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SCHEDA ARTICOLO N. «01402»

CLASSIFICAZIONE: 2
TIPOLOGIA: BUDDISMO
AUTORE: CHRISTINA FELMANN
TITOLO: LA CHIARA INTENZIONE
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TESTO ARTICOLO

La chiara intenzione

(di Christina Felmann)

-

Il sacro viaggio -

La storia dell’illuminazione del Buddha è una delle storie di maggiore
ispirazione nella tradizione buddhista. Si dice che quando il Buddha
sedeva sotto l’albero della bodhi alla vigilia della sua
illuminazione, sedesse animato da una incrollabile risoluzione di
essere presente e immobile fino all’illuminazione: finché non si fosse
risvegliato a quel che è vero e avesse compreso quel che è essere
liberi.

Mara, o la forza dell’illusione, gli si accostò a sera, presentandogli
un ventaglio di tentazioni per distoglierlo dall’intenzione di
risvegliarsi. Lo accostò con promesse di piaceri. Gli si presentò
nelle forme della lussuria e dell’avidità. Nelle forme del dubbio,
della rabbia e dell’odio. E la risposta di Siddharta non fu quella di
lasciarsi prendere dal panico o di resistere, né di agitarsi o cedere
alla paura, ma soltanto di dire a tutte queste forme assunte da Mara:
"Io ti conosco." E quell’intenzione di vedere con chiarezza, di
aprirsi con tutto il cuore, senza resistenza o brama, fu così potente
da dissolvere il potere di Mara. Si racconta che le frecce avvelenate
di Mara, incontrandosi con questa incrollabile risoluzione e
dedizione, si trasformarono in fiori.

Questa storia del Buddha non è altro che una storia di impegno e di
visione profonda. È una storia di intenzioni profonde e chiare e la
presenza di queste qualità la rende una storia senza tempo. Una storia
da cui tutti noi possiamo trarre ispirazione. Si tratta di una storia
universale che non si trova soltanto nella tradizione buddhista. Una
storia archetipica presente in tutte le tradizioni; la storia di un
pellegrinaggio, di una ricerca, dell’inizio di un sacro viaggio.

Provate a immaginare come sarebbe differente se nella storia
mancassero queste qualità di inflessibile intenzione e visione
profonda: avremmo la storia di un Siddharta che vaga qui e là
confusamente e che, a un certo punto, accidentalmente va a sbattere
nell’albero della bodhi, e si dice: "Beh, sediamoci qui per un po’ di
tempo, a patto che non faccia troppo caldo e le zanzare non vengano a
darmi fastidio." Magari ha portato con sé il necessario per un pic-nic
e qualche servitore, "Sediamoci qui fino a quando le ginocchia non si
lamentano e cominciano a dolermi e poi me ne ritorno al palazzo dove
c’è una bella festa." Se le cose si fossero svolte così tutta la
tradizione buddhista andrebbe riscritta.

Per un ritiro di meditazione avremmo a disposizione dei letti qui con
noi, avremmo dei camerieri per servirci bevande fresche e massaggi.
Potreste pensare che è una buona idea ma non è quello che facciamo.

Partecipando a un ritiro di meditazione, siamo invitati a considerare
questo tempo come quello in cui entriamo in uno spazio sacro e in cui
iniziamo il nostro pellegrinaggio. In un certo senso ciascuno di noi
viene a sedersi sotto il suo albero della bodhi. Ciò non vuol dire che
il nostro viaggio debba essere una copia di quello del Buddha:
arriviamo al ritiro con le nostre storie personali, con la nostra
storia di vita, con aspirazioni e ideali che sono nostri e
appartengono a noi soltanto.

