43. I discepoli gli dissero: «Chi sei tu per dirci queste cose?». «Non capite chi sono da quello che io vi dico. Siete diventati come gli ebrei, che amano l'albero ma odiano il frutto, o amano il frutto ma odiano l'albero.»
Questo Loghion presenta delle difficoltà. Per prima cosa la traduzione che presenta una <> e non un <>.
Siete diventati come gli ebrei, che amano l'albero ma odiano il frutto E (AYO) amano il frutto ma odiano l'albero.»
Gli studiosi non hanno accettato il paradosso della congiunzione <> e hanno supposto che essendo il testo tradito una traduzione dal greco che a sua volta sembra basarsi su un originale in aramaico o siriaco, che dell'aramaico è una variante dialettale, che la congiunzione sia frutto di un fraintendimento della particella che ha per segno una wau e che può essere letta <> o <>. Nel primo caso ha valore di congiunzione nel secondo di particella avversativa.
Mi spiego meglio. Le lingue semitiche quali l'ebraico, il siriaco, l'aramaico hanno la particolarità che la scrittura, in genere, preserva solo la struttura consonantica. Questa è una grande differenza fra queste lingue e quelle europee. Le vocali, che animano la struttura consonantica, le mette, sulla base della confidenza della lingua che il parlante di lingua madre ha il lettore. A volte una struttura consonantica congiunta con una vocalizzazione ha un senso, congiunta con un'altra ne assume uno diverso.
Questo certamente non significa che la lettura sia suscettibile di stravaganze o che il lettore possa avere una liberta di gran lunga maggiore della nostra. Ma sicuramente questa particolarità rende la lettura più flessibile. Inoltre avendo le consonanti un valore numerico, servono per fare le operazioni matematiche, una parola che ha una cifra può, secondo delle regole particolari essere considerate, in alcuni contesti interpretativi, come sostituibile con un'altra di eguale peso numerico.
In questo loghion si pensa che una originaria wau del testo aramaico del Vangelo di Giuda Tomaso o una sua variante siriaca possa aver generato l'imbarazzante congiunzione egiziana <>.
A me la congiunzione <> non mi imbarazza. Mi imbarazza il <>. Il Deconik che ha dedicato numerosi studi di finissima erudizione su questo Vangelo e che si è sforzato di ricostruire il nucleo originario di esso che, secondo lui, è prossimo al principio del primo secolo d.c. non esita a considerarlo una aggiunta al Kernel Gospel of Thomas. La ragione è semplice. Gesù era un ebreo non un cristiano, e parimenti ebrei e non cristiani erano i suoi discepoli. Negli atti c'è la memoria storica del travaglio che ha portato la comunità cristiana primitiva che ancora permaneva nell'ambito dell'ebraismo a separarsene. Quel <<<> appare come il segno di una separazione già realizzata e quindi seriore al Kernel Gospel.
Un altro Vangelo, quello di Filippo, verso il principio dice <cristiani abbiamo avuto padre e madre>>. Un altro testo ancora il Trattato Tripartito, di scuola valentiniana, fa una disamina fra i pagani, gli ebrei e i cristiani ponendoli in una scala ascendente al cui primo o, a seconda dei punti di vista, <> son posti i pagani.
Sembra, almeno a me pare, che questo uso non abbia una connotazione spregiativa, del resto se io percepissi una parvenza di disprezzo in un testo verso una componente umana non esiterei a buttarlo nel cesso e tirare lo scarico. Dico questo perché ci sono alcuni dell'estrema destra antisemita che invece ci tengono a leggere queste espressioni non come il segno di stati di coscienza, simboli che Gesù non vuole affatto usare in modo spregiativo o di condanna verso una componente umana, ma proprio come affermazioni che sanciscono una inferiorità prima razziale e poi coscienziale di una componente umana.
L'AYO per me non significa altro l'incapacità di vivere compiutamente il paradosso. I discepoli dimostrano di non comprendere di non cogliere chi è Gesù in realtà. Se nelle parole di Gesù ci fosse dispregio condanna verso l'ebreo i suoi discepoli parteciperebbero dello stesso disprezzo, della stessa condanna.
Sembra che occorre amare sia l'albero, che il suo frutto. Se amiamo il frutto Gesù, il Salvatore, il Soter, non possiamo disprezzare il Padre, YHVH, il Dio di Israele, da cui è promanato così come alcuni antisemiti che magari pure negano di esserlo vorrebbero. Se amiamo il Padre non possiamo disprezzare il Figlio.
Ma i piani di lettura dei questo amore che non si imbarazza ad amare la totalità possono essere molteplici. Non possiamo amare l'universo e disprezzare l'uomo, o la creatura. Se la manifestazione nel suo complesso è il volto di Dio, se è il veicolo di una Luce segreta, alza la pietra e lì mi troverai, spezza un legno e mi incontrerai, non possiamo disprezzare la singola creatura, perché essa è tempio della Luce. Si potrebbe continuare a cogliere altri angoli visuali ma quel che a me piace evidenziare e che quella imbarazzante congiunzione sembra porre in evidenza l'incapacità di un amore compiuto, totalizzante, onnicomprensivo. L'ebreo, che lungi dall'essere semplicemente il segno di una componente umana è per me, alla luce anche di quanto si può leggere nel tripartito il segno di uno stato di coscienza, è CONSAPEVOLE che deve amarsi sia l'albero che il frutto ma ne è incapace perché non universalizza il suo amore e finisce per amare la singolarità a scapito dell'universalità.
La Brihadaraniaka Upanishad, una delle Upanishad più antiche riporta la storia dell'amore di Yaginavalkya e sua moglie Maitrey. <moglie che si ama la moglie>> dice Yajinavalkya <>.
Oppure si ama l'universalità e non si riesce ad amare la singolarità. Sembra che la perfezione sia riuscire a essere al centro di questi flussi e riflussi d'amorose corrispondenze.
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