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SCHEDA ARTICOLO N. «00919»

CLASSIFICAZIONE: 3
TIPOLOGIA: YOGA
AUTORE: SWAMI KRIYANANDA
TITOLO: DESCRIZIONE DEL PRIMO INCONTRO DI SWAMI KRIYANANDA CON IL MAESTRO
SPAZIATORE bianco

TESTO ARTICOLO

SWAMI KRIYANANDA

IL SENTIERO

Autobiografia di uno yogi occidentale, discepolo di Paramahansa Yogananda

Traduzione di MAURO MERCI

EDIZIONI MEDITERRANEE - ROMA

Parte Prima

Capitolo 16

IL PELLEGRINO INCONTRA LA GUIDA

Giunsi a Los Angeles la mattina di sabato, 11 settembre 1948, esausto per il
lungo viaggio. Approfittai qui della prima occasione che mi si offriva da
quattro giorni di radermi e prendere un bagno e proseguii poi con l'autobus
verso sud per i centosessanta chilometri circa che mi separavano da
Encinitas, la piccola citta' sulla costa dove avevo letto che Yogananda
aveva stabilito il suo eremo.

Nel fervore della prima lettura mi era chissa' come sfuggito il fatto che
egli aveva fondato un'organizzazione su scala mondiale. Probabilmente, senza
esserne cosciente, mi ero "sintonizzato" in modo da non cogliere questa
informazione, a causa del mio inveterato timore di trovare anche qui una
religione istituzionalizzata.

Questo piccolo eremo sul mare era per me tutto quello che esisteva al mondo
della sua opera. Arrivai ad Encinitas nel tardo pomeriggio, troppo stanco
per proseguire subito verso l'eremo. Scesi in un albergo e crollai
letteralmente sul letto assegnatomi, dove dormii per dodici ore filate. Al
mattino dopo mi avviai verso l'eremo della SRF, camminando per forse un
chilometro e mezzo fra pittoreschi e variopinti giardini piantati a erba
diacciola e buganvillee. Molti dei fiori che vedevo erano nuovi per me e la
vivacita' dei loro colori era in netto contrasto con i fiori piu' comuni che
si coltivavano verso la costa orientale, un contrasto che, come avrei
scoperto, si estendeva a numerosi altri aspetti della vita.

Mi avvicinai all'eremo con il fiato sospeso. Ricordavo d'aver letto nel suo
libro che Yogananda si reco' un giorno a far visita a un santo senza
avvertirlo prima del suo arrivo. Non era ancora giunto al villaggio dove il
sant'uomo abitava che questi gli si fece incontro per dargli il benvenuto.
Anche Yogananda, mi chiedevo, sapeva che stavo arrivando? Sarebbe anch'egli
uscito a salutarmi? Non ebbi tale fortuna. Entrai nella proprieta'
attraverso un cancello di ferro battuto, e seguii il viale che tagliava un
esteso giardino tenuto magnificamente, con alberi sulla sinistra e un ampio
prato inglese sulla destra, per arrivare a una aggraziata costruzione
stuccata di bianco con un tetto di tegole rosse.

Immaginai i discepoli aggirarsi quietamente all'interno della casa, intenti
alle loro semplici occupazioni, i volti raggianti di serenita'. (Sapevano
che stavo arrivando?).

Suonai il campanello d'ingresso. Dopo alcuni istanti comparve una signora
anziana, dall'aspetto gentile. "In cosa posso esservi utile?" mi chiese con
tono cortese.

"C'e' Paramahansa Yogananda?".

La mia pronuncia di quel nome poco familiare deve aver lasciato non poco a
desiderare e inoltre l'abito di lino bianco che indossavo rendeva evidente
che non ero un normale visitatore. Avevo supposto che quello fosse
l'abbigliamento usuale nella California meridionale come lo era a Miami o
all'Avana, ma avevo preso una cantonata. Il mio aspetto insolito, assieme
all'evidente mancanza di familiarita' con il nome di Yogananda, dovette
darle l'impressione che fossi un addetto a chissa' quale servizio.

"Oh, siete qui per controllare l'impianto dell'acqua?".

"No!". Deglutii e ripetei la domanda.

"C'e' Paramahansa Yogananda?".

"Chi? Ah sì, ho capito. No, mi dispiace; rimarra' assente per tutto il fine
settimana. Posso fare qualcosa per voi?".

"Beh, sì..., no. Vedete, desideravo incontrarlo di persona".

"Oggi, se volete, predichera' nella nostra chiesa di Hollywood".

"Avete una chiesa la'?".

Avevo sempre immaginato che a Hollywood sorgessero soltanto studi
cinematografici e teatri di posa. Il mio stupore parve colpire la mia ospite
come una sconvenienza. Perche' non "avrebbero dovuto avere" una chiesa in
una grande citta' come Hollywood? Divenne ben presto evidente che non stavo
facendole la migliore delle impressioni. Certo era inevitabile, pensai che
sembrasse un po' strano quel mio piombare laggiu' con la pretesa di parlare
con il capo dell'organizzazione, e quel che e' peggio senza rendermi conto
neppure lontanamente che egli capeggiava una organizzazione.

Ella si rizzo' sul busto, irrigidendosi un poco.

"Voglio unirmi a voi", mi affrettai a spiegare. "Desidero vivere qui".

"Avete studiato le lezioni pubblicate dal maestro?" indago' con un tono che
mi parve un po' freddo.

