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SCHEDA ARTICOLO N. «01572»

CLASSIFICAZIONE: 4
TIPOLOGIA: CONGENERE
AUTORE: SRI RAMAKRISHNA
TITOLO: IL VANGELO DI SRI RAMAKRISHNA
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TESTO ARTICOLO

(Mahendranath Gupta)

IL VANGELO DI SRI RAMAKRISHNA
(dal CAPITOLO 19)

*Ramakrishna si è rotto il braccio*

Sabato 2 febbraio 1884

Sri Ramakrishna e' in una stanza nel Tempio di Dakshineshwar. Sono le tre
del pomeriggio.
Ultimamente, mentre si recava da solo alla pineta, il Maestro in estasi e'
caduto vicino al chiostro e si e' rotto il braccio sinistro.

Arrivando, M. si prostra davanti al Maestro. Rakhal, Mahimacharan e Hazra
sono gia' là. M. ha portato dell'ovatta, una benda e delle stecche.

Sri Ramakrishna, dice a M.: "Buongiorno! Di cosa soffrivi? Ti sei rimesso a
posto ora?"

M.: "Si, signore."

Sri Ramakrishna, a Mahima: "Se io sono la macchina e se Dio e' l'operatore,
perche' mi e' successo questo?"

Il Maestro, seduto sul lettino, ascolta il racconto del pellegrinaggio che
Mahima ha fatto in diversi luoghi santi, dodici anni fa.

Mahima: "In un parco a Benares, ho incontrato un brahmachari. Mi ha spiegato
che viveva la' da vent'anni. Eppure non ne conosceva il proprietario. Mi ha
domandato se lavoravo in un ufficio. Siccome gli rispondevo di no, ha
aggiunto: "Se lei non lavora, vuol dire che e' un sadhu." Ho incontrato un
sant'uomo ai bordi della Narmada che ripeteva mentalmente la Gayatri.
Provava una tale felicita' che tutti i peli del suo corpo rimanevano
rizzati.
Quando ripeteva a voce alta la Gayatri o l'Om, anche le persone sedute al
suo fianco avevano la pelle d'oca."

Il Maestro possiede una natura di bambino. Siccome ha fame, domanda a M.:
"Cosa mi hai portato?" Poi, alla vista di Rakhal, entra in samadhi. In
seguito, ritornando dolcemente allo stato normale, dice per riportare il suo
spirito alla coscienza corporale: "Mi piacerebbe mangiare dei jillipis e
bere un po' d'acqua."

Si rivolge alla Madre divina, gemendo come un bambino: "Brahmamayi! Madre,
perche' mi hai fatto questo? Il mio braccio e' rotto.(Ai devoti) Ditemi,
guariro'?"

Questi lo consolano come un bambino: "Ma certamente che guarirete!"

Sri Ramakrishna, a Rakhal: "Non e' colpa tua, anche se sei qui per occuparti
di me. Anche se tu mi avessi accompagnato, non saresti certamente andato
fino al chiostro".

Il Maestro, di nuovo in estasi, dice: "Om Om Om Madre, che cosa racconto?
Madre, non rendermi incosciente con Brahmanjnana. Non darmi Brahmanjnana.
Non sono che il tuo bimbo, un niente inquieto e affranto. Ho bisogno di una
madre. Mille saluti alla conoscenza di Brahman. Offrila a quelli che ne
vogliono. Anandamayi, madre piena di felicita'!"

Ad alta voce pronuncia: "Anandamayi", poi dice in un singhiozzo: "Madre, il
mio cuore e' pesante per il dispiacere. Poiche', benche' tu sia mia Madre ed
io
sia risvegliato, un furto e' stato perpetrato nella mia casa.

Di nuovo, si rivolge alla Madre divina: "Che male ho commesso, Madre? Io ho
mai fatto qualsiasi cosa? Sei tu Madre, che fai tutto. Io sono la macchina e
tu sei l'operatrice."

(A Rakhal, sorridendo): "Sta attento a non cadere. Non arrabbiarti e non
immaginare ogni tipo di cose."

Si rivolge un'altra volta alla Madre: " E' per via della mia ferita che
piango? Niente affatto."

Intona lo stesso canto di un'attimo prima. Il Maestro ride e piange come un
bambino. Anche soffrendo, ride e si diverte.

