certo a noi giudicare
tale e che richiede ben altro impegno e profondità d'intenti. Ci
accontenteremmo di aprire una finestra su un altro modo di concepire il
mondo e il posto che in esso spetta all'uomo, un modo così diverso e nello
stesso tempo così dialetticamente ricco rispetto alla nostra tradizione
filosofica e culturale che non potrà esimerci dal provare quella meraviglia,
su cui, come insegnano gli antichi, poggia ogni progresso intellettuale e
spirituale.

Di esposizioni del pensiero buddhista, sia a livello divulgativo che
accademico, sono piene le librerie e le biblioteche. Chi volesse
accostarvisi per semplice curiosità o per più fondati motivi di studio, in
mancanza di una guida sicura, sarebbe costretto ad affidarsi al caso o al
proprio personale intuito. A complicare la questione, contribuisce
senz'altro la grande messe di scuole e discipline più o meno coerenti
nell'ispirazione dottrinale e contigue nella dimensione spazio-temporale
della storia del Vicino e Lontano Oriente. Il Buddhismo, come movimento
religioso e spirituale, o semplice stile di vita e di pensiero, nel corso
dei secoli si è diffuso da un capo all'altro del continente asiatico,
dall'India, alla Cina, alla Thailandia, al Giappone, dando vita a civiltà e
culture tradizionali diverse, in un arco di tempo lungo 25 secoli.

Rintracciarne i comuni fondamenti non è impresa delle più semplici. Ogni
civiltà nel tempo ha collezionato una propria tradizione testuale e
letteraria, prima in pali, un dialetto della sub-continente indiano
derivante dall'antico sanscrito, poi in cinese e nelle altre lingue
asiatiche.

Dalla congerie di documenti a disposizione degli studiosi emergono con una
certa chiarezza, tre punti fondamentali: la storicità del Buddha, vissuto
intorno al VI secolo a. C.; il costituirsi alla morte del Buddha di una
vasta comunità di discepoli in grado di fondare una solida tradizione orale
del suo insegnamento; il confluire di questa tradizione orale in una
documentata tradizione scritta tra il I secolo a. C. e il II secolo d. C.

Siddharta, il Buddha storico, apparteneva alla nobile famiglia dei Shakya,
regnante su un distretto dell'India nord-orientale alle pendici della
catena hymalaiana nell'attuale Nepal. La sua vita si svolse in questa
regione. Più tardi, quando il Buddhismo si diffuse verso sud, le
testimonianze tramandate per secoli da generazioni di monaci e fedeli laici,
furono raccolte nel cosiddetto Canone Pali, dal nome della lingua in cui fu
redatto. A tutt'oggi il Corpus degli scritti conosciuto come Canone Pali è
in uso, come raccolta di testi sacri, presso i monaci buddhisti di Ceylon,
dell'India meridionale e del Sud-Est asiatico, Thailandia e Birmania,
rappresentanti del Piccolo Veicolo (Hinayana), termine col quale si indica
la prima, originaria espansione del Buddhismo storico (in contrapposizione
col Grande Veicolo (Mahayana), la successiva espansione della religiosità
buddhista nelle regioni nord-orientali dell'Asia, in particolare Cina e
Giappone).

Si tratta, pertanto, della più antica e più autorevole fonte scritta in
nostro possesso. Il Canone è immenso: consta di migliaia e migliaia di
pagine, ordinate in volumi e 'ceste' di volumi.

Era nostra intenzione partire da una raccolta di testi, una piccola
antologia da sottoporre all'attenzione del lettore principiante, invertendo
la tendenza assai diffusa, per evidenti ragioni divulgative, di presentare
commenti ed esposizioni 'manualistiche' a prescindere completamente dalla
lettura dei testi originali, oppure includendone brani scelti nel corpo
testuale dell'esposizione. Una tendenza seguita pedissequamente,
soprattutto nelle scuole, anche per la filosofia occidentale, e che solo da
alcuni anni a questa parte è stata combattuta con successo col ribadire la
centralità del testo filosofico rispetto alle sovrastrutture argomentative e
critiche.