"Lezioni?" le feci eco con voce inespressiva. "Non sapevo ci fossero delle
lezioni da studiare".

La mia posizione sembrava peggiorare di minuto in minuto. "Ce n'e' un intero
corso. Mi spiace, ma non potete unirvi a noi", continuo' con fermezza,
"finche' non le avrete studiate a fondo".

"E quanto ci vorra'?". Credevo che il cuore mi si fermasse.

"Suppergiu' quattro anni".

"Quattro anni!" Impossibile! Era fuori discussione! ripensando ora a
quell'incontro, credo che ella intendeva con ogni probabilita' soltanto
temperare quanto doveva esserle sembrato, da parte mia, un'assurda
presunzione. Pensavo forse che mi bastasse fare la mia comparsa sulla scena
perche' tutti mi dessero gioiosamente il benvenuto al grido di "Finalmente
sei arrivato"?

In realta', i requisiti per unirsi a loro non erano tanto severi quanto lei
mi aveva voluto far credere. Va considerato pero' che e' cosa normale,
oltre che giusta, mettere alla prova la sincerita' del novizio. Allora pero'
mi parve tutt'altro che giusta. Soltanto in seguito venni a sapere che chi
mi aveva ricevuto era Sorella Gyanamata, la piu' progredita discepola di
Yogananda.

Ella stessa, essendo maritata, aveva dovuto attendere anni prima di essere
ammessa nell'eremo e quindi la prospettiva di dover attendere non deve aver
avuto di per se stessa, per lei, questo gran valore di prova.

Bene, riflettei reagendo a quello smacco, quello non era il verdetto di
Yogananda.

Reprimendo il mio disappunto, chiesi alla donna come potevo raggiungere la
chiesa di Hollywood e Sorella Gyanamata me ne diede l'indirizzo e il numero
telefonico. Mi rimisi subito in marcia per fare ritorno a Los Angeles.
Durante il percorso, mi alternai fra accessi di rovente indignazione (contro
la sua presunzione!) e disperate preghiere perche' mi si accettasse.

Era la prima volta in vita mia che desideravo qualcosa con tanto
accanimento. Non potevo, semplicemente non dovevo essere rifiutato.

D'un tratto - il mio pensiero era tornato alla persona che mi aveva ricevuto
e la mia mente era nuovamente sul punto di ribollire per l'indignazione - ne
ricordai gli occhi. Erano rimasti sempre calmissimi; perfino, mi venne fatto
di pensare con un certo stupore, con una luce di saggezza. In lei c'era
senz'altro molto di piu' di quanto non avessi colto al momento.

"Perdonami", pregai, "per averla giudicata male. "Sarebbe stato comunque un
errore da parte mia pensarla come se fosse scortese. Stava facendo soltanto
il suo dovere. Ma ora mi rendo conto della grandezza della sua anima.
Perdonami".

Fu come se dentro di me si dissipasse una nube. Sapevo ora in cuor mio che
sarei stato accettato. Arrivato a Los Angeles, lasciai i miei bagagli al
deposito della stazione degli autobus e proseguii subito fino al 4860 di
Sunset Boulevard, dove era la chiesa. Erano circa le tre del pomeriggio. La
funzione del mattino era ormai terminata da tempo e nell'edificio poche
persone erano disseminate qua e la'.

Una donna mi saluto' al di la' di un lungo tavolo in fondo alla sala. "Posso
esservi utile?".

Le spiegai la mia missione.

"Oh, sono davvero spiacente ma non potrete assolutamente vederlo oggi. Non
ha un attimo di tempo".

La disperazione mi cresceva dentro di minuto in minuto.

"E quando potro' vederlo?".

La donna consulto' un libriccino che aveva sul tavolo davanti a se'.

"Non potro' fissarvi un appuntamento prima di due mesi e mezzo".

"Due mesi e mezzo!" M'era stato detto che non avrei potuto unirmi a loro
prima di quattro anni; ora che non avrei potuto neppure vederlo che...

"Ma sono venuto fin qui da New York apposta per questo!".

"Davvero?".

Mi sorrise con simpatia. "Come avete saputo di Lui?".

"Ho letto la sua autobiografia pochi giorni fa".

"Da così poco tempo? E siete venuto? Così?".

Il suo sorriso si smorzo'un poco.

"Di solito ci scrivono prima. Non avete scritto?".

Confessai onestamente che non mi era neppure passato per la testa.

"Beh, mi spiace, ma non potrete vederlo prima di due mesi e mezzo. Nel
frattempo", proseguì e la sua espressione si ravvivo' leggermente, "potete
studiare le sue lezioni e assistere alle funzioni che si celebrano qui".

Con aria infelice cominciai a girellare per la chiesa esaminandone gli
arredi, l'architettura, le vetrate variopinte. Era una cappella attraente,
grande abbastanza per ospitare piu' di un centinaio di persone e che
invitava alla pace e al raccoglimento. Un luogo eccellente, pensai, per una
tranquilla meditazione. Ma la mia mente era ben altro che tranquilla o
meditativa; era in subbuglio.

"Devi accettarmi!" pregai. "Devi! E' la mia vita che e' in gioco!".

Due o tre delle persone sedute nella chiesa erano monaci che risiedevano al
centro SRF di Mount Washington, nel distretto di Highland Park. Parlai con
uno di essi, Norman. Alto e ben piantato, aveva uno sguardo dolce e gentile
. Mi narro' qualcosa della loro vita nell'eremo e delle loro relazioni, come
discepoli, con Paramahansa Yogananda.