Sri Ramakrishna, a Mahima e ai devoti: " Non otterrete niente se non
realizzate Satchitananda. Niente vale quanto la discriminazione e il
distacco. L'amore che l'uomo mondano prova per Dio non dura. E' come una
goccia d'acqua su un ferro rovente."

D'un tratto il suo sguardo si ferma su un fiore ed esclama: "Ah! Come la
creazione divina e' meravigliosa! "Bisogna bruciare d'impazienza per Dio.
Allora quando un figlio, ancora giovane, insiste per avere la sua parte
della proprietà, i genitori si consultano e gliela danno. Dio certamente
ascoltera' le vostre preghiere se, per Sua causa, l'angoscia stringe il
vostro cuore. Poiche' Egli ci ha generati , possiamo reclamare la nostra
eredita'. E' nostro padre e nostra madre. Abbiamo il diritto di estorcergli
con la forza cio' che desideriamo. Possiamo dirgli: "Rivelati a me, senno'
mi
tagliero' la gola.""

Il Maestro insegna ai devoti come pregare alla Madre divina.

Sri Ramakrishna: "Io pregavo - Madre, madre piena di felicita', rivelati a
me. Tu lo devi fare - e anche - Signore degli umili, Signore dell'universo,
io non sono fuori dalla tua creazione. Mi manca l'istruzione, la disciplina
e la devozione. Non so niente. Sii compassionevole e rivelati a me."

Questa preghiera del Maestro tocca profondamente i devoti. Gli occhi di
Mahima si riempiono di lacrime.

Sri Ramakrishna lo guarda e canta: "O mio spirito, implora nostra Madre con
tutto il tuo cuore! - vedremo se Shyama restera' insensibile. Potra' mai
Kali
restare impassibile? "

Vari devoti arrivano da Shibpur. Siccome arrivano da lontano e gia' che il
Maestro non vuole deluderli, parla dei principali temi spirituali.

Sri Ramakrishna: "Solo Dio e' reale, il resto e' effimero. Il giardino e il
suo proprietario, Dio e il suo splendore. Le persone non si interessano che
al giardino, ben pochi cercano il proprietario."

Un Devoto: "Signore, qual'e' il cammino?"

Sri Ramakrishna: "Discrimina fra reale e irreale. Discrimina cosi'
costantemente: solo Dio e' reale, il mondo e' effimero. Pregalo anche con un
cuore fervoroso e sincero."

Il Devoto: "Ma signore, come trovare il tempo per tutto?"

Sri Ramakrishna: "Quelli che ne hanno la possibilita' dovrebbero meditare e
pregare. Quelli per cui e' davvero impossibile dovrebbero, due volte al
giorno, prostrarsi con amore davanti a Dio. Il Signore risiede nel cuore di
tutti gli esseri. Sa che le persone sulla terra sono molto occupate. Cosa
possono fare? Non hai tempo di pregare Dio, allora dagli la tua procura.
Anche cosi' tutto e' vano per chi non ha realizzato Dio."

Un altro devoto: "Signore, guardare lei e guardare Dio e' la stessa cosa."

Sri Ramakrishna: "Non ripetere mai questo. Le onde appartengono al Gange, ma
il Gange non appartiene alle onde. Se non ci si e' sbarazzati di queste idee
"sono un uomo molto importante" oppure "mi chiamo signor X", non si potra'
realizzare Dio. Dissolvi nelle lacrime della devozione la collina dell'ego e
appianala fino al suolo."

Il Devoto: "Perché Dio ci ha inviati quaggiu'?"

Sri Ramakrishna: "Per perpetuare la sua creazione. E' la sua volonta', la
sua
Maya. Si serve del sesso e dei soldi per far perdere uomini e donne."

Il Devoto: "Perche' ci inganna? Perche' ha deciso cio'?"

Sri Ramakrishna: "Se Dio donasse, una sola volta, un pizzico di felicita'
divina, l'uomo non vorrebbe piu' restar quaggiu' e sarebbe la fine della
creazione.