Durante un viaggio in un paese dell'Estremo Oriente, chi scrive è venuto in
possesso, per puro caso, di un libro edito dalla Buddhist Promoting
Foundation, un'Associazione nipponica senza scopo di lucro che da molti anni
persegue il fine di diffondere la conoscenza del pensiero buddhista
attraverso un'antologia di testi, ricostruita sulla base del Canone Pali.

Il libro in questione, pubblicato con testo a fronte inglese-giapponese nel
1992 (ma la prima edizione risale al 1966) e intitolato The Teaching of
Buddha, fa esattamente al caso nostro, poiché unisce il lavoro sulle fonti,
che non saremmo in grado di svolgere, date le insormontabili barriere
linguistiche, con quello preziosissimo della selezione e della
riproposizione delle stesse in un tessuto espositivo organico e ben
strutturato.

I testi che seguono sono stati tradotti dall'inglese. Trattandosi di una
traduzione di una traduzione e non potendo accedere altrimenti alle fonti
originali (accuratamente citate passo per passo dagli autori) non possiamo
accampare alcuna pretesa di scientificità, per quanto il libro in questione
e l'Associazione da cui è stato pubblicato sembrino offrire buone garanzie
di affidabilità ed autorevolezza.

Nella traduzione italiana, grazie all'esperienza acquisita nel corso degli
anni dalla lettura di altre opere filosofiche buddhiste, si è cercato di
riprodurre, per quanto possibile, lo stile e le cadenze letterarie proprie
dell'originale, senza trascurare di utilizzare un lessico comprensibile per
il lettore italiano che si intenda di filosofia.

Col tempo, fatta salva la centralità del testo, ci si sforzerà di
costruirgli intorno un reticolo di note e commenti allo scopo di chiarire
alcuni concetti chiave del pensiero buddhista e di proporre all'attenzione
del lettore alcune questioni teoretico-comparative condivise con la
tradizione filosofica occidentale

La vita di Shakyamuni Buddha

1. Il clan degli Shakya dimorava lungo il fiume Rohini che scorre tra le
colline a sud della catena dell'Himalaya. Il loro re, Shuddhodana Guatama,
stabilì la capitale a Kapilavastu, fece costruire un grande castello e
governò saggiamente, meritandosi il favore del suo popolo.

La regina si chiamava Maya. Era la figlia dello zio del re, che regnava su
un distretto confinante dello stesso clan Shakya.

Per vent'anni essi non ebbero figli. Ma una notte la regina Maya fece uno
strano sogno, nel quale vedeva un elefante bianco entrarle nel ventre
attraverso il lato destro del petto, e divenne gravida. Il re e il popolo
attendevano con impazienza la nascita di un principino. Seguendo la
tradizione, la regina fece ritorno alla casa dei genitori per partorire, e
lungo la strada, sotto un bel sole primaverile, decise di riposarsi nel
Giardino di Lumbini. Tutto intorno a lei era un fiorire festoso di Ashoka.
Deliziata, allungò il braccio destro per strapparne un ramoscello e così
facendo diede alla luce un principe. La natura circostante esprimeva una
profonda delizia, glorificando la regina ed il bimbo regale; cielo e terra
ne gioivano. Questo giorno memorabile era l'otto di aprile.

Incomparabile fu la felicità del re. Al figlio diede il nome di Siddharta,
che significa "Ogni desiderio è stato pienamente realizzato".

2. Nel palazzo reale, tuttavia, la felicità fu subito seguita dallo
sconforto, poiché, pochi giorni dopo, l'amata regina Maya morì
improvvisamente. La sorella minore, Mahaprajapati, divenne la madre adottiva
del bimbo e lo tirò su con cura ed amore.

Un eremita, chiamato Asita, che viveva sulle montagne poco distanti, notò
che dal castello si levava un chiarore straordinario. Interpretandolo come
un buon auspicio discese al palazzo e gli fu mostrato il bimbo. Così
predisse: "Questo principe, se rimane a palazzo, da adulto diverrà un
grande re e soggiogherà il mondo intero. Ma se abbandona la corte per
abbracciare una vita religiosa, sarà un Buddha, il Salvatore del mondo".

