Sveglia kundalini!
(di Patrizia Spinato)
Le avevo provate tutte. O quasi. Continuavano a dirmi che era normale perdere dai cinquanta ai cento capelli al giorno. Non mi ero presa il disturbo di contarli, ma la situazione era davvero drammatica a giudicare dai cespugli che mi rimanevano in mano ogni qualvolta li lavavo, quasi a deridere, beffardi, i superstiti che rimanevano ostinatamente appesi al mio cranio.
A nulla erano serviti i chili di integratori ingurgitati e i litri di fiale anticaduta e proricrescita che mi ero riversata in testa, se non ad assottigliare ulteriormente il mio conto corrente, a beneficio di quello del farmacista sotto casa. Ormai ero disperata. Ma forse c'era un'ultima chance.
Da qualche mese frequentavo saltuariamente un centro ayurvedico, e una delle socie mi aveva proposto tempo addietro un trattamento ad hoc per il mio problema. Il panico di fronte all'incipiente calvizie era superiore al nodo allo stomaco provocato dalla cifra del preventivo, quindi decisi di tentare quell'ultima strada prima di optare per un toupet.
La fanciulla mi propose un'ulteriore soluzione: se la causa del malanno era lo stress, a poco sarebbero serviti uno o dieci massaggi. E lì nacque il primo sospetto. Il secondo, concretizzatosi in una familiare artigliata al ventre, divenne una sirena d'allarme quando la stessa ragazza mi suggerì il rimedio universale, un meraviglioso corso di yoga tenuto dal suo Maestro, una persona davvero speciale appena arrivata da Madre Russia, con un'esperienza notevole alle spalle, che era addirittura in grado fare una lettura "a occhio nudo" dei miei malandati chakra. In breve: un vero guru.
La descrizione dei benefici di quell'attività chiamò in causa gli stessi, identici argomenti che la tizia aveva sciorinato mesi prima invitandomi a partecipare al suo gruppo di preghiera, una forma di culto buddista-giapponese che avrebbe trasformato la mia zoppicante vita in un paradiso sulla terra. L'istinto mi diceva di voltare il sedere e andarmene, ma lei aveva già chiesto al Maestro, che casualmente si trovava in una delle cabine del centro, di parlare un po' con me.
Non so se mi inquietò di più l'aspetto di quel Rasputin metropolitano, il suo inglese improbabile, o il fatto che ripetesse la stessa solfa, con le stesse, identiche parole già usate dalla creatura che ora pendeva dalle sue labbra, quasi in estasi, mentre lui cercava di istruire me. Non ero granché convinta, e allo scetticismo contribuivano le pressioni della fanciulla a iscrivermi: le richieste erano tante, lo spazio scarso, il tempo stringeva, e trecento euro per dodici lezioni erano davvero un'inezia.
Probabilmente avrei lasciato perdere. Ma poche ore più tardi ne parlai al mio ormai ex compagno, il quale con la solita, consumata saccenza accompagnata da un sorrisetto beffardo mi disse che riteneva improbabile che proprio io, un vulcano perennemente in eruzione, fossi in grado di rimanere ferma un'ora e mezzo a meditare sulla perfezione del mio spirito.
Non ci volle altro. Erano le paroline magiche, il vecchio ritornello intonato da mio padre quando cercavo di comunicargli l'entusiasmo o quantomeno l'intenzione di imbarcarmi in un progetto qualunque: tanto non sei capace, non ce la farai mai, che cosa credi di fare, tu?, e via di questo passo. Ci avevo messo un po' per capire che era ogni volta l'ennesimo, meschino tentativo di spezzarmi le gambe, di tarparmi le ali, per rendermi una fallita qual era lui. Si illudeva che in quel modo sarei rimasta accovacciata sullo zerbino di casa sua a fargli compagnia. Gli era andata male. Andò meglio al mio ex compagno, ma per cause indipendenti dalla mia volontà.
Il corso sarebbe iniziato due giorni dopo. E due giorni dopo, armata di tappetino comprato per l'occasione e del pareo con cui avrei dovuto ricoprire il suddetto per "mantenere la mia energia", andai alla lezione di yoga... Grazie a uno dei non troppo rari prodigi della mia intuizione, preferii rimandare al termine della serata la firma dell'assegno.
Mi avevano assicurato che il corso era per principianti. E cominciò bene. I guai arrivarono non appena terminati gli esercizi di rilassamento. Bastarono pochi istanti per rendermi conto di essere finita nelle mani di un pazzo furioso, che nell'ora successiva costrinse me e altri due malcapitati a un tour de force di posizioni allucinanti, in uno spazio insufficiente per muoversi e come se non bastasse a una velocità assurda.
Altro che un'ora e mezzo seduta a meditare! E mentre mi affannavo nel tentativo di imitare le contorsioni di quello pseudoguru, pregavo che succedesse qualcosa, qualunque cosa potesse far cessare quello strazio prima di fratturarmi un osso: un black out, un terremoto, l'allagamento del palazzo, un missile davvero intelligente diretto alle finestre del centro. Finestre sulle quali la mia proiezione astrale si era spalmata sperando in un aiuto esterno, un disperato urlo di Munk che attendeva vanamente un miracolo.
Accadde qualcosa di molto meno drammatico, ma ugualmente efficace. Avevo smesso di partecipare a quel balletto di scimmie non ammaestrate e ormai fissavo il Maestro a braccia conserte, seduta su mio nuovissimo tappetino. Me ne sarei andata in buon ordine al termine della "lezione" se lui non si fosse avvicinato a me tentando di farmi assumere l'asana della candela. Quando gli intimai di allontanarsi, la fanciulla, con la quale credo lui intrattenesse molto più di un rapporto professionale, mi chiese, offesa, perché mi stavo comportando in quel modo.
A quel punto non potei più resistere, mi alzai, andai a recuperare le scarpe e il giaccone e mi diressi alla porta senza aver firmato alcun assegno, mentre lei prorompeva in commenti scandalizzati e increduli. Morale della favola: tanto per cambiare, era colpa mia. Conclusione della serata: tornai a casa tremando come una foglia, incavolata come una biscia e in lacrime. Avevo accumulato una scorta di rabbia per i due anni seguenti, nel caso ne avessi avuto bisogno. Se era quello lo yoga che doveva servire a rilassarmi, a eliminare lo stress e le conseguenti somatizzazioni, no grazie.
Sì, era decisamente colpa mia, perché non riuscivo a capire. Forse per loro il "profondo cambiamento interiore" a cui quelle "lezioni" avrebbero dovuto condurre si riduceva a quel "lùcc insaid iour bodi" ripetuto più volte dal Maestro mentre noi cercavamo di rimanere in equilibrio su una gamba sola, un piede incastrato nell'incavo del ginocchio opposto, le braccia attorcigliate e le mani giunte davanti al naso. No, la mia idea dello yoga era decisamente diversa. Ma non era ancora finita.
Pochi giorni dopo, l'eterea fanciulla mi chiamò (credo che in gergo si definisca politica di recupero clienti) dicendomi che voleva capire (lei) cosa mi fosse successo. Ne aveva addirittura parlato con il Maestro, il quale le aveva detto che lo yoga spesso provoca dei cambiamenti così significativi da risultare insopportabili al soggetto del cambiamento stesso. Insomma, secondo loro quella "lezione" aveva smosso troppe cose dentro di me, provocando quella reazione inusitata e violenta (?!?) da parte mia.
Ero ammutolita, ciononostante riuscii a ribattere, sebbene con un giro di parole più diplomatico, che l'unica cosa fossero riusciti a smuovermi, e di parecchio, erano le scatole....
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