"Nel suo negozio il mercante conserva il riso in grossi sacchi. Per
allontanare i topi, mette in un canto un piatto di riso soffiato. I topi
vanno matti per questo riso zuccherato. Lo rosicchiano durante tutta la
notte, trascurando l'altro riso. Pensate dunque! Una misura di riso fornisce
quattordici misure di riso soffiato. Allo stesso modo, la felicita' che
proviene da Dio e' infinitamente piu' grande della gioia che proviene dai
soldi e dai piaceri sensuali. Davanti alla bellezza divina , la bellezza di
Rambha e di Tilottamam non valgono neppure le ceneri della cremazione."

Il Devoto: "Perche' non abbiamo l'intenso desiderio di realizzare Dio?"

Sri Ramakrishna: "L'uomo non ha sete di Dio fintanto che i suoi desideri
mondani non si siano assopiti. Non puo' ricordarsi della Madre divina
fintanto che non abbia pienamente goduto del sesso e dei soldi. Il bimbo
assorto nei suoi giochi si dimentica della madre. Ma, una volta questi
terminati, grida: "Voglio vedere la mia mamma." Un giorno il figlio di
Hriday si divertiva a chiamare dei piccioni: "Suvvia, venite, venite.
Piccini! Piccini!" Quando ne ha avuto abbastanza si e' messo a piangere. Uno
che passava gli ha detto: "Vieni, ti porto da tua mamma." Senza esitare il
bambino e' saltato sulle spalle di questo sconosciuto e tutti e due sono
partiti. "Gli esseri eternamente liberi non hanno bisogno di fare
l'esperienza della vita del mondo. La loro stessa nascita ha colmato tutti i
loro desideri mondani."

Il dottor Madhusudan arriva alle cinque. Intanto che prepara le bende il
Maestro ride come un bambino e esclama: "Tu sei il Madhusudan di questo
mondo e dell'altro!"

Madhusudan: "Il peso del mio nome mi obbliga a lavorare così."

Sri Ramakrishna, sorridendo: "Perche'? Il nome e' cosi' insignificante? Non
esiste differenza fra Dio e il suo nome. Satyabhama non riusci' a
equilibrare
Krishna mettendo dell'oro e delle pietre preziose sull'altro piatto della
bilancia. Rukmini vi depose una foglia di tulsi col nome di Krishna scritto
sopra. L'equilibrio fu allora ristabilito."

Il dottore si accinge a fasciare il braccio del Maestro. Stendiamo sul
pavimento una stuoia sulla quale Sri Ramakrishna si sdraia ridendo. Cita le
parole di una canzone: "Ah! Ecco arrivata l'ultima tappa per Radha. -Chissa'
cosa succedera' ancora?" risponde Brinde. I devoti sono seduti attorno al
Maestro che canta: "Tutte le gopi erano riunite ai bordi del lago."

Il Maestro e i devoti ridono. Una volta fasciato il braccio, dice: "Io non
ho troppa fiducia nei vostri medici di Calcutta. Quando Shambu si e' messo a
delirare il dottor Sarvadhikari ha dichiarato: "Oh! E' appena un po' di
debolezza! E' una questione di medicine. Cinque minuti dopo Shambu rendeva
l'anima a Dio."

La sera e' caduta. Nei templi il servizio serale e' terminato. Poco dopo,
Adhar arriva da Calcutta per vedere il Maestro. Mahimacharan, Rakhal et M.
sono in camera sua.

Adhar: "Come state?"

Sri Ramakrishna, in tono affettuoso: "Vedi, mi sono rotto il braccio
(sorridendo). E non domandarmi come sto."

Adhar si siede sul pavimento assieme ai devoti. IL Maestro gli dice:
"Massaggiami qui dolcemente per favore." Adhar si mette ai piedi del letto
per massaggiargli i piedi.

Sri Ramakrishna, a Mahimacharan: "Come sarebbe bello se tu potessi amare Dio
in modo disinteressato! Questo genere di devoti prega così: "Signore, io non
cerco la salute, la gloria, la ricchezza o la guarigione. Non voglio niente
di tutto cio'. Io non desidero che te. Molte persone vanno da gente ricca
col
cuore pieno di desideri. Ma se un uomo ricco riceve la visita di una persona
che lo ama senza secondi scopi, si sentira' attratto da lei. Prahlada
possedeva questo amore disinteressato, amava Dio in se', senza aspettarsi
niente."

Mahimacharan e' seduto in silenzio. Il Maestro si gira verso di lui.