"Lo chiamiamo "Maestro"", mi disse.

Sapevo gia' dall'Autobiografia di uno yogi che questo appellativo, usato
anche da Yogananda per riferirsi al suo guru, denotava riverenza e non
sottomissione servile. La descrizione di Norman della vita a Mount
Washington mi affascino'. Non c'era verso, dovevo entrare a farne parte. La'
era il mio posto, la mia casa.

Norman mi indico' due giovani che sedevano in silenzio piu' in fondo alla
chiesa. "Anch'essi desiderano essere ammessi", osservo'. "Da quanto stanno
attendendo?". "Oh, non molto. Pochi mesi".

Vagai ancora un po' sconsolato per la cappella, quand'ecco mi venne in
mente - pensiero insolito - che forse non ero pronto, semplicemente, e che
era questa la ragione per cui le porte non mi si aprivano davanti.

Se cio' era vero, decisi, sarei andato a vivere sulle colline intorno a
Hollywood, avrei frequentato regolarmente le funzioni, studiato le lezioni
e - e qui sospirai - atteso. Quando fossi stato pronto il Maestro lo avrebbe
saputo e mi avrebbe fatto chiamare. Con questa decisione nella mente e senza
piu' l'ombra di contrarieta' nel cuore, mi avviai verso l'uscita.

Avevo avuto senza dubbio bisogno di questa lezione d'umilta'. Forse tutto
m'era sempre andato troppo liscio e, forse, ero troppo pieno di fiducia in
me stesso.

Comunque fosse, nello stesso momento in cui accettai l'idea che potevo non
essere spiritualmente maturo, la situazione muto' clamorosamente. Avevo gia'
raggiunto l'uscita quando la segretaria - appreso in seguito che il suo vero
nome era Mary Hammond - mi raggiunse.

"Dal momento che avete fatto un viaggio tanto lungo", disse, "chiedero' al
Maestro se acconsente a ricevervi oggi".

Dopo pochi minuti fece ritorno.

"Il Maestro vi ricevera'. Siete il prossimo".

Non dovetti attendere ancora a lungo. Fui introdotto in un salottino e la' ,
in piedi, c'era il Maestro che parlava con un discepolo in tunica bianca.
Nell'atto di accomiatarsi il giovane si inginocchio' a toccargli i piedi.
Era, come avevo appreso dal libro di Yogananda, il gesto indiano
tradizionale di riverenza dovuto ai genitori, agli anziani e al proprio
guru.

Un attimo dopo, Yogananda e io restammo soli. Che occhi grandi e lucenti si
posarono su di me per darmi il benvenuto! Che sorriso compassionevole! Mai
prima d'allora avevo veduto su un volto umano tanta divina bellezza. Il
Maestro si accomodo' su una sedia e con un cenno mi invito' a sedere su un
divano accanto a lui.

"Cosa posso fare per te?". Era la terza volta quel giorno che udivo quelle
medesime, cortesi parole, mai pero' come adesso tanto ricche di significato.
"

Voglio divenire vostro discepolo!". La risposta mi scaturì dal cuore
irresistibile.

Mai e poi mai mi sarei aspettato di rivolgere simili parole a un altro
essere umano. Il Maestro mi rivolse un affabile sorriso e intavolo' con me
un lungo dialogo, interrotto a tratti da prolungati silenzi, durante i quali
egli mi fissava con gli occhi a meta' aperti e a meta' chiusi, "leggendomi"
dentro, lo sapevo.

In cuor mio intanto ripetevo piu' e piu' volte la mia disperata preghiera .
"Devi accettarmi! So che conosci i miei pensieri. Non posso esprimerli;
piangerei soltanto. Ma tu devi accogliermi. Devi!"

Ancora all'inizio della conversazione il Maestro mi disse:

"Ho accettato a riceverti soltanto perche' la Madre Divina mi ha ispirato a
farlo. Voglio che tu lo sappia. Non ha importanza che tu sia venuto così da
lontano. Due settimane fa, dopo aver letto il mio libro, una signora e'
volata fin qui dalla Svezia, ma non l'ho ricevuta. Io faccio soltanto cio'
che Dio mi dice di fare. La Madre Divina mi ha detto di vederti", ripete'.
"Madre Divina", come gia' sapevo dalla lettura del suo libro era il modo con
il quale egli spesso indica Dio che, afferma, comprende tanto il principio
maschile che il femminile.

Parlammo poi del mio passato. Parve compiacersi delle mie risposte e della
mia franchezza.

"Lo so gia'", osservo' in un'occasione, facendomi capire che stava soltanto
mettendo alla prova la mia sincerita'. Poi tacque ancora a lungo, mentre
pregavo ardentemente di essere accolto come discepolo.

"Non accetto piu' tanta gente ora", disse.

Deglutii a fatica. Intendeva forse con cio' prepararmi a ricevere una
delusione? Mi affrettai a dirgli che non riuscivo proprio a provare
attrazione o a vedere alcun vantaggio per me nel matrimonio o nella vita
mondana.

"Sono certo che per molti e' la scelta migliore", dissi, "ma non per me".

Scosse il capo. "Per nessuno e' una scelta tanto bella quanto alla gente
piace far credere. Dio e' l'unica risposta!".