Al tempo stesso ci sono temi paralleli tra il nostro viaggio e quello
di Siddharta, così come tra tutti coloro che vanno in pellegrinaggio.
La gran parte di noi non arriva qui per caso o perché non avevamo
nient’altro di meglio da fare per il fine settimana, ma perché
attratta verso questo sentiero da un desiderio e un’intuizione che
nascono dal profondo del cuore. Il desiderio di mettere fine a
separatezza, sofferenza e conflittualità, il desiderio di pace,
comprensione e libertà. Il desiderio di lasciar andare le cause della
sofferenza grazie alla saggezza e alla compassione, nutrendo quelle
qualità del cuore e della mente che conducono a unità e libertà.

Siddharta viene visitato e assalito dai poteri di Mara per la durata
di una notte; le tentazioni furono dissolte dal potere della sua
visione profonda delle chiare intenzioni. Nella storia di Siddharta è
rappresentato ovviamente un mondo molto ideale; possiamo tutti
constatare che i nostri impedimenti interni durano più di una notte.
Questi ostacoli il Buddha li chiamò oscuramenti: forze del cuore e
della mente che obnubilano la visione, che portano alla confusione e a
perdersi. Si tratta spesso di visitatori ripetitivi che la forza di
volontà, la resistenza o l’agitazione non bastano a dissolvere, ma da
cui veniamo liberati dal potere delle chiare intenzioni e della chiara
visione.

È la saggia intenzione che ci salva dal perderci.

- Nutrire la retta intenzione -

Nella tradizione Zen e Mahayana, forse tutti abbiamo ascoltato
innumerevoli storie di persone a cui fu chiesto di aspettare fuori
dalle porte del tempio, o di svolgere compiti mondani, prima di venire
accolti e introdotti alla meditazione. Il tempo speso in queste
occupazioni non era concepito come una punizione, ma come un tempo per
riflettere su cosa ci muove e ci motiva alla pratica.

Io stessa ho avuto un’esperienza molto simile quando ho iniziato a
praticare. Per molte settimane di seguito andai dall’insegnante
chiedendogli di essere istruita nella meditazione e lui regolarmente
mi rispondeva con un grugnito o un no, oppure mi mandava via
dicendomi: "Domani". Finalmente, dopo molte settimane, mi diede un
pacco di spaghetti, che poteva significare la mia accettazione come
studente. Non imparai molto da quella esperienza: perché non appena
ebbi in mano gli spaghetti subito gli chiesi di istruirmi alle
pratiche tantriche. L’insegnante aveva ormai una certa esperienza con
i praticanti occidentali, tirò un gran sospiro e mi mandò a meditare
per un altro po’ di mesi sulle mie motivazioni. Questa enfasi sulla
chiara intenzione è il cuore del cammino meditativo.

Un ritiro ci offre l’occasione per fermare le nostre vite, il tempo
per riflettere e ritornare a casa, dentro di noi. È un’opportunità per
lasciare andare i nostri coinvolgimenti col mondo e coltivare la
semplicità, è un tempo dedicato al risveglio, alla presenza in noi
stessi, in questo momento. Ed è proprio questa intenzione a rendere
sacri il nostro tempo e il nostro spazio.

Non c’è nulla di intrinsecamente mondano nello stare seduti in treno o
andare al mercato né di intrinsecamente spirituale nel sedere sopra un
cuscino. Tutti i momenti e tutti i luoghi hanno il profumo
dell’intenzione che vi infondiamo. Spesso arriviamo a un ritiro con
intenzioni molto generiche, come del resto accade nella vita e nelle
nostre relazioni: in termini generali, vorremmo che esse fossero
sempre significative, compassionevoli e ricche. Nello stesso modo
vorremmo che la nostra meditazione fosse un tempo di pace e di calma.
Iniziamo con l’intenzione generale di cercare risposte e modi per
essere felici e prenderci cura di noi stessi. Queste intenzioni
generali e generalizzate sono di fatto quelle che ci hanno portato
qui, ma una volta arrivati abbiamo bisogno di qualcosa di più, di
mettere in pratica le nostre intenzioni.