In principio il re accolse con piacere questa profezia, ma in seguito iniziò
a preoccuparsi della possibilità che il suo unico figlio lasciasse il
palazzo per diventare un monaco errante.

All'età di sette anni il Principe cominciò a prendere lezioni sulle arti
civili e militari, ma i suoi pensieri erano più naturalmente orientati verso
un altro genere di cose. Un giorno di primavera uscì dal castello in
compagnia del padre. Insieme stavano osservando un contadino intento
all'aratura,
quando notò un uccello piombare al suolo e carpire via un piccolo lombrico
che era stato rigirato dall'aratro del contadino. Il principino si sedette
all'ombra di un albero e ripensò alla scena, mormorando tra sé e sé:

"Ahimè! Tutte le creature viventi si uccidono l'un l'altra?"

Il Principe, che aveva perduto la madre subito dopo la nascita, fu
profondamente colpito dalla tragedia di queste minuscole creature.

La ferita infertagli nello spirito diventava sempre più profonda giorno dopo
giorno, man mano che cresceva; come una piccola cicatrice sul tronco di un
giovane albero, la sofferenza insita nella vita umana finì con l'imprimersi
a fondo nella sua mente.

La preoccupazione del re cresceva sempre di più, poiché egli teneva a mente
la profezia dell'eremita e tentava in ogni modo possibile di consolare il
Principe, volgendo altrove i suoi pensieri. Pertanto, decise che il figlio,
compiuto il diciannovesimo anno, avrebbe sposato la Principessa Yashodhara,
la figlia di Suprabuddha, signore del castello Devadaha e fratello della
defunta regina Maya.

3. Per dieci anni, nei diversi Padiglioni di primavera, autunno e della
stagione delle piogge, il principe fu immerso in giri di musica, danza e
piacere sensuale, ma sempre i suoi pensieri tornavano a fissarsi sul
problema della sofferenza ogni qual volta si sforzasse di afferrare il vero
significato della vita umana.

"I lussi del palazzo, questo corpo forte e sano, questa giovinezza ricolma
di gioia! Cosa significano tutte queste cose per me?" andava meditando tra
sé e sé. "Un giorno potremmo ammalarci, e in ogni caso dobbiamo invecchiare;
non c'è scampo dalla morte. L'orgoglio della giovinezza, l'orgoglio della
salute, l'orgoglio di esistere; le persone assennate dovrebbero gettar via
tutto ciò".

"Un uomo che lotta per l'esistenza sarà naturalmente portato a cercare
qualcosa per cui valga la pena spendere la propria vita. Ci sono due modi di
cercare: un modo giusto ed uno sbagliato. Se cerca nella maniera errata,
costui sarà obbligato comunque a riconoscere che malattia, vecchiaia e
morte sono inevitabili, ma bramerà con tutte le forze il loro opposto.

Se cerca nella maniera giusta, comprenderà la vera natura di malattia,
vecchiaia e morte, e fonderà il senso della vita in ciò che trascende tutte
le umane sofferenze. Nella mia vita di piaceri e mollezze sto percorrendo, a
ben guardare, il sentiero sbagliato".

4. Questo travaglio spirituale afflisse continuamente il principe fino al
giorno in cui nacque il suo unico figlio, Rahula, ed egli compì ventinove
anni. Tale evento segnò inequivocabilmente il punto di svolta, poiché
Siddharta decise di abbandonare il palazzo e cercare la soluzione al dilemma
che lo affliggeva votandosi alla vita vagabonda del mendicante. Così una
notte lasciò il castello in compagnia del suo auriga, Chandaka, e del suo
cavallo preferito, Kanthaka, bianco come la neve.

L'angustia che lo attanagliava non ebbe fine e molti demoni lo tentarono
rivolgendogli suadenti parole: "Faresti meglio a ritornare sui tuoi passi,
al castello, giacché il mondo intero potrebbe presto appartenerti". Ma egli
rispose al tentatore che non bramava in cuor suo il mondo intero. Così, col
cranio rasato volse i suoi passi verso sud, portando con sé solo una ciotola
da mendicante.

