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SCHEDA ARTICOLO N. «01281»

CLASSIFICAZIONE: 5
TIPOLOGIA: AFFINE
AUTORE: FABIO GABRIELLI
TITOLO: LA SETE DI INFINITO
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TESTO ARTICOLO

La sete di infinito

(di Fabio Gabrielli)

(L'inquietudine come desiderio irrisolto di una mancanza di fondo, come
insopprimibile esigenza umana di ciò che è straordinario e maestoso:
l'Infinito)



L'inquietudine, come modo instabile di abitare il mondo, è sentimento di una
mancanza, desiderio di un "qualcosa" che non possediamo. L'analisi di Locke
sull'inquietudine coglie nel segno: « Il disagio che un uomo avverte per
l'assenza di una cosa qualunque la cui presenza attuale porta con sé l'idea
di piacere, è ciò che chiamiamo desiderio».

Inquietudine e desiderio per Locke, dunque, si identificano, poiché anche il
bene più grande, pur riconosciuto come tale, non muove la volontà finché il
nostro desiderio non ci abbia reso inquieti per la sua effettiva mancanza.
Non a caso, un altro grande filosofo, Condillac, parla di inquietudine o
tormento, insomma di indicibile sofferenza, quando c'è privazione di
qualcosa che desideriamo fortemente; se, di contro, il desiderio s'appunta
su una mancanza di poco conto c'è solo "malessere o leggero dispiacere".

Inquietudine e desiderio della mancanza rinviano ad una sorta di angoscioso
struggimento per un amore non corrisposto da parte della vita, di questa
vita, che vorremmo totalizzante, appagante, espressiva di un'assoluta
pienezza di senso che, in realtà, non le appartiene.

Insomma, la volontà è strutturalmente inquieta, poiché spera
nell'introvabile; ama ciò che è straordinario, maestoso; partecipa
dell'infinito; cerca in ciò che non le è noto quello che non trova nelle
cose comuni, quotidiane.

L'uomo, in altri termini, si vede come un essere divaricato tra desiderio e
assenza, come un essere irrisolto, frustrato, come proiezione solo ideale
verso un Oltre - l'Infinito - che sempre gli sfugge, perché la natura umana
è contraddistinta dal destino di abitare un mondo contingente.

Eppure, siamo al mondo per desiderare il possesso dell'impossibile, per
tentare di conoscere l'inconoscibile, per articolare un discorso di senso
sull'indicibile, per dare voce, insomma, all'essenza più profonda
dell'inquietudine,
quella religiosa.

Nelle straordinarie riflessioni di Pascal, oggetto del nostro prossimo
intervento, ritroveremo tutta la dirompente vitalità esistenziale propria
dell'inquietudine religiosa, in questo caso riferita al cristianesimo, ma
estensibile, in un discorso più ampio, anche ad altre forme religiose.

Per il momento è sufficiente ricordare le parole di un filosofo
contemporaneo, Salvatore Natoli, il cui pensiero di fondo non è certo
espressivo di una concezione cristiana dell'uomo e della
storia:«L'inquietudine
non è un sentimento recente. Non v'è dubbio, però, che, come dice Deprun, è
in prevalenza un sentimento moderno.

È tra l'altro un sentimento che trova nel cristianesimo una delle sue più
originarie e originali matrici. Seppure non è stato il cristianesimo a
generare il sentimento d'inquietudine, di certo lo ha fortemente
accentuato».

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