La pratica della generosità
(di Samira Coccon)
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Diversi mesi fa, all’inizio dell’estate, sulla spinta di alcune riflessioni sulla generosità fatte con alcuni amici e stimolata dal racconto dell’esperienza di una persona in particolare, ho preso la risoluzione di dare l’elemosina, per un certo periodo di tempo, a chiunque me la chiedesse, sempre e comunque (fatta eccezione per due casi precisi: i bambini e un gruppo di zingare che stazionano al semaforo sotto casa mia).
Le persone che ‘chiedono’ in una metropoli sono infinite: il musicista nella metropolitana, la barbona con due cani sul marciapiede, il venditore di fazzoletti al semaforo, l’uomo fuori del supermercato e così via, per tutti trovavo 500/1000 lire da offrire senza chiedermi se mi trovassi di fronte a un bisogno autentico o meno, senza dire a me stessa: "Per oggi hai già dato, adesso basta" e mi sono accorta ben presto che mi riusciva molto facile.
Ogni volta che regalavo qualcosa era un piccolo gesto d’amore e di rispetto che veniva non da un obbligo a essere buona, ma come conseguenza di una scelta fatta a monte e ciò mi dava una grande libertà, la libertà di non dover fare delle discriminazioni: "A te sì, a te no, oggi proprio non mi va eccetera eccetera". Questo modo di dare fluido, senza ostacoli mi ha spesso permesso di stabilire un contatto, breve, a volte fulmineo, con le persone: un meraviglioso sorriso in una bocca sdentata, un grazie impacciato o il semplice scambio di battute sul tempo.
Dopo un primo periodo di questo esperimento ho cominciato appena a capire che si ha sempre qualcosa da dare, c’è sempre un’altra moneta nel portafoglio e soprattutto che dando non diventiamo poveri. Ho provato una grande felicità, mi sono sentita inesauribilmente ricca.
A un certo punto mi è venuto spontaneo di osservare la disponibilità a dare nella mia vita di relazione e devo ammettere che ciò che vi ho trovato non era poi altrettanto esaltante; ma, poiché stavo facendo pratica di generosità, ho provato ad applicare lo stesso metodo con me stessa. Credo che siano emersi due o tre aspetti molto importanti: uno, che a volte è più facile dare anziché chiedere e che per me essere generosa significa, in qualche modo, dare quello che vorrei fosse dato a me, in modo da farmi sentire di essere ‘in credito’. L’altro è che è più facile dare a chi non si conosce o alle persone con cui non ci siano particolari relazioni emotive. Essere generosa con chi mi sta accanto è molto più complicato, forse perché immagino che potrebbe creare un presupposto che condizionerà i rapporti futuri con quella persona, la paura che possa poi pretendere qualcosa da me. Andando un pochino oltre ho messo a fuoco la grande difficoltà che provo nel dire di no di fronte alle richieste esplicite o indirette che mi vengono rivolte. Negare il mio aiuto, deludere le aspettative di qualcuno che si rivolge a me è faticosissimo e frustrante e spesso mi porta a prendere più impegni di quanti ne possa assolvere. Da qui deriva la sensazione di vivere una vita intasata in cui non ho più modo di scegliere e in cui tutto ciò che faccio prende il sapore del ‘dovere’.
Mi sono quindi chiesta come sia possibile conciliare, da un lato, il poter dare senza discriminare, senza pregiudizi, superando il proprio egoismo, e dall’altro come arrivare a commisurare obiettivamente quanto abbiamo realmente a disposizione con ciò che possiamo fare.
Ultimamente ho cambiato modalità di pratica. Sto sperimentando il dare l’elemosina, o il non darla, senza pormi delle condizioni del tipo: la dò solo alla prima persona che incontro al mattino o simili. Ascolto solo quello che sento di voler fare nel momento, cercando di osservare serenamente cosa mi spinge a dare o invece a negarmi, se è una motivazione razionale o emotiva, cercando di non sentirmi buona o cattiva a seconda della scelta fatta. La cosa sorprendente è che, in maniera quasi spontanea, mi viene di applicare lo stesso approccio anche alle richieste che mi sento rivolte in situazioni ben più coinvolgenti e importanti, là dove è molto difficile scegliere e dove le reazioni coatte sono più radicate. Dire di sì o di no è una grossa responsabilità, nei confronti di me stessa, delle persone coinvolte e per le ripercussioni che le nostre azioni a volte hanno, ma credo che anche e soprattutto in queste circostanze sia proprio la pratica della generosità (nei confronti di me stessa e degli altri) a darmi la libertà di scegliere.
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