Continuo' narrandomi di alcune grosse disillusioni di cui era stato
testimone; poi ancora, silenzio.

Durante la nostra conversazione mi chiese a un certo punto, se mi era
piaciuto il suo libro. "Oh, l'ho trovato splendido!"

"E' perche' possiede le mie vibrazioni", rispose con semplicita'.

Vibrazioni? Non avevo mai immaginato prima d'allora che un libro potesse
avere "vibrazioni", pero' mi ero trovato a considerare il suo libro quasi
provvisto di vita per il suo potere di comunicare non soltanto idee, ma
nuovi stati di coscienza.

Sorse allora nella mia mente l'idea inconseguente, perfino assurda, che, se
lui avesse saputo che potevo essere di qualche utilita' pratica alla sua
opera, forse sarebbe stato meno riluttante nell'accettarmi come discepolo.
E che sapevo fare? Soltanto scrivere, ma era certamente meglio di niente.
Poteva darsi che gli servisse una persona che fosse versata in letteratura.
Per dimostrargli la mia competenza stilistica, osservai. "Devo dire che ho
trovato parecchi split infinitives (letteralmente infinito diviso, e'
un'espressione della lingua inglese in cui una parola o un gruppo di
parole, per lo piu' un avverbio o una frase avverbiale e' inserita fra il to
e la forma verbale che l'accompagna nell'infinito - es. to readily
understand -. E' avversata da tradizionalisti, puristi e altri stilisti
bacchettoni, pur essendo forma corretta della lingua inglese. N.d.T.) nel
vostro libro".

Ventidue anni, letterariamente vergine, e gia' mi cimentavo nella critica!
Non sarei mai piu' riuscito a dimenticare questo passo falso! Ma il Maestro
lo accolse con un sorrisetto, prima sorpreso, poi divertito. La motivazione
di quella critica gli apparve senz'altro trasparente. Poi, ancora silenzio.
Ancora preghiere. "Bene", disse infine. "Hai un buon karma. Puoi unirti a
noi".

"Oh, ma posso attendere!" proruppi avventatamente. Non volevo essere accolto
soltanto perche' non avevo ancora trovato dove altro stare.

"No". Sorrise. "Hai un buon karma, altrimenti non ti avrei accettato".

Mi fisso' con amore profondo, quindi disse: "Ti do il mio amore
incondizionato".

Promessa immortale! Non mi lascio' tempo neppure di cominciare a penetrare
il profondo significato di quelle meravigliose parole.

"Vuoi concedermi il tuo amore incondizionato?".

"Sì!".

"E vuoi concedermi anche la tua incondizionata obbedienza?"

Disperato, nonostante fosse mio desiderio essere accettato, volli essere
onesto fino in fondo. "Supponiamo", chiesi, "che mi capiti di pensare che
sbagliate".

"Non ti chiederei mai nulla", rispose in tono solenne, "che Dio non mi
avesse detto di chiederti prima".

E continuo':

"Quando incontrai il mio maestro, Sri Yukteswar, egli mi disse: "Lascia che
sia io a disciplinarti".

"Perche' signore?" chiesi io.

"Perche' all'inizio del cammino spirituale", mi rispose, "la volonta' del
novizio e' guidata da miraggi e illusioni. Anche la mia lo era, prima che
incontrassi il mio guru , Lahiri Mahasaya.

Soltanto quand'ebbi armonizzato la mia alla sua volonta', emanazione della
sua saggezza, trovai la vera liberta'".

Nello stesso modo , se vorrai sintonizzare la tua volonta' alla mia, anche
tu potrai trovare la liberta'. Agire con l'unica ispirazione di miraggi e
illusioni non e' liberta', e' schiavitu'. Soltanto compiendo la volonta' di
Dio puoi essere davvero libero."

"Capisco", risposi pensieroso. Poi, dal profondo del cuore, promisi: "Vi do
la mia incondizionata obbedienza!".

Il mio guru continuo': "Quando incontrai il mio maestro, egli mi diede il
suo amore incondizionato come io ho fatto ora con te. Egli mi chiese quindi
di amarlo nello stesso modo, senza riserve. Ma io risposi: "Signore, e se
mai un giorno vi scoprissi un maestro inferiore al mio ideale del Cristo?
Potrei amarvi ancora così?".

Ricevetti in risposta uno sguardo severo. "Non voglio il tuo amore", mi
disse poi. "Puzza".

"Capisco, signore", assicurai. Aveva colpito in pieno la mia maggiore
debolezza: il dubbio intellettuale.

Fu con profondo sentimento che ora ripetei: "Vi do il mio amore
incondizionato!".

Proseguì impartendomi varie istruzioni.

"Vieni a inginocchiarti davanti a me, adesso".

Lo feci. Mi fece ripetere, in nome di Dio, di Gesu' Cristo e della nostra
discendenza di guru, i voti di discepolato e di rinuncia; poi mi poso'
l'indice della destra sul petto, in corrispondenza del cuore. Per almeno due
minuti il suo braccio vibro', quasi con violenza.

Da quel momento in avanti, in maniera incredibile, la mia coscienza fu
completamente trasformata in ogni sua manifestazione. Lasciai il salottino
quasi in "trance". Norman, udita la nuova della mia accettazione, mi
abbraccio' con affetto. Era a dir poco insolito che un discepolo fosse
accolto tanto in fretta. Pochi attimi dopo, il Maestro uscì, da dietro la
tenda aperta, sul pulpito.