Innanzitutto, il principe fece visita all'eremita Bhagava e osservò le sue
pratiche ascetiche. Quindi, si recò presso Arada Kalama e Udraka Ramaputra
per apprendere i loro metodi finalizzati al conseguimento
dell'Illuminazione
attraverso la meditazione; ma dopo aver praticato con loro per un certo
periodo di tempo si convinse che non lo avrebbero condotto
all'Illuminazione.
Infine, partì per la provincia di Magadha e si diede alle pratiche ascetiche
dimorando nella foresta di Uruvilva sulle rive del fiume Nairanjana, che
scorre presso il villaggio di Gaya.

5. I metodi della sua pratica furono incredibilmente rigorosi. Pungolava il
suo spirito con il fiero intento che "nessun asceta nel passato, nessuno nel
presente e nessuno nel futuro, hanno praticato né praticheranno con maggiore
forza e concentrazione di quanto faccia io".

Tuttavia Siddharta non riusciva ancora a centrare il suo obiettivo. Dopo sei
anni trascorsi nella foresta abbandonò definitivamente la pratica
dell'ascetismo.
Andò a prendere un bagno nelle acque del fiume e accettò una ciotola di
latte dalle mani di Sujata, una fanciulla che viveva nel vicino villaggio.
I cinque compagni che avevano condiviso con il principe i sei anni di dure
pratiche ascetiche furono turbati e indignati dal fatto che egli osasse
prendere del latte dalle mani di una fanciulla; disprezzarono quella che ai
loro occhi sembrava debolezza e lo abbandonarono.

Così il principe fu lasciato solo. Si sentiva ancora debole, ma pur correndo
il rischio di perdere la vita, affrontò un altro periodo di meditazione,
dicendo a sé stesso, "Il sangue Pu anche prosciugarsi, la carne decadere e
le ossa giacere sparpagliate qui intorno, ma giammai abbandonerò questo
luogo finché non avrò scoperto la via che conduce all'Illuminazione".

Ebbe inizio una lotta intensa e senza tregua. La disperazione fece breccia
nel suo spirito e lo empì di pensieri confusi, ombre tenebrose pendevano sul
suo capo, e si ritrovò stretto d'assedio dalle lusinghe dei demoni. Con
attenzione e pazienza le esaminò una per una e le rigettò tutte. Fu una
battaglia durissima, al punto che il suo sangue scorreva sempre più
rarefatto, la carne andava sfaldandosi e le ossa erano sul punto di
rompersi.

Ma quando la stella del mattino apparve nel cielo ad oriente, la lotta era
terminata e la mente del principe era chiara e luminosa come il giorno
nascente. Alla fine, egli aveva trovato la via che conduce
all'Illuminazione.
Era l'otto dicembre, quando Siddharta divenne un Buddha all'età di
trentacinque anni.

6. Da qual giorno in poi il principe fu conosciuto con nomi differenti:
c'era
chi parlava di lui come del Buddha, Colui che è Perfettamente Illuminato,
Tathagata; altri lo appellavano Shakyamuni, il Saggio della casata Shakya;
altri ancora "Colui che l'intero mondo onora".

Per prima cosa, egli diresse i suoi passi verso Mrigadava nel Varanasi dove
si trovavano i cinque monaci che avevano trascorso con lui i sei anni della
sua vita ascetica. Al principio essi lo evitarono deliberatamente, ma dopo
che ebbero parlato con lui, gli prestarono fede e divennero i suoi primi
discepoli. In seguito si recò al castello di Rajagriha e convertì alla sua
causa il re Bimbisara che gli si era sempre dimostrato amico. Da qual
momento in poi, se ne andò vagando per la regione sostentandosi di elemosine
ed insegnando agli uomini ad accettare il suo modo di vivere.

E la gente si rivolse a lui come l'assetato agogna acqua e l'affamato cibo.
Due grandi discepoli, Sariputra e Maudgalyayana e i loro duemila seguaci si
convertirono alla sua dottrina.

