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SCHEDA ARTICOLO N. «01202»

CLASSIFICAZIONE: 2
TIPOLOGIA: BUDDISMO
AUTORE: MARK EPSTEIN
TITOLO: DHARMA E PSICOTERAPIA
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TESTO ARTICOLO

Dharma e psicoterapia

(di Mark Epstein)

Mentre gli insegnamenti buddisti sulla sofferenza e la natura del sé si
diffondono sempre più in occidente, gli psicoterapeuti hanno cominciato a
scoprire le possibilità spirituali insite nel loro lavoro.

Alla prima conferenza di New York sul buddismo e la psicoterapia, alla fine
degli anni '80, il dialogo tra le due discipline si dimostrò più difficile
del previsto. Erano presenti molti terapisti e dovevano parlare diversi
insegnanti buddisti, ma parecchi di questi ultimi non erano particolarmente
interessati al punto di vista psicodinamico, né avevano di esso una
conoscenza approfondita. I buddisti volevano parlare del buddismo, i
terapisti intendevano discutere delle emozioni: non era molto chiaro quale
terreno in comune avrebbe potuto esserci tra le due discipline.

Dopo il discorso di apertura, il disagio crebbe sempre più finché, dopo un
giorno e mezzo, una donna esasperata si alzò dalla sedia e rivolse una frase
al lama tibetano che aveva appena terminato il suo intervento. «Non mi
interessa quanti maestri zen possano stare in piedi su una capocchia di
spillo», cominciò, con una frustrazione evidente a tutti. Ci fu qualche
applauso e l'attenzione crebbe in tutta la sala. «Voglio sentire parlare di
cagare, pisciare e di fare sesso.»

Sull'uditorio piombò il silenzio: non era questo il modo di rivolgersi a un
lama tibetano. Tuttavia, ciò che la donna voleva dire venne compreso da
molti dei presenti. Gli interventi della conferenza sembravano troppo
sublimi per i terapisti presenti, troppo lontani dalla realtà quotidiana dei
loro casi terapeutici. Dov'era la concretezza dei vecchi, buoni istinti
freudiani?

Il lama, senza comprendere, si voltò verso gli organizzatori della
conferenza per ottenere una traduzione. «Vuole sentire parlare di cagare,
pisciare e di fare sesso», gli dissero imbarazzati. Il lama, dopo un attimo
di perplessità, chiese: «Ma come ha fatto ad arrangiarsi fin'ora?». Per un
momento, l'interesse freudiano verso le esperienze primitive sembrò, alla
luce del buddismo, assurdo.

Se questo particolare scambio fece emergere tutto il divario tra il dharma e
la psicoterapia, tra gli istinti psicoanalitici e lo spirito buddista,
l'ininterrotto
dialogo che era emerso nell'ultimo decennio tra le due tradizioni aveva,
però, molto arricchito entrambe. Benché i terapisti fossero frustrati dalla
riluttanza degli insegnanti buddisti ad affrontare direttamente i temi
emozionali, ciononostante rimasero fino alla fine della conferenza. Qualcosa
li stava spingendo verso il dharma. Cosa? Il riconoscimento, forse, che la
concezione buddista del non-io dava un senso nuovo ai loro studi sull'io, o
che lo "spirito" buddista aiutava molto a riequilibrare e rianimare il loro
interesse verso il cagare, il pisciare e il fare sesso. I terapisti potevano
fare riferimento al maestro zen giapponese Dogen, vissuto nel tredicesimo
secolo, la cui famosa affermazione sul dharma si poteva leggere nel
programma della conferenza: "Studiare il buddismo vuol dire studiare il sé.
Ma studiare il sé vuol dire obliare il sé. E obliare il sé vuol dire venire
illuminati da tutte le cose".

Gli psicoterapeuti, nella loro attrazione verso il buddismo, avevano
cominciato a recuperare le possibilità spirituali inerenti al loro lavoro.
Nello studio del sé, avevano scoperto da soli quel curioso principio su cui
si basa tutta la visione buddista: più ci concentriamo sul sé, più questo
diventa difficile da localizzare. È come cercare di isolare un elettrone:
più cerchiamo di vederlo come una particella, più esso si comporta come
un'onda.
I terapisti si erano ritrovati nella posizione del poeta Wallace Stevens,
nella sua famosa opera Sedici modi di guardare un merlo:

Non so cosa preferire
La bellezza delle inflessioni
O quella delle allusioni
Il fischio del merlo
O subito dopo.