Con un placido sorriso annuncio':

"Abbiamo un nuovo fratello".
Subject: [Sadhana] Descrizione del primo incontro di Swami Kriyananda con il
Maestro

SWAMI KRIYANANDA

IL SENTIERO

Autobiografia di uno yogi occidentale, discepolo di Paramahansa Yogananda

Traduzione di MAURO MERCI

EDIZIONI MEDITERRANEE - ROMA

Parte Prima

Capitolo 16

IL PELLEGRINO INCONTRA LA GUIDA

Giunsi a Los Angeles la mattina di sabato, 11 settembre 1948, esausto per il
lungo viaggio. Approfittai qui della prima occasione che mi si offriva da
quattro giorni di radermi e prendere un bagno e proseguii poi con l'autobus
verso sud per i centosessanta chilometri circa che mi separavano da
Encinitas, la piccola citta' sulla costa dove avevo letto che Yogananda
aveva stabilito il suo eremo.

Nel fervore della prima lettura mi era chissa' come sfuggito il fatto che
egli aveva fondato un'organizzazione su scala mondiale. Probabilmente, senza
esserne cosciente, mi ero "sintonizzato" in modo da non cogliere questa
informazione, a causa del mio inveterato timore di trovare anche qui una
religione istituzionalizzata.

Questo piccolo eremo sul mare era per me tutto quello che esisteva al mondo
della sua opera. Arrivai ad Encinitas nel tardo pomeriggio, troppo stanco
per proseguire subito verso l'eremo. Scesi in un albergo e crollai
letteralmente sul letto assegnatomi, dove dormii per dodici ore filate. Al
mattino dopo mi avviai verso l'eremo della SRF, camminando per forse un
chilometro e mezzo fra pittoreschi e variopinti giardini piantati a erba
diacciola e buganvillee. Molti dei fiori che vedevo erano nuovi per me e la
vivacita' dei loro colori era in netto contrasto con i fiori piu' comuni che
si coltivavano verso la costa orientale, un contrasto che, come avrei
scoperto, si estendeva a numerosi altri aspetti della vita.

Mi avvicinai all'eremo con il fiato sospeso. Ricordavo d'aver letto nel suo
libro che Yogananda si reco' un giorno a far visita a un santo senza
avvertirlo prima del suo arrivo. Non era ancora giunto al villaggio dove il
sant'uomo abitava che questi gli si fece incontro per dargli il benvenuto.
Anche Yogananda, mi chiedevo, sapeva che stavo arrivando? Sarebbe anch'egli
uscito a salutarmi? Non ebbi tale fortuna. Entrai nella proprieta'
attraverso un cancello di ferro battuto, e seguii il viale che tagliava un
esteso giardino tenuto magnificamente, con alberi sulla sinistra e un ampio
prato inglese sulla destra, per arrivare a una aggraziata costruzione
stuccata di bianco con un tetto di tegole rosse.

Immaginai i discepoli aggirarsi quietamente all'interno della casa, intenti
alle loro semplici occupazioni, i volti raggianti di serenita'. (Sapevano
che stavo arrivando?).

Suonai il campanello d'ingresso. Dopo alcuni istanti comparve una signora
anziana, dall'aspetto gentile. "In cosa posso esservi utile?" mi chiese con
tono cortese.

"C'e' Paramahansa Yogananda?".

La mia pronuncia di quel nome poco familiare deve aver lasciato non poco a
desiderare e inoltre l'abito di lino bianco che indossavo rendeva evidente
che non ero un normale visitatore. Avevo supposto che quello fosse
l'abbigliamento usuale nella California meridionale come lo era a Miami o
all'Avana, ma avevo preso una cantonata. Il mio aspetto insolito, assieme
all'evidente mancanza di familiarita' con il nome di Yogananda, dovette
darle l'impressione che fossi un addetto a chissa' quale servizio.

"Oh, siete qui per controllare l'impianto dell'acqua?".

"No!". Deglutii e ripetei la domanda.

"C'e' Paramahansa Yogananda?".

"Chi? Ah sì, ho capito. No, mi dispiace; rimarra' assente per tutto il fine
settimana. Posso fare qualcosa per voi?".

"Beh, sì..., no. Vedete, desideravo incontrarlo di persona".

"Oggi, se volete, predichera' nella nostra chiesa di Hollywood".

"Avete una chiesa la'?".

Avevo sempre immaginato che a Hollywood sorgessero soltanto studi
cinematografici e teatri di posa. Il mio stupore parve colpire la mia ospite
come una sconvenienza. Perche' non "avrebbero dovuto avere" una chiesa in
una grande citta' come Hollywood? Divenne ben presto evidente che non stavo
facendole la migliore delle impressioni. Certo era inevitabile, pensai che
sembrasse un po' strano quel mio piombare laggiu' con la pretesa di parlare
con il capo dell'organizzazione, e quel che e' peggio senza rendermi conto
neppure lontanamente che egli capeggiava una organizzazione.

Ella si rizzo' sul busto, irrigidendosi un poco.

"Voglio unirmi a voi", mi affrettai a spiegare. "Desidero vivere qui".

"Avete studiato le lezioni pubblicate dal maestro?" indago' con un tono che
mi parve un po' freddo.

"Lezioni?" le feci eco con voce inespressiva. "Non sapevo ci fossero delle
lezioni da studiare".