Sappiamo tutti che ci sono molti modi di sedere sul cuscino di
meditazione e non ci sono spie psichiche in questa stanza: nessuno,
eccetto voi stessi, sa e conosce quel che fate quando siete seduti sul
cuscino di meditazione. Possiamo sedere con l’apparenza di un grande
yogin, la postura impeccabile, ma interiormente sappiamo che l’intera
seduta può essere dedicata alla lista della spesa o alla
risistemazione dei mobili di casa.

Una volta una persona andò da Ajahn Chah manifestando soddisfazione
per il progresso della propria pratica e gli disse: "Penso davvero di
aver bisogno di sedermi molto più a lungo!" e Ajahn Chah rispose: "I
polli sono molto bravi a stare seduti a lungo, ma non ho ancora
incontrato un pollo illuminato." La nostra pratica è qualcosa di più
che accumulare tempo di meditazione o avere la giusta postura e il
giusto stile nella camminata. Ha a che fare con il potere di visione
profonda e con l’impegno che ci mettiamo. Ovviamente, quando ci
sediamo incontriamo molti dei nostri demoni e delle nostre ombre, le
forze del cuore e della mente, con le quali è difficile e penoso stare
insieme, oppure ci perdiamo in uno stato di negatività, di sonnolenza
o in ossessioni varie: si tratta di uno stato doloroso. Siamo anche
consapevoli di quanto sia facile nella vita come durante la
meditazione divagare in continuazione in territori familiari,
perdendoci nelle nostre storie passate, presenti o future. Ed è qui
che la chiara intenzione applicata diventa una luce guida.

Alcuni anni fa quando ero in India ho fatto le cose usuali e note ai
‘turisti dello spirito’, cioè visitare i guru più eminenti del tempo.
Nell’India del sud c’era un guru che si chiamava Pundit Swami: un
contadino l’aveva scoperto che era sepolto lungo l’argine di un fiume.
Quando venne tirato fuori e trovato vivo fu naturalmente subito
promosso santo e alcuni devoti lo misero sopra un carro. Iniziarono ad
arrivare da tutto il mondo per visitare Pundit Swami.

Alcuni dichiaravano di aver avuto esperienze straordinarie, per
esempio che Pundit Swami aveva parlato con loro in svedese, tedesco o
italiano, ma la realtà è che Pundit Swami era uno swami silenzioso,
non parlava affatto, emetteva solo qualche breve grugnito. Alcuni
venivano per vederlo e dopo l’incontro si allontanavano molto più
aperti. Altri se ne andavano dicendo che non gli era successo
assolutamente nulla e che secondo loro Pundit Swami non era un santo
ma uno che soffriva di qualche malattia mentale. Ma in un certo senso
tutto questo non era importante perché per coloro che avevano
l’intenzione di essere aperti e presenti la magia del momento era
proprio rappresentata dalla pienezza di questa intenzione e dalla loro
ricettività, indipendentemente da quanto Pundit Swami dicesse o non
dicesse. Era la capacità di essere toccati dal momento a produrre in
loro la trasformazione.

Ricordo comunque che Pundit Swami restò seduto su quel carro per 25
anni, certamente qualcosa di notevole se confrontato con gli usuali 45
minuti delle nostre sedute sul cuscino...

- La libertà di scelta -

Credo che sia il darsi alla meditazione con tutto il cuore e con
apertura a renderla un’esperienza trasformatrice, perché nella
pienezza di cuore e nell’apertura troviamo la capacità di
meravigliarci, di essere sorpresi e a me sembra che la nostra
potenzialità di crescere e di svilupparci come essere umani sia
collegata proprio a questa capacità, perché è allora che possiamo
imparare, invece di vivere in un mondo di concetti e immagini. A volte
pensiamo di conoscere davvero gli altri e noi stessi, ma in realtà
conosciamo solo ciò che pensiamo di loro, lasciando molto poco posto
per la sorpresa.

