(di Patrizia Spinato)
Mi avvicinai al magico mondo della New Age subito dopo la consegna della tesi, nell'ormai lontano 1997. Ero arrivata alla discussione in stato da zombie. Soffrivo di insonnia, depressione e attacchi di panico da mesi, e il mio aspetto cadaverico aveva fatto temere alla commissione di laurea che potessi smaterializzarmi da un momento all'altro, così avevano anticipato il mio turno per evitare il peggio.
Contro tutti i pronostici (i miei, ovviamente, perché la media dei voti e il lavoro svolto nell'ultimo anno parlavano chiaro) andò tutto benissimo. Iniziò a quel punto il mio ennesimo tentativo di reinserimento familiare. Sarebbe stato l'ultimo. Diciamo che non avevo scelta: ero ospite a casa di amici, dopo la fuga dalla casa del mio ultimo sfidanzato, con cui dividevo la camera per grazia ricevuta dei suoi ultrabigotti genitori.
Per dirla senza tanti giri di parole, ero di nuovo in mezzo a una strada. Così mi rimangiai il mio orgoglio e, certa che fosse una soluzione provvisoria, tornai sotto l'amorevole tetto paterno. Speravo che i due anni di lontananza da casa, dopo che il mio naso si era quasi rotto contro il suo pugno durante l'ultimo, affettuoso scambio di opinioni, avessero contribuito a calmargli per un po' i bollenti spiriti.
Nel frattempo, in una delle visite di commiato in università, la relatrice della mia tesi, dopo aver sopportato per mesi le mie paranoie, con l'aria di chi la sa lunga (uno sguardo che avrei rivisto spesso in seguito, un'espressione di condiscendenza mista a una vaga empatia, quell'"io lo so bene, quello che stai passando, ma ormai ne sono fuori e ti posso aiutare", mentre ti scrutano cercando di scoprire in quale categoria di sfigato cosmico poterti inquadrare), mi consigliò alcune letture, sempre che fossi interessata, condite da pillole di saggezza universale da lei recentemente acquisite: se volevo smettere di soffrire dovevo essere io a cambiare, non aspettarmi che lo facessero gli altri, l'importante era pensare positivo e andare avanti. Alle mie timide obiezioni sulle difficoltà oggettive in cui mi trovavo rispose con una sequela di citazioni ed esempi di vita vissuta.
Era fatta: ero stata risucchiata nel vortice delle tendenze di moda, solo che ancora non lo sapevo. Mi catapultai nell'unica libreria esoterica allora esistente nella mia grigia città. Dovevo leggere, dovevo sapere, dovevo capire, dovevo guarire. E ora devo ammettere che, in effetti, per un po' funzionò. Presa da quella nuova ossessione, sopravvivevo al nulla quotidiano e tentavo i primi passi di una nuova, fantastica vita.
Non tardai molto a inciampare in altri esemplari già contagiati dalla sindrome del proselitismo esoterico. Ormai ero approdata a Milano, prima come pendolare, durante il corso di specializzazione in editoria, e poi in condivisione in un appartamento per studenti tanto sordido quanto caro. Ma il mondo mi sorrideva.
Tutto era possibile. Se volevo, potevo. E io volevo, disperatamente, essere accettata da quelle persone così meravigliose, così felici, così realizzate. Volevo meritare la loro stima, il loro affetto, partecipare a tutti i corsi di crescita spirituale che loro seguivano da anni. Ascoltavo rapita le loro storie, i saggi consigli, ma soffrivo perché nonostante la pila di libri self-help/new age/esoterismo per casalinghe accanto al mio letto crescesse di giorno in giorno, la mia vita rimaneva uno schifo. Con un sospiro che sottolineava educatamente la mia inettitudine, loro mi spiegavano che, se le cose stavano così, dovevo solo biasimare me stessa. Avevo ancora tanta strada da fare! E poi, avrei dovuto impegnarmi di più.
Se non trovavo l'amore, era perché non ci credevo. Se continuavo a lavorare notte e giorno per una cifra ridicola che non mi permetteva nemmeno di arrivare a fine mese, era perché ero convinta di non meritarmi di meglio. Se loro mi chiamavano solo quando avevano bisogno di uno zerbino su cui pulirsi i piedi, era a causa del mio atteggiamento negativo. Se quella che si spacciava per la mia mentore spirituale mi affidava incarichi sottopagati e li rivendeva al doppio spacciandoli per propri era perché, pur lavorando anche di notte, io non avevo raggiunto un buon livello. E poi chi, meglio di loro, avrebbe potuto insegnarmi il distacco dalle cose materiali? Insomma, non facevo abbastanza, non valevo abbastanza.
Eppure. non erano proprio quelle le convinzioni che cercavo dolorosamente di estirpare dalla mia fragile anima? Ma no! Quello che stavano dicendo loro era diverso!
Perfetta incarnazione del mio atavico complesso di Calimero, mi arrabattavo nei miei affanni di ogni giorno. Tuttavia, la muffa del dubbio stava ormai ricoprendo quella patetica facciata. E iniziavo a chiedermi perché, nonostante l'abbonamento a vita a corsi di guarigione di un più o meno famoso "consulente" alternativo, chi si era arrogato il diritto di guida spirituale della mia vita si era dovuto operare d'urgenza in un volgarissimo ospedale per una brutta infezione.
E le meditazioni? Le visualizzazioni positive? Perché, durante un corso residenziale, il famoso consulente alternativo era stato beccato a sbraitare contro un cameriere, colpevole dell'assenza del salmone nel menu? Perché un altro guru di "percorsi di consapevolezza" aveva dato in escandescenze con la propria assistente, poiché l'amica di quest'ultima gli aveva rifiutato una notte di sesso? Perché, dopo tanti discorsi di integrità e onestà, tutti intascavano in nero il ricavato delle loro impagabili (nonché costose) sedute? Perché alcune di quelle straordinarie, meravigliose persone, tanto più avanti di me sulla ripida china della crescita personale, sfoggiavano tutta la loro arguzia nell'arte della maldicenza, della critica velenosa e del pettegolezzo?
Eh, no! Ero io che continuavo a non capire. Non coglievo l'essenza. E ancora, perché la persona che mi aveva aperto la porta della propria casa (e soprattutto della camera da letto), capo di un progetto di etica a livello nazionale nonché veterano di corsi spirituali di ogni genere, era finito a ruzzare a letto con la mia "migliore" amica? Eh, proprio non volevo capire! Quella era una delle prove della vita, mi stavano testando da Lassù per vedere se avevo assimilato concetti elementari come il Distacco, il Perdono, l'Amore incondizionato, la Fiducia. Ciò non scalfiva minimamente una verità fondamentale: era comunque colpa mia.
E finalmente, a quel punto, giunse l'illuminazione. L'unica cosa sensata era levare le tende, salutare con un bel sorriso tutti quanti, chiedendo di depennare il mio nome e indirizzo dagli archivi delle associazioni che mi avevano accalappiata, destinare qualche cartone e una cospicua parte del ripostiglio alla mia succosa bibliografia Gnu Eig.
Forse un giorno mi sarebbe capitato a tiro uno sprovveduto sofferente e affamato di buoni consigli. Sarei potuta diventare la sua guida, la sua luce, il suo angelo, la sua salvezza. O più semplicemente, emulando Carvalho, avrei potuto usare quei libri per alimentare le fiamme di un bel camino in qualche fredda serata invernale. Quello, sì, mi avrebbe davvero scaldato il cuore.
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