La mia posizione sembrava peggiorare di minuto in minuto. "Ce n'e' un intero
corso. Mi spiace, ma non potete unirvi a noi", continuo' con fermezza,
"finche' non le avrete studiate a fondo".

"E quanto ci vorra'?". Credevo che il cuore mi si fermasse.

"Suppergiu' quattro anni".

"Quattro anni!" Impossibile! Era fuori discussione! ripensando ora a
quell'incontro, credo che ella intendeva con ogni probabilita' soltanto
temperare quanto doveva esserle sembrato, da parte mia, un'assurda
presunzione. Pensavo forse che mi bastasse fare la mia comparsa sulla scena
perche' tutti mi dessero gioiosamente il benvenuto al grido di "Finalmente
sei arrivato"?

In realta', i requisiti per unirsi a loro non erano tanto severi quanto lei
mi aveva voluto far credere. Va considerato pero' che e' cosa normale,
oltre che giusta, mettere alla prova la sincerita' del novizio. Allora pero'
mi parve tutt'altro che giusta. Soltanto in seguito venni a sapere che chi
mi aveva ricevuto era Sorella Gyanamata, la piu' progredita discepola di
Yogananda.

Ella stessa, essendo maritata, aveva dovuto attendere anni prima di essere
ammessa nell'eremo e quindi la prospettiva di dover attendere non deve aver
avuto di per se stessa, per lei, questo gran valore di prova.

Bene, riflettei reagendo a quello smacco, quello non era il verdetto di
Yogananda.

Reprimendo il mio disappunto, chiesi alla donna come potevo raggiungere la
chiesa di Hollywood e Sorella Gyanamata me ne diede l'indirizzo e il numero
telefonico. Mi rimisi subito in marcia per fare ritorno a Los Angeles.
Durante il percorso, mi alternai fra accessi di rovente indignazione (contro
la sua presunzione!) e disperate preghiere perche' mi si accettasse.

Era la prima volta in vita mia che desideravo qualcosa con tanto
accanimento. Non potevo, semplicemente non dovevo essere rifiutato.

D'un tratto - il mio pensiero era tornato alla persona che mi aveva ricevuto
e la mia mente era nuovamente sul punto di ribollire per l'indignazione - ne
ricordai gli occhi. Erano rimasti sempre calmissimi; perfino, mi venne fatto
di pensare con un certo stupore, con una luce di saggezza. In lei c'era
senz'altro molto di piu' di quanto non avessi colto al momento.

"Perdonami", pregai, "per averla giudicata male. "Sarebbe stato comunque un
errore da parte mia pensarla come se fosse scortese. Stava facendo soltanto
il suo dovere. Ma ora mi rendo conto della grandezza della sua anima.
Perdonami".

Fu come se dentro di me si dissipasse una nube. Sapevo ora in cuor mio che
sarei stato accettato. Arrivato a Los Angeles, lasciai i miei bagagli al
deposito della stazione degli autobus e proseguii subito fino al 4860 di
Sunset Boulevard, dove era la chiesa. Erano circa le tre del pomeriggio. La
funzione del mattino era ormai terminata da tempo e nell'edificio poche
persone erano disseminate qua e la'.

Una donna mi saluto' al di la' di un lungo tavolo in fondo alla sala. "Posso
esservi utile?".

Le spiegai la mia missione.

"Oh, sono davvero spiacente ma non potrete assolutamente vederlo oggi. Non
ha un attimo di tempo".

La disperazione mi cresceva dentro di minuto in minuto.

"E quando potro' vederlo?".

La donna consulto' un libriccino che aveva sul tavolo davanti a se'.

"Non potro' fissarvi un appuntamento prima di due mesi e mezzo".

"Due mesi e mezzo!" M'era stato detto che non avrei potuto unirmi a loro
prima di quattro anni; ora che non avrei potuto neppure vederlo che...

"Ma sono venuto fin qui da New York apposta per questo!".

"Davvero?".

Mi sorrise con simpatia. "Come avete saputo di Lui?".

"Ho letto la sua autobiografia pochi giorni fa".

"Da così poco tempo? E siete venuto? Così?".

Il suo sorriso si smorzo'un poco.

"Di solito ci scrivono prima. Non avete scritto?".

Confessai onestamente che non mi era neppure passato per la testa.

"Beh, mi spiace, ma non potrete vederlo prima di due mesi e mezzo. Nel
frattempo", proseguì e la sua espressione si ravvivo' leggermente, "potete
studiare le sue lezioni e assistere alle funzioni che si celebrano qui".

Con aria infelice cominciai a girellare per la chiesa esaminandone gli
arredi, l'architettura, le vetrate variopinte. Era una cappella attraente,
grande abbastanza per ospitare piu' di un centinaio di persone e che
invitava alla pace e al raccoglimento. Un luogo eccellente, pensai, per una
tranquilla meditazione. Ma la mia mente era ben altro che tranquilla o
meditativa; era in subbuglio.

"Devi accettarmi!" pregai. "Devi! E' la mia vita che e' in gioco!".

Due o tre delle persone sedute nella chiesa erano monaci che risiedevano al
centro SRF di Mount Washington, nel distretto di Highland Park. Parlai con
uno di essi, Norman. Alto e ben piantato, aveva uno sguardo dolce e gentile
. Mi narro' qualcosa della loro vita nell'eremo e delle loro relazioni, come
discepoli, con Paramahansa Yogananda.