Il Buddha ha parlato di due generi, o due dimensioni, dell’intenzione:
ha detto che da una parte ci sono le intenzioni che portano al dolore
e dall’altra quelle che portano alla libertà nella nostra vita. Le
prime sono le intenzioni e le inclinazioni rivolte al volere e
all’afferrare, al perseguire e al trattenere le sensazioni piacevoli,
quelle rivolte all’avversione, alla malevolenza, alla crudeltà. Esse
portano alla sofferenza nostra e altrui, ostruiscono la saggezza,
aprono la strada a difficoltà e conflitti e ci fanno deviare dalla
strada della libertà. Ha poi parlato della dimensione delle intenzioni
che portano alla libertà e alla comprensione, non come ideali o sogni
sul nostro futuro, ma come intenzioni da incarnare e coltivare
applicandole in ogni momento della nostra vita. Ha parlato
dell’intenzione di lasciar andare, delle intenzioni di rinuncia, di
gentilezza amorevole, amicizia, accettazione e di compassione. Ha
detto che sono queste le intenzioni che conducono al benessere e alla
felicità, nostra e altrui, che nutrono la saggezza e la comprensione e
che ci donano la chiarezza e la libertà.

C’è una gran quantità di inclinazioni che il Buddha non ha mai
menzionato: non ha mai incoraggiato la coltivazione dell’intenzione di
indugiare, di accomodare e di rendere perfetto. Ciò a cui
frequentemente pensiamo e su cui indugiamo diventerà l’inclinazione e
la forma della nostra mente; ciò a cui ripetutamente prestiamo
attenzione darà forma e sapore al mondo in cui viviamo, sia
internamente sia esternamente. A sua volta ciò a cui prestiamo
attenzione è influenzato dalle nostre intenzioni: l’attenzione saggia
e compassionevole nasce da sagge intenzioni.

C’è la storia del contadino che perse l’ascia e la cercò dappertutto
inutilmente. Un giorno, mentre cercava, vide il figlio del vicino, un
bambino con cui aveva giocato e di cui era amico. Da quando aveva
perso l’ascia quanto più guardava il ragazzo tanto più gli sembrava un
ladro, lo vedeva camminare come un ladro e comportarsi come tale. Poi
naturalmente trovò la sua ascia e da quel momento il figlio del vicino
ritornò ad assumere l’aspetto di un qualsiasi altro ragazzo.

Nella nostra esperienza possiamo vedere la verità di questa storia
molto facilmente. Supponiamo che ci sia qui qualcuno per cui proviamo
affetto e simpatia. Ci accorgiamo che questa persona è a disagio,
forse starnutisce o si muove un po’ troppo sul cuscino. Noi siamo
naturalmente portati dal nostro sentimento a preoccuparci e a offrirle
fazzolettini e aspirine e vogliamo fare tutto quel che possiamo per
metterla a suo agio. Supponiamo che ci sia qui un’altra persona che ci
irrita un po’, e anche questa starnutisce e si muove sul cuscino: le
offriamo forse aspirine e fazzolettini? Probabilmente no. Piuttosto
penseremo: "Perché questo scemo non la smette di disturbarmi?" La
nostra mente e il nostro mondo sono formati da ciò cui prestiamo
attenzione momento per momento e, in senso più ampio, il nostro intero
mondo è plasmato dalle nostre intenzioni. Supponiamo che veniamo da
una fase della vita in cui ci sia stata tanta rabbia e impazienza: più
abbiamo frequentato questi sentimenti più saranno rapidamente
disponibili per noi; in un certo senso finiscono per diventare il
luogo familiare di riposo per le nostre menti.

Siamo davvero consapevoli delle intenzioni che stanno dietro ai nostri
pensieri e delle loro finalità? Siamo consapevoli delle intenzioni che
sono dietro ciò cui prestiamo attenzione? Spesso sentiamo di avere
poca scelta quanto al modo in cui si muovono le nostre menti e i
nostri cuori. A volte sembra che sentimenti e pensieri attingano a un
pozzo di condizionamenti senza fondo, fatto di esperienze passate,
emozioni e ricordi. Senza consapevolezza questo senso di mancanza di
scelta sembra molto reale.

