(Mahendranath Gupta)
IL VANGELO DI SRI RAMAKRISHNA (dal CAPITOLO 19)
*Ramakrishna si è rotto il braccio*
Sabato 2 febbraio 1884
Sri Ramakrishna e' in una stanza nel Tempio di Dakshineshwar. Sono le tre del pomeriggio. Ultimamente, mentre si recava da solo alla pineta, il Maestro in estasi e' caduto vicino al chiostro e si e' rotto il braccio sinistro.
Arrivando, M. si prostra davanti al Maestro. Rakhal, Mahimacharan e Hazra sono gia' là. M. ha portato dell'ovatta, una benda e delle stecche.
Sri Ramakrishna, dice a M.: "Buongiorno! Di cosa soffrivi? Ti sei rimesso a posto ora?"
M.: "Si, signore."
Sri Ramakrishna, a Mahima: "Se io sono la macchina e se Dio e' l'operatore, perche' mi e' successo questo?"
Il Maestro, seduto sul lettino, ascolta il racconto del pellegrinaggio che Mahima ha fatto in diversi luoghi santi, dodici anni fa.
Mahima: "In un parco a Benares, ho incontrato un brahmachari. Mi ha spiegato che viveva la' da vent'anni. Eppure non ne conosceva il proprietario. Mi ha domandato se lavoravo in un ufficio. Siccome gli rispondevo di no, ha aggiunto: "Se lei non lavora, vuol dire che e' un sadhu." Ho incontrato un sant'uomo ai bordi della Narmada che ripeteva mentalmente la Gayatri. Provava una tale felicita' che tutti i peli del suo corpo rimanevano rizzati. Quando ripeteva a voce alta la Gayatri o l'Om, anche le persone sedute al suo fianco avevano la pelle d'oca."
Il Maestro possiede una natura di bambino. Siccome ha fame, domanda a M.: "Cosa mi hai portato?" Poi, alla vista di Rakhal, entra in samadhi. In seguito, ritornando dolcemente allo stato normale, dice per riportare il suo spirito alla coscienza corporale: "Mi piacerebbe mangiare dei jillipis e bere un po' d'acqua."
Si rivolge alla Madre divina, gemendo come un bambino: "Brahmamayi! Madre, perche' mi hai fatto questo? Il mio braccio e' rotto.(Ai devoti) Ditemi, guariro'?"
Questi lo consolano come un bambino: "Ma certamente che guarirete!"
Sri Ramakrishna, a Rakhal: "Non e' colpa tua, anche se sei qui per occuparti di me. Anche se tu mi avessi accompagnato, non saresti certamente andato fino al chiostro".
Il Maestro, di nuovo in estasi, dice: "Om Om Om Madre, che cosa racconto? Madre, non rendermi incosciente con Brahmanjnana. Non darmi Brahmanjnana. Non sono che il tuo bimbo, un niente inquieto e affranto. Ho bisogno di una madre. Mille saluti alla conoscenza di Brahman. Offrila a quelli che ne vogliono. Anandamayi, madre piena di felicita'!"
Ad alta voce pronuncia: "Anandamayi", poi dice in un singhiozzo: "Madre, il mio cuore e' pesante per il dispiacere. Poiche', benche' tu sia mia Madre ed io sia risvegliato, un furto e' stato perpetrato nella mia casa.
Di nuovo, si rivolge alla Madre divina: "Che male ho commesso, Madre? Io ho mai fatto qualsiasi cosa? Sei tu Madre, che fai tutto. Io sono la macchina e tu sei l'operatrice."
(A Rakhal, sorridendo): "Sta attento a non cadere. Non arrabbiarti e non immaginare ogni tipo di cose."
Si rivolge un'altra volta alla Madre: " E' per via della mia ferita che piango? Niente affatto."
Intona lo stesso canto di un'attimo prima. Il Maestro ride e piange come un bambino. Anche soffrendo, ride e si diverte.
Sri Ramakrishna, a Mahima e ai devoti: " Non otterrete niente se non realizzate Satchitananda. Niente vale quanto la discriminazione e il distacco. L'amore che l'uomo mondano prova per Dio non dura. E' come una goccia d'acqua su un ferro rovente."
D'un tratto il suo sguardo si ferma su un fiore ed esclama: "Ah! Come la creazione divina e' meravigliosa! "Bisogna bruciare d'impazienza per Dio. Allora quando un figlio, ancora giovane, insiste per avere la sua parte della proprietà, i genitori si consultano e gliela danno. Dio certamente ascoltera' le vostre preghiere se, per Sua causa, l'angoscia stringe il vostro cuore. Poiche' Egli ci ha generati , possiamo reclamare la nostra eredita'. E' nostro padre e nostra madre. Abbiamo il diritto di estorcergli con la forza cio' che desideriamo. Possiamo dirgli: "Rivelati a me, senno' mi tagliero' la gola.""
Il Maestro insegna ai devoti come pregare alla Madre divina.
Sri Ramakrishna: "Io pregavo - Madre, madre piena di felicita', rivelati a me. Tu lo devi fare - e anche - Signore degli umili, Signore dell'universo, io non sono fuori dalla tua creazione. Mi manca l'istruzione, la disciplina e la devozione. Non so niente. Sii compassionevole e rivelati a me."
Questa preghiera del Maestro tocca profondamente i devoti. Gli occhi di Mahima si riempiono di lacrime.
Sri Ramakrishna lo guarda e canta: "O mio spirito, implora nostra Madre con tutto il tuo cuore! - vedremo se Shyama restera' insensibile. Potra' mai Kali restare impassibile? "
Vari devoti arrivano da Shibpur. Siccome arrivano da lontano e gia' che il Maestro non vuole deluderli, parla dei principali temi spirituali.