"Lo chiamiamo "Maestro"", mi disse.

Sapevo gia' dall'Autobiografia di uno yogi che questo appellativo, usato
anche da Yogananda per riferirsi al suo guru, denotava riverenza e non
sottomissione servile. La descrizione di Norman della vita a Mount
Washington mi affascino'. Non c'era verso, dovevo entrare a farne parte. La'
era il mio posto, la mia casa.

Norman mi indico' due giovani che sedevano in silenzio piu' in fondo alla
chiesa. "Anch'essi desiderano essere ammessi", osservo'. "Da quanto stanno
attendendo?". "Oh, non molto. Pochi mesi".

Vagai ancora un po' sconsolato per la cappella, quand'ecco mi venne in
mente - pensiero insolito - che forse non ero pronto, semplicemente, e che
era questa la ragione per cui le porte non mi si aprivano davanti.

Se cio' era vero, decisi, sarei andato a vivere sulle colline intorno a
Hollywood, avrei frequentato regolarmente le funzioni, studiato le lezioni
e - e qui sospirai - atteso. Quando fossi stato pronto il Maestro lo avrebbe
saputo e mi avrebbe fatto chiamare. Con questa decisione nella mente e senza
piu' l'ombra di contrarieta' nel cuore, mi avviai verso l'uscita.

Avevo avuto senza dubbio bisogno di questa lezione d'umilta'. Forse tutto
m'era sempre andato troppo liscio e, forse, ero troppo pieno di fiducia in
me stesso.

Comunque fosse, nello stesso momento in cui accettai l'idea che potevo non
essere spiritualmente maturo, la situazione muto' clamorosamente. Avevo gia'
raggiunto l'uscita quando la segretaria - appreso in seguito che il suo vero
nome era Mary Hammond - mi raggiunse.

"Dal momento che avete fatto un viaggio tanto lungo", disse, "chiedero' al
Maestro se acconsente a ricevervi oggi".

Dopo pochi minuti fece ritorno.

"Il Maestro vi ricevera'. Siete il prossimo".

Non dovetti attendere ancora a lungo. Fui introdotto in un salottino e la' ,
in piedi, c'era il Maestro che parlava con un discepolo in tunica bianca.
Nell'atto di accomiatarsi il giovane si inginocchio' a toccargli i piedi.
Era, come avevo appreso dal libro di Yogananda, il gesto indiano
tradizionale di riverenza dovuto ai genitori, agli anziani e al proprio
guru.

Un attimo dopo, Yogananda e io restammo soli. Che occhi grandi e lucenti si
posarono su di me per darmi il benvenuto! Che sorriso compassionevole! Mai
prima d'allora avevo veduto su un volto umano tanta divina bellezza. Il
Maestro si accomodo' su una sedia e con un cenno mi invito' a sedere su un
divano accanto a lui.

"Cosa posso fare per te?". Era la terza volta quel giorno che udivo quelle
medesime, cortesi parole, mai pero' come adesso tanto ricche di significato.
"

Voglio divenire vostro discepolo!". La risposta mi scaturì dal cuore
irresistibile.

Mai e poi mai mi sarei aspettato di rivolgere simili parole a un altro
essere umano. Il Maestro mi rivolse un affabile sorriso e intavolo' con me
un lungo dialogo, interrotto a tratti da prolungati silenzi, durante i quali
egli mi fissava con gli occhi a meta' aperti e a meta' chiusi, "leggendomi"
dentro, lo sapevo.

In cuor mio intanto ripetevo piu' e piu' volte la mia disperata preghiera .
"Devi accettarmi! So che conosci i miei pensieri. Non posso esprimerli;
piangerei soltanto. Ma tu devi accogliermi. Devi!"

Ancora all'inizio della conversazione il Maestro mi disse:

"Ho accettato a riceverti soltanto perche' la Madre Divina mi ha ispirato a
farlo. Voglio che tu lo sappia. Non ha importanza che tu sia venuto così da
lontano. Due settimane fa, dopo aver letto il mio libro, una signora e'
volata fin qui dalla Svezia, ma non l'ho ricevuta. Io faccio soltanto cio'
che Dio mi dice di fare. La Madre Divina mi ha detto di vederti", ripete'.
"Madre Divina", come gia' sapevo dalla lettura del suo libro era il modo con
il quale egli spesso indica Dio che, afferma, comprende tanto il principio
maschile che il femminile.

Parlammo poi del mio passato. Parve compiacersi delle mie risposte e della
mia franchezza.

"Lo so gia'", osservo' in un'occasione, facendomi capire che stava soltanto
mettendo alla prova la mia sincerita'. Poi tacque ancora a lungo, mentre
pregavo ardentemente di essere accolto come discepolo.

"Non accetto piu' tanta gente ora", disse.

Deglutii a fatica. Intendeva forse con cio' prepararmi a ricevere una
delusione? Mi affrettai a dirgli che non riuscivo proprio a provare
attrazione o a vedere alcun vantaggio per me nel matrimonio o nella vita
mondana.

"Sono certo che per molti e' la scelta migliore", dissi, "ma non per me".

Scosse il capo. "Per nessuno e' una scelta tanto bella quanto alla gente
piace far credere. Dio e' l'unica risposta!".

Continuo' narrandomi di alcune grosse disillusioni di cui era stato
testimone; poi ancora, silenzio.