Maturando in chiarezza e comprensione, con la pratica della
meditazione di fatto muoviamo da questa situazione di non scelta verso
una situazione in cui sentiamo esserci maggiore possibilità di scelta,
e poi ci muoviamo di nuovo in una dimensione di mancanza di scelta, ma
questa volta diversa dalla precedente.

Cosa succede se rallentiamo e diventiamo un po’ più consapevoli?
Invece di essere ciecamente spinti e tirati di qua e di là da impulsi
e reazioni e dal peso del nostro condizionamento, impariamo a fermarci
per un po’. C’è un po’ più spazio intorno ai movimenti dentro di noi
e, alla luce dell’attenzione, iniziamo a vedere un po’ più chiaramente
quei movimenti che conducono al dolore. Cominciamo a riconoscere gli
impulsi che portano all’infelicità e alla separatezza. Nel momento
della pausa si dischiude un po’ più di spazio e in questo spazio c’è
maggiore possibilità di scelta. La saggezza ci rivela che forse può
essere più opportuno in questo momento coltivare l’intenzione di
lasciare andare, la gentilezza amorevole o la compassione.

Questo senso di scelta è straordinariamente liberatorio perché non ci
sentiamo più totalmente imprigionati dal condizionamento. Crescendo la
capacità di coltivare una saggia intenzione, la forma delle nostre
menti e dei nostri cuori, la forma del nostro mondo, cominciano a
cambiare e noi vediamo più chiaramente come nasce la sofferenza e come
ha fine, in questo determinato momento.

Possiamo dire che è questo è il fondamento, la base primaria di
qualsiasi saggezza e trasformazione. Più iniziamo a essere capaci di
formulare sagge intenzioni, più scopriamo, grazie all’esperienza, che
rinuncia, gentilezza amorevole e compassione sono luoghi di felicità,
che sono un rifugio per noi, e dunque sarà qui che sempre più
facilmente andremo a cercare riposo.

E allora inizia a emergere un diverso tipo di mancanza di scelta, ma
questa volta nasce dalla saggezza e dall’esperienza. È come se
qualcuno vi offrisse per pranzo un secchio di chiodi o un banchetto:
probabilmente non scegliereste il secchio di chiodi. Questo tipo di
mancanza di scelta comincia a emergere quando noi vediamo in
profondità in che modo ha origine la sofferenza e in che modo ha fine:
allora per noi non è più possibile seguire le strade della sofferenza.

Dobbiamo prestare grande attenzione nella nostra pratica a questa
qualità di saggia intenzione. Se scopriamo di essere fortemente
bloccati da resistenze e conflitti e sopraffatti da reazioni e stati
mentali, questi momenti rappresentano indizi importanti per mostrarci
che la nostra intenzione e attenzione in quei momenti non è saggia.
Non saggia non perché sia cattiva o sbagliata: non saggia solo perché
conduce alla sofferenza.

In momenti come questi è d’aiuto fermarsi a riflettere: "Che qualità
di saggia intenzione possiamo coltivare in questo momento che ci porti
al benessere e alla libertà?" A volte ci è richiesta una maggiore
benevolenza e compassione, altre di lasciare andare, di coltivare il
non indugiare. Sempre e comunque ci viene richiesto di vedere con
chiarezza. In molti momenti della nostra vita, sia che cominciamo la
via della meditazione sia che lasciamo la nostra casa per andare a
vivere con un’altra persona, sono di aiuto la sensibilità e la
consapevolezza delle nostre intenzioni. Possiamo chiederci: "A che
cosa sto dedicando questo tempo? Come sto utilizzando questa
occasione?". E vedere quindi come le intenzioni di benevolenza e di
compassione, l’intenzione di lasciar andare, ci consentano in modo
crescente di essere presenti nelle nostre vite in maniera amorevole e
saggia.

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