Sri Ramakrishna: " Vedi, cio' che sto per dirti ti fara' bene. Secondo il
Vedanta, dobbiamo conoscere il nostro vero "io". Ma questa conoscenza e'
impossibile fintanto che non abbiamo rinunciato all'ego. l'ego e' come un
bastone che sembra separare le acque in due. Ci fa credere che esisto io da
una parte e tu dall'altra. Quando l'ego sparisce nel samadhi, sappiamo che
la nostra propria coscienza e' Brahman. "Bisogna rinunciare all'"io" che
crede "sono Mahima Chakravarty", "sono saggio" ecc. Ma l'"io" della
conoscenza non e' nocivo. Shankara conservò l'"io" della conoscenza per
istruire l'umanita'. "E' necessario mostrare un'estrema riserva con le donne
(n.d.r.: ..e gli uomini) per ottenere Brahmajnana. E' il perche', per le
persone mondane, e' cosi' difficile da raggiungere. Per piu' abile che
tu sia, non potrai non
macchiarti se vivi in mezzo alla fuliggine. La compagnia di una donna
(e di un uomo) sveglia la sensualita' anche a colui che ne e' sprovvisto.
"Ma il capo famiglia che segue la via della conoscenza puo', senza
troppi danni, lasciarsi andare ogni tanto ai piaceri coniugali. Puo'
soddisfare questo
desiderio come qualsiasi altro desiderio naturale. Si, ogni tanto puoi
mangiare una squisitezza (Mahima ride). Non fa troppo male al capo famiglia.

"Ma per il/la sannyasin e' estremamente nocivo. Non dovrebbe neppure
guardare il
ritratto di una donna (uomo). Il monaco/a che mantiene relazioni fisiche con
una
donna (uomo) si assomiglia all'uomo che si rimangia la parola data. Il/la
sannyasin
non dovrebbe sedersi di fianco a una donna (uomo)e neppure parlarle, per
quanto
devota possa essere. No, non dovrebbe parlare a una donna (uomo) anche
avendo
raggiunto il controllo sulle passioni.

"Il/la sannyasin deve rinunciare completamente ai soldi e ai piaceri
sensuali.
Allo stesso modo che non puo' guardare il ritratto di una donna (uomo), non
deve
neppure toccare i soldi. Il solo averne possesso non fa bene, poiche' i
soldi
portano con se', a loro volta, calcoli, preoccupazioni, insolenza, collera e
altri mali. Guardate il sole: brilla in tutta la sua radiosita', poi
bruscamente una nuvola passa e lo nasconde. "E´ per questo che, quando i
marwaris vollero depositare dei soldi per me al nome di Hriday, dissi: "No,
anche cosi' non funziona. Se io dovessi disporre di questi soldi, le nuvole
sicuramente apparirebbero.

"Perche' i sannyasin hanno delle regole cosi' severe?

E' tanto per il bene dell'umanità, quanto per loro stessi. Un sannyasin puo'
vivere senza attaccamenti e aver la maestria sulle passioni, ma per dare
l'esempio, deve rinunciare ai soldi e ai piaceri sensuali. "Le persone
troveranno il coraggio di praticare il distacco se vedono un monaco che lo
pratica al cento per cento. Solo allora si sforzeranno per rinunciare ai
piaceri sensuali e ai soldi. Se i monaci non dessero l'esempio, chi lo
farebbe?

"Si puo' vivere come un capo famiglia dopo aver realizzato Dio. Tutto
succede
come per il burro ottenuto barattando il latte e che conserviamo nell'acqua.
Janaka fondo' una famiglia dopo aver ottenuto brahmajnana.

"Janaka maneggiava due spade stesso tempo, la spada della conoscenza e la
spada dell'azione. Il sannyasin rinuncia all'azione e non maneggia che la
spada della conoscenza. Un capofamiglia cosi' saggio come Janaka, puo'
gustare
i frutti dell'albero e i frutti della terra. Puo' servire i sant'uomini,
ricevere invitati ecc. Ho pregato la Madre divina: "Madre, non voglio essere
un sadhu dal cuore secco.

"Quando si ha brahmajnana, la discriminazione diventa inutile, anche per
cilo'
che concerne il cibo. I rishi di una volta, che avevano brahmajnana e che
godevano della felicita' divina, mangiavano di tutto, anche carne di maiale.

"Esistono due forme di yoga, il karmayoga e il manayoga, ossia l'unione con
Dio attraverso il lavoro e l'unione con Dio in spirito.