La psicologia occidentale è stata nella posizione di concentrare la sua
attenzione sul fischio del sé. Ma dedicandosi a quel fischio, ha cominciato
a comprendere quanto fosse grande la bellezza delle allusioni che stava
perdendo. Molti terapisti sentono che il buddismo ha qualcosa di importante
da insegnare sul "subito dopo", sui benefici derivanti dal superamento di
un'esclusiva
identificazione con il sé.

Ma gli insegnanti buddisti hanno dovuto affrontare le implicazioni
dell'ultima
parte dell'affermazione di Dogen: "Obliare il sé vuol dire venire illuminati
da tutte le cose". "Tutte le cose" sono anche la vita emozionale. In
occidente, la vita emozionale insiste sull'attenzione. Il buddismo, grazie
all'incontro con una cultura imbevuta di terapia, ha dovuto affrontare una
moltitudine di temi emozionali che le tradizionali società orientali
relegano alla sfera privata.

A uno dei primi incontri tra maestri buddisti asiatici e terapisti e
insegnanti del dharma occidentali, per esempio, il Dalai Lama rimase assai
meravigliato da quel concetto di "bassa autostima" di cui sentiva tanto
parlare. Essa era completamente estranea alla sua esperienza. Alla fine andò
in giro per la sala, chiedendo a ognuno degli occidentali presenti: «Tu hai
questo? Tu hai questo?», scuotendo il capo in segno di incredulità quando
ciascuno di loro gli rispondeva di sì. Per lui, tutto ciò era tanto strano
quanto, per il lama della conferenza, quell'affermazione proveniente dal
pubblico. Nel mondo del Dalai Lama, la presenza di un forte e sicuro
sentimento di sé è data per scontata, mentre nei praticanti buddisti
provenienti dalla nostra cultura spesso esistono sentimenti di inquietudine
e insicurezza molto forti.

In occidente, il dharma ha dovuto adattarsi a temi emozionali come la bassa
autostima, mentre gli insegnanti buddisti, nonostante la scarsa
dimestichezza con molti principi della psicoterapia e della personalità
occidentali, si sono ritrovati a rendere incerta la linea divisoria tra
insegnante e terapista. I bisogni dei loro studenti li hanno costretti a
scavare a fondo nel substrato psicologico degli insegnamenti buddisti e a
familiarizzare con le terapie occidentali, arrivando a creare nuove forme di
dharma in cui i temi emozionali non sono relegati nell'ombra.

Alla stessa conferenza degli anni '80, lo psichiatra britannico R. D. Laing
fece una delle sue ultime apparizioni pubbliche. "Abbiamo tutti paura di tre
cose", disse con voce tonante alla folla riunita; "Abbiamo paura l'uno
dell'altro,
della nostra mente e della morte". Egli sottintendeva che sia il buddismo
che la psicoterapia ci aiutano ad affrontare queste paure. Nessuna
tradizione può rivendicare l'egemonia su di esse. Grazie alla scoperta l'una
dell'altra, avvenuta nel decennio passato, queste due tradizioni di saggezza
non hanno soltanto avviato un fruttuoso dialogo, ma hanno anche accelerato
la propria evoluzione, rendendo possibile una psicoterapia più spirituale e
un buddismo più psicodinamico. Come ogni relazione vitale, quella tra
psicoterapia e buddismo non sarà priva di conflitti, ma il potenziale di
un'unione
feconda dipende esclusivamente da noi.

--

Mark Epstein è uno psichiatra che esercita a New York. Inoltre, è autore di
La continuità d'essere (Astrolabio, 2002), Lasciarsi andare per non cadere
in pezzi (Neri Pozza. 1999), Thoughts Without a Thinker (HarperCollins,
1996) e Going On Being (Broadway Books, 2001).

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