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( Tratto da "God has given us every good thing" - Roy E. Davis - CSA Press 1986 )
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Il Maestro fu chiamato nella sua stanza (di Gyanamata N.d.T.) perché era molto malata. Egli sedette con lei, e parlarono. Le chiese: "Hai qualche desiderio?" Se ce l'hai dimmelo adesso e lo soddisferò subito. Il Maestro non voleva che lei potesse andarsene con qualche bramosia insoddisfatta o con qualche rimpianto.
La vita di Gyanamata fu di quieta devozione. Lei e San Lynn a volte parlavano, e lei sapeva delle sue eccezionali, a volte cosmiche, esperienze di meditazione. Lei disse al Maestro che a volte aveva avuto paura di aver sbagliato qualcosa, perché non aveva normalmente sperimentato le esperienze di meditazione più eccezionali.
Paramahansaji soleva raccontare ai discepoli la storia di un uomo che fu invitato dal re e andò nei giardini del palazzo. Gli fu detto di aspettare, e durante l'attesa rimase così incantato dalla loro bellezza che dimenticò completamente il suo appuntamento con il re. Le guardie dopo un po' lo trovarono e lo scortarono al cancello. Non gli fu mai più chiesto di ritornare.
Il Maestro soleva dire che se l'uomo avesse incontrato il re e avesse fatto amicizia con lui, avrebbe potuto visitare i giardini tutte le volte che voleva. La morale era che se una persona fa amicizia con Dio, può avere accesso ad ogni parte dell'universo, sottile o grossolana, se ha queste inclinazioni o desideri.
Sorella Gyanamata sapeva questa storia, così quando menzionò che pensava di aver mancato in qualcosa, il Maestro le disse: "Perché vuoi girare per i giardini se sei già dentro il palazzo?" Lei comprese.
Dopo che il Maestro la benedì e lasciò la sua stanza, chiese di essere portato in un luogo da dove potesse vedere l'oceano. Ci disse: "Mentre ero seduto lì, all'improvviso una grand'onda d'amore riempì il mio cuore e ritornò verso l'oceano. Seppi in quel momento che Gyanamata era mancata".
Fu riportato successivamente che dopo che il Maestro aveva lasciato la stanza, Lei aveva chiesto ad una sorella discepola che la assisteva, di aiutarla a mettersi seduta sulla sedia per meditare. Nonostante fosse fragile e debole, si sedette in meditazione e transitò coscientemente dal corpo.
La capacità di assistere i discepoli durante la transizione da questo mondo verso le dimensioni sottili era conosciuta a Paramahansaji. In parecchie occasioni, durante gli anni, egli diceva ai discepoli: "Tizio e Caio sono mancati recentemente. Io ero lì, e li ho aiutati nella transizione verso l'altro mondo".
Una volta stava scrivendo qualcosa mentre era ad Encinitas, quando chiese alle sue segretarie di lasciare la stanza. Più tardi, le richiamò, e disse loro che era appena stato a San Diego, distante circa 25 miglia, per assistere la moglie di un caro discepolo durante la sua transizione. Chi era stato nella camera dell'ospedale confermò le affermazioni del Maestro circa l'accaduto. La donna era amica del Maestro durante la sua vita, ma a volte aveva del risentimento perché suo marito era così coinvolto nel lavoro.
Poco tempo prima della sua morte, era stata ricoverata in ospedale perché il cancro aveva distrutto il suo corpo. Provava forti dolori, e le medicine non erano più adeguate per lenire la sua sofferenza. Il Maestro l'aveva visitata in ospedale. Quando uscì dalla camera, disse a suo marito: "Non posso curarla, ma posso far andare via il dolore". Nel momento della transizione, chi era nella stanza sentì la presenza di Paramahansaji e lei disse, prima di mancare: "Yogananda è qui".
Anche un grande Maestro non può sempre fare intrusione nei desideri o nella condizione karmica di una persona. Di solito, ci deve essere un'accettazione da parte di chi ha bisogno della guarigione, perché il Maestro si assuma la responsabilità di mettere in moto le forze risananti.