" Brahmacharya, grihastha, vanaprastha e sannyas formano i quattro stadi
della vita. Durante i primi tre, l'uomo deve compiere i suoi doveri. Il
sannyasin si contenta di portare un bastone, una borraccia e una scodella.
E' ugualmente libero di compiere alcuni riti religiosi, ma siccome non
possiede la coscienza dell'agire, il suo spirito non vi si attacca. Certi
monaci compiono delle cerimonie per dare l'esempio. I capifamiglia e quelli
che appartengono alle altre categorie sono uniti a Dio per le loro opere, se
agiscono con distacco.

"Nel caso di un paramahamsa come Sukadeva, tutti i riti cadono di per se'.
L'uomo che e' arrivato a questo stato comunica con Dio unicamente
attraverso
il pensiero. A volte avra' piacere nell'agire per il bene di tutti. Ma il
ricordo che ha di Dio rimane permanentemente con lui."

Sono circa le otto di sera, il Maestro domanda a Mahima di recitare alcuni
inni presi dalle Scritture. Mahima legge il primo versetto dell'Ùttara Gita
sulla natura del Brahman supremo.

Brahman e' uno, indivisibile, immacolato, al di la' dello spazio. Senza
inizio
ne' fine, inaccessibile al mentale e all'intelligenza. E' al di là della
nascita e della morte. Poi: per i brahmani, Dio risiede nel fuoco. Per i
muni, Dio risiede nel cuore. Gli uomini dalla visione limitata lo
contemplano nell'immagine. E gli yogi dalla visione uguale lo vedono
ovunque.

Non appena il Maestro ha ascoltato questa frase "gli yogi dalla visione
uguale" si alza ed entra in samadhi, il braccio preso dalla fascia.
Stupefatti, i devoti osservano in silenzio questo yogi che ha raggiunto la
medesima visione.

Molto tempo dopo, il Maestro riprende conoscenza del mondo e torna a
sedersi.
Domanda a Mahima di recitare i versetti sull'amore divino. Mahima cita un
testo del Narada Pancharatra:

Perche' far penitenza se si ha un amore intenso per Dio? Perche' far
penitenza
se non si ha un amore intenso per Dio? Perche' far penitenza se vediamo Dio
fuori e dentro? Perche' far penitenza se non vediamo Dio fuori e dentro? Oh
Brahman! Oh figlio mio! Cessa le tue penitenze. Vai verso Shankara, verso
questo oceano di saggezza celeste. Chiedigli l'amore divino, questo amor
puro cantato dai devoti, Che tranciera' i legami che ancora ti attaccano al
mondo.

Il Maestro esclama: "Ah! Ah!" Ascoltando questi versi, e' di nuovo sul punto
di entrare in un nuovo estasi, ma fa uno sforzo per controllarsi.

.Mahima legge allora un estratto del Yatipanchaka:

Io sono la Madre divina in cui appare, come per magia, l'illusorio universo
dell'animato e dell'inanimato ed in cui brilla questo universo, puro gioco
del suo spirito. Io sono l'incarnazione della coscienza, il Se'
dell'universo, il solo e unico Satchidananda, Esistenza, Conoscenza,
Felicità.

Quando il Maestro ascolta la frase "io sono l'incarnazione della coscienza",
aggiunge sorridendo: "Tutto cio' che e' nel microcosmo, e' anche nel
macrocosmo."

Mahima legge in seguito le sei strofe sul Nirvana:

Om. Io non sono ne' il mentale, ne' l'intelligenza, ne' l'ego, ne' il citta,
ne'
le orecchie, ne' la lingua, ne' il naso, ne' gli occhi.
Io non sono neppure l'etere, l'aria, il fuoco, la terra e l'acqua,
Io sono Chidananda rupa! Io sono Shiva! Io sono Shiva.

Non sono ne' il prana, ne' i cinque soffi vitali, ne' i sette elementi del
corpo, ne' i suoi cinque foderi.
Ne' le mani, ne' i piedi, ne' la lingua, ne' gli organi sessuali e di
escrezione.
Io sono Chidananda rupa! Io sono Shiva! Io sono Shiva!

