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SCHEDA ARTICOLO N. «01272»

CLASSIFICAZIONE: 2
TIPOLOGIA: BUDDISMO
AUTORE: VENERABILE AJAHN SUMEDHO
TITOLO: L'ISOLA OLTRE LA QUALE NON SI PUO' ANDARE
SPAZIATORE bianco

TESTO ARTICOLO

> Del venerabile Ajahn Sumedho

>
> Ass. Santacittarama, 2006. Tutti i diritti sono riservati.
> SOLTANTO PER DISTRIBUZIONE GRATUITA.
> Traduzione di Silvana Ziviana.
>
> Estratto dall'introduzione del libro di prossima uscita The Island: An
> Anthology of the Buddha's Teachings on Nibbana, di Ajahn Pasanno e Ajahn
> Amaro, che sarà pubblicato nell'autunno del 2006 (www.abhayagiri.org).
>
> ° ° ° ° °
>
> Una difficoltà che si incontra con la parola Nibbana è che il suo
> significato va oltre la capacità di descrizione delle parole. E'
> essenzialmente indefinibile.
> Un'altra difficoltà è che molti buddhisti considerano il Nibbana come
> qualcosa di irraggiungibile, talmente sublime e remoto che non vale
> neanche
> la pena di tentare di arrivarci. Oppure vediamo il Nibbana come una meta,
> come un qualcosa di sconosciuto e indefinito che dobbiamo cercare di
> ottenere in qualche modo.
> Molti di noi hanno questo tipo di condizionamento. Vogliamo ottenere o
> raggiungere ciò che in questo momento non abbiamo. Perciò si considera il
> Nibbana come un premio che si può ottenere impegnandosi a lavorare
> duramente, a mantenere sila (i precetti), a meditare con diligenza, a
> diventare un monaco, a dedicare la propria vita alla pratica; allora si
> otterrà il Nibbana, pur non sapendo che cosa esso sia realmente.
>
> Ajahn Chah usava definire il Nibbana come la "realtà del non-attaccamento.
> Questo aiuta a inserirlo in un contesto, perché l'accento va posto sul
> fatto
> di risvegliarsi al nostro attaccamento, al nostro aggrapparsi perfino alle
> parole Nibbana o Buddhismo o pratica o sila o qualsiasi altra cosa.
>
> Spesso si dice che la via buddhista è quella del non attaccamento. Ma
> questa
> definizione può diventare una prospettiva a cui ci attacchiamo, a cui ci
> aggrappiamo. E' un circolo vizioso. Più tentate di dargli un senso, più la
> confusione si fa totale, a causa delle limitazioni del linguaggio e della
> percezione. Bisogna andare oltre il linguaggio e la percezione. E l'unico
> modo per andare oltre il pensiero e le solite emozioni è quello di esserne
> consapevoli, consapevoli dei pensieri, consapevoli delle emozioni.
> "L'isola
> oltre la quale non si può andare" è una metafora per definire questo stato
> in cui si è svegli e consapevoli, totalmente opposto al concetto di
> diventare svegli e consapevoli.
>
> Nei corsi di meditazione, spesso la gente comincia con un atteggiamento
> sbagliato, che dà per scontate alcune esperienze mentali. Infatti può
> esservi l'idea che c'è un "io che si attacca e che ha un sacco di
> desideri.
> Perciò bisogna praticare per liberarsi da questi desideri, per smetterla
> di
> attaccarsi e aggrapparsi alle cose. Non bisogna attaccarsi a nulla".
> Spesso
> è da qui che si comincia. Cominciamo a praticare partendo da questa base e
> molte volte si finisce con l'essere disillusi e frustrati, perché basiamo
> la
> pratica stessa sull'attaccamento a un'idea.
>
> Infine comprendiamo che, per quanto cerchiamo di liberarci dai desideri,
> per
> quanto cerchiamo di non attaccarci a nulla, qualsiasi cosa facciamo -
> diventare monaci, asceti, sedere ora dopo ora, fare ritiri uno dietro
> l'altro,
> fare tutto il possibile per liberarci da questa tendenza ad attaccarci -