Durante le mie prime settimane a Mt. Washington, prima di essere mandato in Arizona, ci fu un accadimento collegato alla guarigione. Un uomo anziano viveva sulla proprietà. Era un carpentiere e aiutava nel mantenere le varie proprietà. Una volta, disse ad un gruppo di giovani monaci: "Vorrei avere la vostra fede. Ho studiato così tante cose negli anni prima di venire qua. Credo nel Maestro e mi fido di lui, ma non ho la fede che dovrei avere".
Si ammalò e fu portato in ospedale. Una sera tardi, il Maestro ritornò a Mt. Washington e la sua macchina si fermò davanti all'entrata inferiore. Alcuni monaci erano lì insieme a me, il Maestro s'intrattenne con noi per alcuni momenti. "Ne vengo adesso dal visitare il sig. Brockway" disse, "è stato così triste. Gli ho detto se volesse essere guarito". Gli ho detto: "Mr. Brockway, vuole che la guarisca? Se lo vuole, me lo dica e lo farò subito!" Era così debole, e mi ha risposto di no. Se avesse detto di si avrei potuto guarirlo".
Un Maestro a volte intercede, anche quando il discepolo non chiede aiuto, perché quest'ultimo ha già accordato il permesso a priori oppure è aperto all'assistenza. Anche una persona non risvegliata ha il libero arbitrio e la capacità di determinare la sua felicità o infelicità. Un Maestro può indicare la via e dare qualsiasi aiuto che il discepolo è disposto ad accettare, ma dipende da quest'ultimo avere la volontà di sperimentare la trasformazione e i cambiamenti desiderati.
Ho sempre notato che quando ero in sintonia con il mio guru, le meditazioni erano più profonde, ero più calmo e in pace, e le circostanze nella mia vita si sviluppavano in maniera più ordinata. Un vero guru non sta tra Dio ed il discepolo perché è un canale attraverso il quale l'energia divina fluisce verso il discepolo che è ricettivo ad essa.
A volte, Paramahansaji diceva: "Io non sono il guru, Dio è il guru. Io sono solo il suo servo". Egli interpretava il ruolo del guru, ma stava solamente rispettando la volontà di Dio.
Fu nel ritiro del deserto che lo vidi per l'ultima volta nella forma mortale. Fui invitato a visitarlo alcune settimane prima del suo "mahasamadhi", l'uscita cosciente dal corpo di uno yogi. Eravamo seduti nel salotto della sua casa. Una desse sue segretarie gli aveva portato un bicchiere di succo di frutta, e aveva atteso fino a che fosse stata sicura che lui lo avrebbe bevuto.
Quando lasciò la stanza, il Maestro disse: "Vedi, per anni non ho mai fatto caso a mangiare regolarmente. Ora me lo fanno fare". Quindi mi disse: "Prenditi cura del tuo corpo Roy, hai molto lavoro da fare e devi essere in salute".
Parlammo per un po', era sorridente e vitale. Mi disse: "Ho appena finito la Gita, ora il mio lavoro è compiuto. Poco fa, dopo aver completato l'ultimo capitolo, ero seduto qui a meditare. Ho visto un cerchio d'oro all'occhio spirituale. Ho aperto gli occhi e l'ho rivisto nel muro, quindi, ho visto Babaji, Lahiri e Sri Yukteswar apparire in successione nella luce. Sono venuti a ringraziarmi per aver terminato il lavoro sulla Gita".
A quel punto mi guardò negli occhi. Eravamo seduti molto vicini. Mi disse: "Roy, non preoccuparti se gli altri sono o non sono decisi sul percorso; se parlano troppo o se sprecano troppo tempo. La cosa importante è che tu arrivi fino in fondo in questa vita, e tu puoi farlo. Sri Yukteswar diceva: "Il battello che porta le anime oltre il mare dell'illusione fino alle rive lontane della realizzazione sta per partire. Chi andrà? Chi andrà? Se nessuno va, io andrò!" Tu devi essere così".