Al principio il padre del Buddha, re Shuddhodana, ancora sofferente nel
profondo del cuore a causa della decisione del figlio di abbandonare il
palazzo, mantenne le distanze, ma in seguito divenne un suo fervente
discepolo. Mahaprajapati, la madre adottiva del Buddha, la principessa
Yashodhara, sua moglie, e tutti i membri del clan degli Shakya iniziarono a
seguirlo. Col passare del tempo, i suoi devoti e seguaci divennero
moltitudini.

7. Per quarantacinque anni il Buddha andò in giro per la regione pregando e
persuadendo uomini e donne a seguire la sua dottrina. Ma giunto alla
venerabile età di ottant'anni, nei pressi di Vaisali lungo la strada che
collega Rajagriha a Shravasti, cadde ammalato e predisse che entro tre mesi
sarebbe entrato nel Nirvana. Si mise nuovamente in viaggio finché non
raggiunse Pava dove la sua malattia si aggravò ulteriormente per aver
mangiato del cibo offertogli da Chunda, un fabbro. Comunque, a dispetto
della grande sofferenza e debolezza, egli raggiunse la foresta che confina
con Kusinagara.

Giacendo tra due grandi alberi di sala, egli continuò ad ammaestrare i suoi
discepoli fino all'ultimo momento. Così il Buddha, dopo aver portato a
compimento il suo lavoro di maestro, il più grande che la storia ricordi,
entrò nello stato di quiete assoluta.

Sotto la guida di Ananda, il discepolo favorito del Buddha, il suo corpo fu
cremato dagli amici a Kusinagara.

Sette sovrani delle province confinanti oltre al re Ajatasatru chiesero che
le reliquie fossero divise tra di loro. Il popolo di Kusinagara in un primo
tempo si oppose e la disputa rischiò di trasformarsi in guerra aperta; ma
grazie ai buoni consigli di un saggio chiamato Drona, la crisi rientrò e le
reliquie furono ripartite tra gli otto grandi regni. Le ceneri della pira
funeraria e la giara di terracotta che conteneva le reliquie furono donate
ad altri due sovrani per essere onorate alla stessa maniera. Così vennero
erette dieci grandi torri per commemorare il Buddha e per conservare le sue
reliquie e ceneri.

L'ultimo discorso del Buddha

1. Sotto gli alberi di sala a Kusinagara, appressandosi la fine, Buddha
rivolse queste ultime parole ai suoi discepoli:

"Fate di voi stessi una luce. Contate su voi stessi, e non siate dipendenti
da nessun altro. Lasciatevi guidare dai miei insegnamenti come da una luce.
Fate affidamento su di loro e non legatevi a nessun'altra dottrina.
Considerate bene il vostro corpo: abbiate sempre presente la sua impurità.
Ben sapendo che tanto il dolore quanto il piacere sono parimenti causa di
sofferenza, come potete essere indulgenti verso i suoi desideri?
Considerate bene il vostro 'io': riflettete sulla sua transitorietà; come
potete esser delusi da ciò che sempre muta, coltivare orgoglio ed egoismo,
sapendo che tutto ciò conduce inevitabilmente alla sofferenza? Considerate
bene tutti gli esseri che consideriamo sostanziali; è forse possibile
trovare in mezzo a loro un qualche 'sé' permanente? Cosa sono se non
aggregati che presto o tardi si sbricioleranno in tante parti e si
perderanno nel nulla? Non lasciatevi confondere dall'universalità della
sofferenza, ma seguite il mio insegnamento, anche dopo la mia morte, e
sarete liberi dalla sofferenza. Fate questo e sarete davvero miei
discepoli".

2. "Miei discepoli, gli insegnamenti che vi ho donato non dovranno mai
cadere nell'oblio né esser abbandonati. Sono da conservare come un tesoro,
da meditare e da mettere in pratica. Se batterete questa via sarete sempre
felici".

"Il cuore della dottrina consiste nel controllo della vostra mente. Se
riuscirete a dominare i pensieri e a gettar via l'egoismo, manterrete una
condotta di vita giusta, la mente pura e il parlare degno di fede. Se
terrete sempre a mente la transitorietà della vita, sarete in grado di far
fronte all'egoismo e alla paura, ed eviterete tutti i mali e le sofferenze
che da essi derivano".

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