> finiamo con l'essere frustrati, perché non abbiamo mai riconosciuto
> l'illusione
> che sta alla base di tutto ciò.
>
> Per questo la metafora "L'isola oltre la quale non si può andare" è così
> potente, perché indica il principio di una consapevolezza oltre la quale
> non
> si può andare. E' semplicissimo, è diretto, e non lo si può concepire.
> Dovete solo fidarvi, fidarvi di questa semplice capacità, che tutti
> abbiamo,
> di essere completamente presenti e completamente svegli, e cominciare a
> prendere atto dell'attaccamento e delle idee che abbiamo su noi stessi,
> sul
> mondo che ci circonda, sui pensieri, le percezioni e le sensazioni.
>
> La via della consapevolezza passa per il luogo in cui si riconoscono le
> condizioni così come sono. Semplicemente le riconosciamo e prendiamo atto
> della loro presenza, senza biasimarle o giudicarle, senza criticarle o
> approvarle. Sia positive che negative, lasciamo che siano come sono. E man
> mano che proseguiamo fiduciosi su questa via di consapevolezza,
> cominceremo
> a capire la realtà dell' "Isola oltre la quale non si può andare".
>
> Quando cominciai a praticare la meditazione sentii che avevo molta
> confusione, e volevo uscire da questa confusione, liberarmi dei miei
> problemi, e diventare uno senza confusione, uno che sapeva pensare
> chiaramente, uno che forse un giorno sarebbe diventato un illuminato.
> Questo
> fu l'impulso che mi portò verso la meditazione buddhista e la vita
> monastica.
>
> Ma poi, riflettendo su questo punto, comprendendo che "io sono qualcuno
> che
> ha bisogno di fare qualcosa", cominciai a vedere che era una condizione
> creata da me. Era un presupposto, una teoria che io avevo creato. E se
> avessi agito da questa prospettiva, avrei senz'altro potuto sviluppare
> molte
> capacità e avrei senz'altro potuto vivere una vita meritevole, buona e
> benefica per me e per gli altri, ma, alla fine, sarei rimasto frustrato di
> non aver raggiunto il Nibbana.
>
> Per fortuna l'intera vita monastica è basata sul fatto che tutto è diretto
> verso il presente. Impariamo continuamente a riconoscere e a confrontarci
> con le teorie che abbiamo su noi stessi. L'assunto che "io sono uno che
> deve
> fare qualcosa per diventare illuminato nel futuro" è la sfida più
> importante
> con cui confrontarci. Solo riconoscendolo come un pregiudizio creato da
> noi,
> la consapevolezza sa che è creato dall'ignoranza, dalla mancanza di
> comprensione. Quando vediamo e riconosciamo ciò totalmente, smetteremo di
> creare tali assunti.
>
> Consapevolezza non vuol dire giudicare i pensieri o le emozioni, le azioni
> o
> le parole. Consapevolezza vuol dire conoscere queste cose completamente,
> che
> sono cioè ciò che sono, in questo preciso momento. Per questo ho trovato
> molto utile imparare ad essere consapevole delle condizioni senza
> giudicarle. In questo modo, viene riconosciuto pienamente il karma
> risultante dalle passate azioni e parole, così come si manifesta nel
> presente, senza aggiungerci nulla, senza farne un problema. Ciò che sorge,
> cessa. Nel momento in cui riconosciamo ciò e lasciamo che le esperienze
> cessino secondo la loro natura, la realizzazione della cessazione aumenta
> la
> fede nella pratica del non-attaccamento e del lasciare andare.
>
> L'attaccamento che abbiamo, anche verso le scelte positive come il
> buddhismo, può essere considerato anch'esso un attaccamento che ci acceca.
> Ciò non significa che dobbiamo liberarci del buddhismo. Semplicemente
> riconosciamo l'attaccamento come attaccamento e vediamo che lo stiamo