Fece una pausa, come se stesse riflettendo su qualcosa, quindi continuò: "Prima che Sri Yukteswar facesse la sua transizione, eravamo seduti insieme ed egli tremò improvvisamente. Gli chiesi quale fosse il problema, e mi rispose che come un uccello è a volte riluttante a lasciare la sua gabbia per ottenere la libertà, così l'anima è riluttante a lasciare la gabbia del corpo per sperimentare l'onnipresenza. Pensava alla sua imminente partenza". Il Maestro mi guardò più intenzionalmente negli occhi e chiese "Comprendi?" Io sapevo a cosa si stava riferendo, e che si stava preparando per gli imminenti eventi che avrebbero accompagnato la sua transizione.
Paramahansaji era molto aperto con i discepoli con i quali era in confidenza. Quando camminavamo insieme nei giardini del ritiro del deserto, egli incoraggiava le mie domande e rispondeva sempre esaurientemente.
Durante il mio primo anno con lui, gli chiesi se ero già stato insieme a lui. "Ovviamente sei già stato con me", rispose " e sarai ancora con me molte volte in futuro. Sei venuto, come altri, ad aiutarmi in questo lavoro".
In quella stessa occasione, gli posi una domanda che, a pensarci in retrospettiva, sembra un po' avventurosa, ma egli rispose senza esitazione. Gli chiesi: "Signore, quanti dei maestri menzionati nell'autobiografia di uno yogi sono pienamente liberati?"
"Non molti", sorrise e replicò, "Molti santi sono contenti di vagare in Dio per anni perché dona molta beatitudine. Solo pochi hanno il desiderio di andare fino in fondo".
In quest'aspetto trascendentale, nella miriade di dimensioni astrali e causali, le possibilità di esperienze sono quasi illimitate. Oltre queste dimensioni, anche oltre quella della mente di Dio, c'è il campo indisturbato di pura esistenza. Lo yogi dovrebbe avere, come intenzione, l'esperienza cosciente di questo campo di puro essere, perché dall'altro lato si è parzialmente soggetti alle influenze delle forze e inclinazioni della natura.
Ogni volta che visitavo Mt. Washington, partecipavo sempre alle meditazioni del mattino e della sera. Durante il giorno, poiché le mie visite duravano solo alcuni giorni, mi riposavo, meditavo, leggevo e discutevo dettagli amministrativi circa il centro di Phoenix con il tesoriere e altri dirigenti del consiglio di amministrazione. A volte il Maestro mi chiamava nella sua stanza o m'incontrava nei giardini.
Una volta, un ministro più anziano gli disse: "Signore, Roy non è da troppo poco tempo con noi per stare così distante a Phoenix?" Egli sentiva che era inusuale che mi avessero mandato laggiù senza aver passato parecchi mesi, o anni, nel quartier generale. Il Maestro replicò: "Lascia stare il ragazzo, so quello che faccio".
Durante gli anni in cui stetti con lui, non assegnò nomi monastici ai discepoli residenti, salvo rare eccezioni, né lasciava che gli uomini portassero capelli e barba lunghi. Swami Kriyananda ( Donald Walters ) era un'eccezione per la barba in quanto pensava che l'avrebbe fatto apparire più anziano.
I discepoli uomini indossavano vestiti semplici mentre lavoravano nei campi. Gli era detto di tenere i capelli corti e di vestirsi in maniera pulita. La pulizia era importante, il Maestro diceva, perché le persone li guardavano. I ministri potevano indossare un vestito bianco quando conducevano un servizio o davano consigli agli studenti, aggiungendo questa semplice spiegazione: "Siete giovani, e le persone vi rispetteranno di più se vi vestirete come ministri". Mi suggerì, una volta, di tenere pulite le mie scarpe, anche la parte posteriore, perché "Le persone ti guarderanno quando andrai via, e tu vuoi che tutto sia perfetto. Non fare nulla che possa indurre le persone a trovare in te qualcosa che non va".
Non vidi mai il Maestro in uno stato di pulizia non perfetta. Lo era sempre, e indossava abiti sempre perfetti. La sua purezza, con origini al livello dell'anima, si estendeva ai suoi vestiti, alle maniere, e al modo di parlare.