Non ho ne' odio, ne' affetto, ne' avidita', ne' ignoranza, Non ho ne' senso
dell'ego, ne' orgoglio, ne' dharma, ne' moksha.
Non esiste in me nessun desiderio derivato dal mentale, ne' di oggetto che
possa desiderare.
Io sono Chidananda rupa! Io sono Shiva! Io sono Shiva!

Non sono ne' il bene, ne' il male, ne' il piacere, ne' la pena, ne' il
mantra, ne'
il luogo sacro, ne' i Veda, ne' il sacrificio.
Io non sono ne' l'azione di mangiare, ne' colui che mangia, ne' il cibo.
Io sono Chidananda rupa! Io sono Shiva! Io sono Shiva!

Non conosco ne' la morte, ne' il timore, ne' le distinzioni di caste. Non ho
ne'
padre, ne' madre, e neppure nascimento.
Nessun amico, compagno, discepolo o guru.
Io sono Chidananda rupa! Io sono Shiva! Io sono Shiva!

Sono senza forma e senza immagine. Sono onnipenetrante. Esisto ovunque, per
quanto io sia al di la' dei sensi.
Non sono ne' il saluto, ne' niente di conoscibile.
Io sono Chidananda rupa! Io sono Shiva! Io sono Shiva!

Ogni volta che Mahima ripete, "Io sono Shiva!" il Maestro risponde
sorridendo, "Non io! Non io! Tu sei Chidananda!"

Mahima legge ancora qualche versetto del Jivanmukti Gita sui sei centri
psichici del corpo. Spiega che a Benares ha assistito alla morte di uno yogi
in stato di yoga.

Mahima: " Troviamo dei bei passaggi nel Rama Gita."

Sri Ramakrishna, sorridendo: "Tu parli del Rama Gita. Certamente devi
conoscere il Vedanta. I sadhu qui hanno letto tanti libri."

Mahima fa la descrizione del suono Om.

Il suono Om assomiglia al flusso uniforme di un filo d'olio o alla lunga
risonanza di una campana.

A proposito dello stato di samadhi, legge: "L'uomo stabilitosi nel samadhi
vede la regione superiore ricolma di purna, la regione inferiore ricolma di
purna, la regione intermediaria ricolma di purna. Vede che tutto e' ricolmo
di purna, purna che e' Atman".

Adhar e Mahima salutano il Maestro e poi se ne vanno.

Domenica 3 febbraio 1884

A mezzogiorno, dopo pranzo, Sri Ramakrishna e' seduto sul lettino quando
Ram, Surendra e alcuni devoti arrivano da Calcutta. Il braccio rotto del
Maestro li preoccupa. M. sta seduto vicino al Maestro il cui braccio e'
fasciato.
Sri Ramakrishna, ai devoti "La Madre mi ha messo in un tale stato che non
posso dissimulare niente. La mia attitudine e' quella del bambino, ma Rakhal
non lo capisce. Nasconde il mio braccio ferito sotto a una stoffa, ha paura
che, vedendo la mia frattura, le persone mi critichino. Ha informato
discretamente il dottor Madhu del mio incidente, ma io ho gridato "Hei
Madhusudan ! dove sei ? Vieni a vedere ! Il mio braccio e' rotto !"

"Una volta, io dormivo nella stanza di Mathur e di sua moglie. Si prendevano
cura di me come del loro bambino. In quell'epoca attraversavo un momento di
follia divina. Mathur mi domandava, "Padre, ci hai intesi?" - Ed io
rispondevo, "Si."

"Un giorno, sua moglie sospetto' qualcosa a rispetto di queste uscite e gli
disse, "Quando uscirai, lui ti accompagnera'." Allora, una volta Mathur mi
ha
portato con lui e mi ha pregato di restare giu',da basso. Una mezz'ora dopo
e'
ridisceso e mi ha detto, "Vieni, Padre, ora ce ne andiamo. L'automobile
aspetta." Ho spiegato tutto a sua moglie quando mi ha interrogato. "Siamo
andati in una casa e Mathur mi ha pregato di aspettare in basso, intanto che
lui saliva al piano di sopra. E' ridisceso un'ora dopo e siamo partiti."
Beninteso, lei ha capito quel che ha voluto.

"Uno dei contadini di Mathur aveva l'abitudine di rubare frutta e verdure
nel giardino del templo. Quando gli altri contadini mi hanno chiesto, gli ho
detto la verità."

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