> creando a causa dell'ignoranza. Man mano che si continua a riflettere su
> ciò, la tendenza verso l'attaccamento svanisce e la realtà del
> non-attaccamento, del non aggrapparsi, si rivela in ciò che possiamo
> considerare il Nibbana.
>
> Se lo vediamo in questo modo, il Nibbana è qui e ora. Non è qualcosa da
> raggiungere in futuro. La realtà è qui e ora. E' molto semplice, ma va
> oltre
> qualsiasi descrizione. Non può essere dato né trasmesso, può solo essere
> conosciuto da ogni persona individualmente.
>
> Quando uno comincia a realizzare o a conoscere che il non-attaccamento è
> la
> Via, può capitare che uno senta un forte senso di paura. Sembra quasi che
> ci
> sia una specie di annullamento: tutto ciò che penso di essere nel mondo,
> tutto ciò che considero stabile e reale, comincia a cadere in pezzi; può
> essere veramente spaventoso. Ma se abbiamo abbastanza fede da sopportare
> queste reazioni emotive e se lasciamo che le cose sorte svaniscano secondo
> la loro natura, allora troveremo stabilità non nell'ottenere o nel
> raggiungere, ma nell'essere - essere svegli, essere consapevoli.
>
> Anni fa, in un libro di William James, The Varieties of Religious
> Experience, ho trovato una poesia di Charles A. Swinburne. Pur avendo -
> come
> alcuni hanno detto - una mente turbata, Swinburne ci ha lasciato
> riflessioni
> molto pregnanti.
>
> Qui comincia il mare che finisce solo con la fine del mondo.
> Da dove stiamo,
> Se potessimo conoscere il segno della prossima alta marea posta oltre a
> queste onde che luccicano
> potremmo conoscere ciò che nessun uomo ha conosciuto,
> ciò che nessun occhio umano ha scrutato...
> Ah, ma qui il cuore umano fa un balzo, struggendosi per quell'oscurità con
> temeraria baldanza
> dalla riva che non ha altra riva più oltre, posta in tutto il mare.
> (da On the Verge in A Midsummer Vacation)
>
> Ho trovato in questa poesia un eco della risposta che il Buddha dette alla
> domanda di Kappa nel Sutta-Nipata:
>
> Poi ci fu lo studente bramino Kappa:
>
> "Signore, disse, c'è gente che sta in mezzo alla corrente terrorizzata e
> piena di paura per lo scorrere del fiume dell'esistenza, mentre la morte e
> il decadimento incombono su di essa. Per il suo bene, Signore, ditemi dove
> posso trovare un'isola, ditemi se c'è una terraferma, su cui non possa
> giungere tutto questo dolore".
>
> "Kappa, disse il Maestro, per il bene di quelli che stanno in mezzo alla
> corrente dell'esistenza, sopraffatti dalla morte e dal decadimento, ti
> dirò
> dove puoi trovare terraferma.
>
> C'è un'isola, un'isola oltre la quale non puoi andare. E' un luogo di
> non-esistenza, un luogo di non-possesso e di non-attaccamento. E' la fine
> assoluta della morte e del decadimento, e per questo lo chiamo Nibbana
> [estinto, fresco o calmo].
>
> C'è gente che, in piena consapevolezza, lo ha realizzato e si è estinta
> completamente qui e ora. Queste persone non diventano schiave che lavorano
> per Mara, per la Morte; non possono più cadere in suo potere".
> (da Sn 1092-95, traduzione inglese del Ven. Saddhatissa)
>
> La parola non-esistenza può suonare come annichilimento, annullamento. Ma
> sottolineando "esistenza" diventa solo "non-esistenza", per cui il Nibbana
> non è una esistenza da trovare. E' il posto della non-esistenza, del
> non-possesso, un luogo di non-attaccamento. E' un luogo in cui, come
> diceva
> Ajahn Chah, si sperimenta "la realtà del non-attaccamento".

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