Era sempre cortese. Potevamo avere avuto una conversazione di natura intima fino a tarda notte, eppure il giorno dopo si rivolgeva a me con un "Come va, Roy?", e la sua domanda era calda e onesta. Anche con i vecchi discepoli era sempre cortese mentre parlava con loro.
Ci consigliava "Siate allegri, ma seri", intendendo di essere piacevoli, ma di rimanere centrati. Poteva raccontare storie piene di humour ( e spesso lo faceva ) fino a che sia lui, sia chi ascoltava, finivano per ridere in maniera incontrollata, ma in un momento poteva parlare di argomenti filosoficamente importanti e ritornare nuovamente ad un rapporto di calma cortesia.
Fu a tarda sera del 7 marzo 1952 che Herbert mi telefonò da Los Angeles. Era calmo e mi disse che il Maestro era mancato quella sera. Mi disse di condurre un servizio in memoria per i membri e di andare lì subito dopo, aggiungendo che mi avrebbe dato successivamente i dettagli non appena mi avesse visto di persona.
Contattai più membri che potei e chiesi loro di passare la voce agli altri che conoscevano. Durante il servizio, dissi poche parole. Condussi una meditazione e invitai i membri a mettere un fiore davanti alla foto di Paramahansaji. Fu un servizio molto tranquillo, pieno d'amore.
Appena giunto a Mt. Washington, fui immediatamente condotto nell'appartamento del Maestro. Il suo corpo giaceva sul letto, con il vestito color ocra. I discepoli andavano e venivano in silenzio, fatta eccezione per alcune manifestazioni controllate di dolore.
Non posso spiegare in maniera pienamente esauriente i miei sentimenti in quel momento. Ero cresciuto con la consapevolezza interiore della presenza di Dio nella mia vita. Ero stato molto vicino a lasciare questo mondo quando avevo diciotto anni, a causa di una malattia di lunga durata. Avevo subito la perdita improvvisa di mia madre.
Avevo meditato profondamente per due anni come discepolo del mio guru. Avevo imparato ad essere in sintonia con lui e con la linea dei maestri quando ero fisicamente distante. Nella mia mente e nella coscienza avevo girovagato per l'universo e comunicato con i santi. Ora, ero a fianco del Maestro e questi non avrebbe aperto i suoi occhi e regalatomi quel solito sorriso di saluto. C'era una comprensione interiore, un momento di conoscenza. Non c'era una sensazione di desolazione o mancanza, ma un sentimento di perdita. Lo avevo amato molto, e lo amavo ancor di più. Ora, in ogni modo, potevo comunicare con lui solo interiormente.
Non avrei più potuto sentire il contatto della sua mano che mi benediva, né avrei più potuto toccarlo con affetto quando m'invitava ad aiutarlo ad entrare nella macchina, o a salire le scale, o quando mi diceva di avvicinarmi mentre camminavamo insieme. Non ci sarebbe più stato contatto adesso, ma non c'era un vero senso di mancanza. C'erano i ricordi, e le occasioni di comunicazione nei piani interiori, quando il cuore è reso felice e l'anima è arricchita. Vittoria al vero guru, che è l'incarnazione di Dio per ognuno di noi!
Centinaia di discepoli e amici si riunirono a Mt. Washington per il servizio funebre. Il corpo del Maestro, in una bara di bronzo, era davanti all'altare. Durante la cerimonia, il Dr. Lewis lesse alcune selezioni appropriate dalla Bhagavad Gita. Swami Premananda, l'allora ministro della chiesa della SRF a Washington, compì dei riti vedici per rilasciare simbolicamente il corpo dai legami terreni. Rajarsi pronunciò alcune parole in maniera tranquilla, e mi sembrò essere triste, anche se un flusso divino si emanava da lui.
L'ambasciatore dell'India negli Stati Uniti, Binay R. Sen, tenne un discorso commovente, durante il quale menzionò che mentre lui e il suo gruppo stavano guidando verso Mt. Washington, avevano visto un arcobaleno nel cielo, un'occasione di buon auspicio.