Durante la nostra conversazione mi chiese a un certo punto, se mi era
piaciuto il suo libro. "Oh, l'ho trovato splendido!"

"E' perche' possiede le mie vibrazioni", rispose con semplicita'.

Vibrazioni? Non avevo mai immaginato prima d'allora che un libro potesse
avere "vibrazioni", pero' mi ero trovato a considerare il suo libro quasi
provvisto di vita per il suo potere di comunicare non soltanto idee, ma
nuovi stati di coscienza.

Sorse allora nella mia mente l'idea inconseguente, perfino assurda, che, se
lui avesse saputo che potevo essere di qualche utilita' pratica alla sua
opera, forse sarebbe stato meno riluttante nell'accettarmi come discepolo.
E che sapevo fare? Soltanto scrivere, ma era certamente meglio di niente.
Poteva darsi che gli servisse una persona che fosse versata in letteratura.
Per dimostrargli la mia competenza stilistica, osservai. "Devo dire che ho
trovato parecchi split infinitives (letteralmente infinito diviso, e'
un'espressione della lingua inglese in cui una parola o un gruppo di
parole, per lo piu' un avverbio o una frase avverbiale e' inserita fra il to
e la forma verbale che l'accompagna nell'infinito - es. to readily
understand -. E' avversata da tradizionalisti, puristi e altri stilisti
bacchettoni, pur essendo forma corretta della lingua inglese. N.d.T.) nel
vostro libro".

Ventidue anni, letterariamente vergine, e gia' mi cimentavo nella critica!
Non sarei mai piu' riuscito a dimenticare questo passo falso! Ma il Maestro
lo accolse con un sorrisetto, prima sorpreso, poi divertito. La motivazione
di quella critica gli apparve senz'altro trasparente. Poi, ancora silenzio.
Ancora preghiere. "Bene", disse infine. "Hai un buon karma. Puoi unirti a
noi".

"Oh, ma posso attendere!" proruppi avventatamente. Non volevo essere accolto
soltanto perche' non avevo ancora trovato dove altro stare.

"No". Sorrise. "Hai un buon karma, altrimenti non ti avrei accettato".

Mi fisso' con amore profondo, quindi disse: "Ti do il mio amore
incondizionato".

Promessa immortale! Non mi lascio' tempo neppure di cominciare a penetrare
il profondo significato di quelle meravigliose parole.

"Vuoi concedermi il tuo amore incondizionato?".

"Sì!".

"E vuoi concedermi anche la tua incondizionata obbedienza?"

Disperato, nonostante fosse mio desiderio essere accettato, volli essere
onesto fino in fondo. "Supponiamo", chiesi, "che mi capiti di pensare che
sbagliate".

"Non ti chiederei mai nulla", rispose in tono solenne, "che Dio non mi
avesse detto di chiederti prima".

E continuo':

"Quando incontrai il mio maestro, Sri Yukteswar, egli mi disse: "Lascia che
sia io a disciplinarti".

"Perche' signore?" chiesi io.

"Perche' all'inizio del cammino spirituale", mi rispose, "la volonta' del
novizio e' guidata da miraggi e illusioni. Anche la mia lo era, prima che
incontrassi il mio guru , Lahiri Mahasaya.

Soltanto quand'ebbi armonizzato la mia alla sua volonta', emanazione della
sua saggezza, trovai la vera liberta'".

Nello stesso modo , se vorrai sintonizzare la tua volonta' alla mia, anche
tu potrai trovare la liberta'. Agire con l'unica ispirazione di miraggi e
illusioni non e' liberta', e' schiavitu'. Soltanto compiendo la volonta' di
Dio puoi essere davvero libero."

"Capisco", risposi pensieroso. Poi, dal profondo del cuore, promisi: "Vi do
la mia incondizionata obbedienza!".

Il mio guru continuo': "Quando incontrai il mio maestro, egli mi diede il
suo amore incondizionato come io ho fatto ora con te. Egli mi chiese quindi
di amarlo nello stesso modo, senza riserve. Ma io risposi: "Signore, e se
mai un giorno vi scoprissi un maestro inferiore al mio ideale del Cristo?
Potrei amarvi ancora così?".

Ricevetti in risposta uno sguardo severo. "Non voglio il tuo amore", mi
disse poi. "Puzza".

"Capisco, signore", assicurai. Aveva colpito in pieno la mia maggiore
debolezza: il dubbio intellettuale.

Fu con profondo sentimento che ora ripetei: "Vi do il mio amore
incondizionato!".

Proseguì impartendomi varie istruzioni.

"Vieni a inginocchiarti davanti a me, adesso".

Lo feci. Mi fece ripetere, in nome di Dio, di Gesu' Cristo e della nostra
discendenza di guru, i voti di discepolato e di rinuncia; poi mi poso'
l'indice della destra sul petto, in corrispondenza del cuore. Per almeno due
minuti il suo braccio vibro', quasi con violenza.

Da quel momento in avanti, in maniera incredibile, la mia coscienza fu
completamente trasformata in ogni sua manifestazione. Lasciai il salottino
quasi in "trance". Norman, udita la nuova della mia accettazione, mi
abbraccio' con affetto. Era a dir poco insolito che un discepolo fosse
accolto tanto in fretta. Pochi attimi dopo, il Maestro uscì, da dietro la
tenda aperta, sul pulpito.

Con un placido sorriso annuncio':

"Abbiamo un nuovo fratello".

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