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SCHEDA ARTICOLO N. «01406»

CLASSIFICAZIONE: 4
TIPOLOGIA: CONGENERE
AUTORE: CORRADO PENSA
TITOLO: MEDITAZIONE SULLA GRATITUDINE
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TESTO ARTICOLO

Meditazione sulla gratitudine

(di Corrado Pensa)

Quando la mente e il cuore, dopo un lavoro di vari giorni, godono di
più chiarezza e più apertura, allora una parola come gratitudine può
risuonare in maniera diversa, più luminosa del solito. Proprio perché
la gratitudine è intrinseca all’apertura, un cuore più aperto
significa un cuore più facilmente grato. Si può dunque parlare di
gratitudine per un ritiro, di gratitudine nei confronti del sangha, ma
soprattutto di gratitudine fondamentale, di gratitudine radice, di
quella forma di sentire che per eccellenza unisce: la facilità
all’essere grati, la facilità a sentire gratitudine.

L’estate scorsa ho praticato con un maestro cinese. Qualcuno in una
sessione di domande e risposte chiese come si può insegnare ai bambini
il non attaccamento e il maestro Shen Yen rispose: "Insegnando la
gratitudine".

La facilità alla gratitudine come polo opposto al dare tutto per
scontato, che è una forma di indurimento, una forma di chiusura, a
volte penosamente cronica. La facilità alla gratitudine è il contrario
del sentirsi dolorosamente in credito, di sentire spesso – o sempre e
comunque – di non essere abbastanza, di non avere abbastanza, di non
ricevere abbastanza: grandi sofferenze, che la pratica ci aiuta
progressivamente a comprendere e a sciogliere. E naturalmente questi
scioglimenti piccoli o grandi ci suscitano gratitudine.

La consapevolezza è una grande compagna della gratitudine, la
consapevolezza, soprattutto quando è come un passo felpato, ci fa
notare con grande tranquillità tutto quello che riceviamo, ce lo fa
scoprire naturalmente, non ci tiene una lezione, ce lo fa scoprire con
naturalezza, a cominciare dal cielo e dal sole che riceviamo. L’elenco
è senza fine e la consapevolezza grata ce lo fa percorrere con gioia.

Al termine del ritiro con il maestro Shen Yen, ci fu una cerimonia che
mi coinvolse e mi colpì molto: veniva enunciato qualche cosa di cui si
era grati, una selezione da questo elenco infinito. Veniva suonata una
campana e quindi tutti ci prosternavamo completamente al suolo,
esprimendo così con tutto il corpo la gratitudine. Ed era come se
questa gratitudine raggiungesse una completezza particolare.

Prescindendo naturalmente dalla gratitudine convenzionale, pensando
solo alla gratitudine vera, la frase: "Ti sono grato", detta o
ascoltata, è una frase di grande felicità, di evidente amore. E vive
dentro di noi. Sotto gli strati e le croste dell’attaccamento,
dell’avversione, c’è questa tenerezza dentro di noi. A volte occorrono
anni perché ci venga il sospetto che al fondo di tutto ci sia questa
tenerezza illimitata, ma basta quel sospetto per renderci molto più
felici. Potremmo doverci giostrare mille attaccamenti, mille
avversioni, mille confusioni, ma sapere che c’è quella tenerezza dalla
quale sgorga la gratitudine ci ripaga ampiamente. Va crescendo la
naturale prontezza alla gratitudine per piccole, piccolissime cose. Ma
la gratitudine non è piccola: l’occasione è piccola per i criteri
convenzionali, un saluto, una telefonata, un incontro, l’improvviso
presentarsi di un bosco dopo una curva. La prontezza alla gratitudine.
La capacità di meravigliarsi e dire grazie. Grazie, grazia,
gratitudine.

Ci sono limiti agli oggetti della gratitudine? Si può essere grati per
le difficoltà che incontriamo, per gli attacchi, gli insulti, le
calunnie che riceviamo, gli incidenti che ci succedono, le malattie
piccole o grandi che ci capitano, si può essere grati? O la
gratitudine, l’elenco della gratitudine non include queste occasioni?
Le include, soprattutto se siamo praticanti: è una gratitudine più
difficile, più lenta a emergere e spesso è una gratitudine non
immediata, bensì a posteriori. Ma è sempre gratitudine. E perché
gratitudine? Perché è difficile – io penso impossibile – imparare la
generosità senza imbattersi tante volte in mancanze di generosità,
nostre o altrui. Non si può imparare la pazienza senza attraversare
con qualche consapevolezza tanti episodi di impazienza nei quali
cadiamo. Se non ci fossero questi episodi di ingenerosità, questi
episodi di impazienza, i fatti o le persone che sono cause occasionali
di questa nostra reazione, noi non avremmo la possibilità di alcun
tirocinio in profondità, per scavare in questa essenziale
purificazione.

Quando cominciamo a capire, a capire di più, a capire meglio, a capire
ancora, a capire ancora di più, allora questa gratitudine, che è così
paradossale, così controcorrente, così incomprensibile per l’io,
questa gratitudine comincia a farsi sentire ed è un fortissimo vettore
di apertura. Allora ci coglie la gioia davanti all’imprevedibile:
essere grati a qualcosa che ci ha turbato, che ci ha fatto male, ci ha
mortificato, frustrato, depresso. Perché noi, mischiando la nostra
consapevolezza con quella sofferenza, ci siamo potuti entrare più a
fondo, averne meno paura, cominciare a trascenderla, avere un lampo di
compassione. Mentre in una ipotetica condizione di pace continua, di
pace fortunata (non raggiunta col lavoro interiore) non avremmo avuto
questi fondamentali approfondimenti.

Possiamo utilmente ricordarcelo quando incappiamo in qualcosa che non
ci piace, che ci fa soffrire: è inutile sforzarci di essere grati, ma
ricordiamoci che questa occasione, se la affrontiamo secondo la
pratica, diventa un seme fecondo di gratitudine, anche se non lo
sentiamo la prima volta, anche se non lo avvertiamo subito. E allora
la lista, la lunga lista, comprende anche queste occasioni, da un
certo momento in poi ed è una svolta delle più cruciali nel cammino
interiore.

Noi possiamo veramente dire di avere incontrato un cammino, di essere
pienamente in cammino, quando cominciamo a toccare queste dimensioni
nuove, che non appartengono al nostro bagaglio precedente. E questa
vasta, vastissima potenzialità di gratitudine diventa poi un fermento,
un sostegno, per sviluppare la compassione davanti a tutto quello che
è male, è orrore, è ingiustizia, è violenza rivolta a tanti che non
hanno nessuno strumento di lavoro interiore. Non si può ovviamente
essere grati davanti alla violenza, ma qui non è la gratitudine che è
chiamata in causa, quanto piuttosto la compassione, e la compassione
non appartiene a un’altra famiglia, la compassione è sostenuta dalla
capacità di essere grati, diciamo che se c’è l’una c’è l’altra e
viceversa, sono entrambe forme di apertura del cuore.

Alla fine di un ritiro è tradizione dedicare il merito, l’energia
sviluppata attraverso la meditazione, a qualcuno, a qualche causa
nobile. Ognuno di noi può farlo: "Dedico il merito, l’energia, o la
virtù…" e lasciamo che l’apertura del cuore ci dica a chi o a cosa.

"Che tutti gli esseri possano essere felici, liberi da sofferenza,
liberati."

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