Ricordo ancora l'amore presente quel giorno nella stanza. Per concludere il servizio, tutti camminarono lentamente per vedere il corpo del Maestro per l'ultima volta, e lasciammo dei petali di rosa sul feretro, cantando dolcemente om guru om, guru om.
Il corpo fu portato quindi al Forest Lawn memorial Park, e successivamente messo in una cripta. Cercai un posto isolato dietro all'edificio principale dove poter stare solo, e piansi. Dopo essermi parzialmente ricomposto, girando per i giardini, speravo di poter rimanere da solo con i miei pensieri. Incontrai J. Oliver Black, ed egli condivise con me parole private di conforto e comprensione. Mi disse che, qualche giorno prima, aveva condotto un servizio in memoria a Detroit per gli studenti SRF. La presenza del Maestro era stata sentita da tutti.
Paramahansaji aveva festeggiato il suo cinquantanovesimo compleanno due mesi prima del mahasamadhi, l'uscita cosciente di uno yogi dal corpo. Poiché egli era un Maestro spirituale, conosceva il suo passato e il suo futuro. Sapeva cos'era venuto a fare sulla terra. Doveva porre le fondamenta dello yoga nell'ovest, lavorare con i discepoli che sarebbero stati attirati a lui, e scrivere i suoi molti libri.
I giorni prima della sua transizione furono molto attivi. Era ritornato a Mt. Washington dal suo ritiro nel deserto il 4 marzo 1952 per salutare l'ambasciatore Sen ed il suo seguito. Li ospitò a Mt. Washington e gli portò dei regali. Il giorno seguente, chiese di essere portato al santuario del lago a Pacific Palisades. Camminò nei giardini, si sedette all'organo della cappella dove cantò e suonò a lungo, quindi pranzò con alcuni discepoli. Al ritorno a Mt. Washington, quel giorno, si fece portare in un punto dal quale avrebbe potuto vedere le proprietà, quindi, diede alcuni consigli a quelli che erano vicini a lui circa le riparazioni e i miglioramenti da apportare.
Herbert Freed era con il Maestro quel giorno, e chiese circa i futuri sviluppi del lavoro. "Ho l'opportunità di iniziare un altro lavoro nella parte ovest del paese, molto simile a questo, ma che non interferirà per niente con questo".
Il 7 marzo, il Maestro rimase nella sua stanza, per la maggior parte del tempo a meditare in silenzio. Più tardi fu portato al Biltmore Hotel a Los Angeles, e gli fu data una stanza. "Immagina", disse, "Ho una stanza al Biltmore". Ricordò la sua prima visita a Los Angeles nel 1925, quando stette in quell'hotel e tenne delle conferenze ad una folla straripante in un auditorium vicino. A centinaia erano stati mandati via perché l'enorme edificio non poteva ospitare tutti.
Un banchetto in onore dell'ambasciatore Sen era previsto per quel giorno, e il Maestro era stato invitato come uno degli ospiti a tenere un discorso. Durante l'evento, chi ebbe l'occasione di osservarlo, notò che era molto calmo, benché attento agli altri. Quando gli fu chiesto di parlare, non appena si alzò, disse alla moglie dell'ambasciatore Sen: "La vita ha le sue rose e le sue spine; dobbiamo imparare ad accettarle entrambe".
Parlò con calma per alcuni minuti, parlando delle sue prime esperienze in America, e richiedendo la cooperazione tra i popoli della terra per assicurare pace e armonia. Concluse l'intervento recitando un poema composto anni prima, "Mia madre India". Non appena completata la riga finale, "Io sono benedetto, io mio corpo ha toccato quel suolo sacro", si volse verso destra e uscì dal suo corpo. (..)
La tomba del Maestro è un luogo di pellegrinaggio ancora oggi. Di tanto in tanto, quando visito Los Angeles, vado verso Forest Lawn per passare alcuni momenti.
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Mentre ero a Mt. Washington, mi fu dato un certificato d'ordinazione. Poiché il Maestro era mancato due giorni prima del mio ventunesimo compleanno, l'età nella quale potevo essere considerato un ministro ordinato dello stato della California, il certificato porta la firma di Rajarsi Janakananda ( Il nome monastico di San Lynn ) e quello della segretaria della Self-Realization Fellowship Florinda Darling. Una copia di quel certificato è ora appesa sulle mura del mio ufficio al CSA, a Lakemont, in Georgia.
Paramahansaji mi aveva ordinato già parecchio tempo prima, nel tardo autunno dell'anno precedente. Herbert Freed e io stavamo visitando Mt. Washington per alcuni giorni, e il Maestro ci chiese di incontrarlo nella hall vicino al suo appartamento, nel piano superiore dell'edificio. Dopo averci dato alcuni consigli sul centro di Phoenix, si girò verso di me e mi disse: "Inginocchiati". Lo feci vicino alla sua sedia, ed egli mise le sue mani sopra la mia testa.
Parlò con calma autorità e intenzione " Ti ordino ministro dell'autorealizzazione, e ti do l'autorità di rappresentare Dio e la linea dei guru. Insegna agli altri come io ho insegnato, guarisci gli altri come io ho guarito, e iniziali nella scienza del kriya yoga". Herbert fu visibilmente sorpreso, e chiese al Maestro: "Signore, intende che dobbiamo iniziare le persone al kriya yoga?" Herbert pose questa domanda perché sapeva, come lo sapevo io, che a quel tempo solo il Maestro e alcuni ministri selezionati conducevano il servizio d'iniziazione al kriya yoga.
Il Maestro lo guardò e disse: "Perché no? Lo stesso Dio che è in me è in te! Quello che faccio io, lo dovresti fare anche tu!".
Non iniziai altre persone al kriya yoga fino a qualche anno più tardi, quando avevo lasciato l'organizzazione. In ogni caso, con il permesso del Maestro, istruii alcuni studenti nelle pratiche del mantra e dell'ascolto del suono interiore.(.) Rividi anche la tecnica del kriya con le persone che erano state già iniziate dal Maestro o da qualcuno dei ministri anziani.
Durante quei pochi minuti nella hall con il Maestro, divenni un insegnante rappresentante della tradizione che ha le sue radici del remoto passato; alcuni dicono che va indietro di centomila anni, altri, che la tradizione esisteva nelle dimensioni sottili prima che i mondi fossero creati. (.)
Attraverso Paramahansaji e la mia linea dei guru, io sono spiritualmente (.) connesso con una linea di maestri illuminati che estende la sua influenza fino ai tempi presenti. Un insegnante di questa tradizione non insegna semplicemente quello che hanno insegnato i suoi predecessori, ma è un'incarnazione degli insegnamenti. Attraverso lui o lei, la coscienza e le energie spirituali di Dio, sono trasmesse. (.. )
Era l'abitudine del Maestro di osservare attentamente i suoi discepoli, per notare lo sviluppo delle loro capacità interiori. Quando sentiva che un discepolo era pronto a rappresentare lui o la tradizione di cui lui faceva parte, ordinava il discepolo.
Alcuni erano sorpresi quando erano ordinati, ed esprimevano anche le loro sensazioni d'inadeguatezza verso questa responsabilità. Il Maestro diceva: "Dio mi dice chi è pronto e chi non lo è. Io non commetto errori".
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Nota del Traduttore: Furio Sclano
Roy E. Davis lasciò la SRF nel 1953, e diventò, in seguito, direttore del "Center for Spiritual Awareness" ( CSA ), un'organizzazione spirituale tuttora esistente. Il sig. Davis è uno dei pochissimi discepoli viventi del grande Maestro Paramahansa Yogananda, ad essere stato da lui autorizzato ad insegnare il kriya yoga. Chi volesse contattarlo o ricevere informazioni sulle attività del CSA può scrivere a:
Center for Spiritual Awareness p.o. Box 7 30552 Lakemont GA - USA csainc@csa-davis.org
Traduzione dall'inglese americano a cura di Furio fsyukteswarji@yahoo.com 22.08.2004
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