Sri Ramakrishna: "Solo Dio e' reale, il resto e' effimero. Il giardino e il suo proprietario, Dio e il suo splendore. Le persone non si interessano che al giardino, ben pochi cercano il proprietario."
Un Devoto: "Signore, qual'e' il cammino?"
Sri Ramakrishna: "Discrimina fra reale e irreale. Discrimina cosi' costantemente: solo Dio e' reale, il mondo e' effimero. Pregalo anche con un cuore fervoroso e sincero."
Il Devoto: "Ma signore, come trovare il tempo per tutto?"
Sri Ramakrishna: "Quelli che ne hanno la possibilita' dovrebbero meditare e pregare. Quelli per cui e' davvero impossibile dovrebbero, due volte al giorno, prostrarsi con amore davanti a Dio. Il Signore risiede nel cuore di tutti gli esseri. Sa che le persone sulla terra sono molto occupate. Cosa possono fare? Non hai tempo di pregare Dio, allora dagli la tua procura. Anche cosi' tutto e' vano per chi non ha realizzato Dio."
Un altro devoto: "Signore, guardare lei e guardare Dio e' la stessa cosa."
Sri Ramakrishna: "Non ripetere mai questo. Le onde appartengono al Gange, ma il Gange non appartiene alle onde. Se non ci si e' sbarazzati di queste idee "sono un uomo molto importante" oppure "mi chiamo signor X", non si potra' realizzare Dio. Dissolvi nelle lacrime della devozione la collina dell'ego e appianala fino al suolo."
Il Devoto: "Perché Dio ci ha inviati quaggiu'?"
Sri Ramakrishna: "Per perpetuare la sua creazione. E' la sua volonta', la sua Maya. Si serve del sesso e dei soldi per far perdere uomini e donne."
Il Devoto: "Perche' ci inganna? Perche' ha deciso cio'?"
Sri Ramakrishna: "Se Dio donasse, una sola volta, un pizzico di felicita' divina, l'uomo non vorrebbe piu' restar quaggiu' e sarebbe la fine della creazione.
"Nel suo negozio il mercante conserva il riso in grossi sacchi. Per allontanare i topi, mette in un canto un piatto di riso soffiato. I topi vanno matti per questo riso zuccherato. Lo rosicchiano durante tutta la notte, trascurando l'altro riso. Pensate dunque! Una misura di riso fornisce quattordici misure di riso soffiato. Allo stesso modo, la felicita' che proviene da Dio e' infinitamente piu' grande della gioia che proviene dai soldi e dai piaceri sensuali. Davanti alla bellezza divina , la bellezza di Rambha e di Tilottamam non valgono neppure le ceneri della cremazione."
Il Devoto: "Perche' non abbiamo l'intenso desiderio di realizzare Dio?"
Sri Ramakrishna: "L'uomo non ha sete di Dio fintanto che i suoi desideri mondani non si siano assopiti. Non puo' ricordarsi della Madre divina fintanto che non abbia pienamente goduto del sesso e dei soldi. Il bimbo assorto nei suoi giochi si dimentica della madre. Ma, una volta questi terminati, grida: "Voglio vedere la mia mamma." Un giorno il figlio di Hriday si divertiva a chiamare dei piccioni: "Suvvia, venite, venite. Piccini! Piccini!" Quando ne ha avuto abbastanza si e' messo a piangere. Uno che passava gli ha detto: "Vieni, ti porto da tua mamma." Senza esitare il bambino e' saltato sulle spalle di questo sconosciuto e tutti e due sono partiti. "Gli esseri eternamente liberi non hanno bisogno di fare l'esperienza della vita del mondo. La loro stessa nascita ha colmato tutti i loro desideri mondani."
Il dottor Madhusudan arriva alle cinque. Intanto che prepara le bende il Maestro ride come un bambino e esclama: "Tu sei il Madhusudan di questo mondo e dell'altro!"
Madhusudan: "Il peso del mio nome mi obbliga a lavorare così."
Sri Ramakrishna, sorridendo: "Perche'? Il nome e' cosi' insignificante? Non esiste differenza fra Dio e il suo nome. Satyabhama non riusci' a equilibrare Krishna mettendo dell'oro e delle pietre preziose sull'altro piatto della bilancia. Rukmini vi depose una foglia di tulsi col nome di Krishna scritto sopra. L'equilibrio fu allora ristabilito."
Il dottore si accinge a fasciare il braccio del Maestro. Stendiamo sul pavimento una stuoia sulla quale Sri Ramakrishna si sdraia ridendo. Cita le parole di una canzone: "Ah! Ecco arrivata l'ultima tappa per Radha. -Chissa' cosa succedera' ancora?" risponde Brinde. I devoti sono seduti attorno al Maestro che canta: "Tutte le gopi erano riunite ai bordi del lago."
Il Maestro e i devoti ridono. Una volta fasciato il braccio, dice: "Io non ho troppa fiducia nei vostri medici di Calcutta. Quando Shambu si e' messo a delirare il dottor Sarvadhikari ha dichiarato: "Oh! E' appena un po' di debolezza! E' una questione di medicine. Cinque minuti dopo Shambu rendeva l'anima a Dio."
La sera e' caduta. Nei templi il servizio serale e' terminato. Poco dopo, Adhar arriva da Calcutta per vedere il Maestro. Mahimacharan, Rakhal et M. sono in camera sua.
Adhar: "Come state?"
Sri Ramakrishna, in tono affettuoso: "Vedi, mi sono rotto il braccio (sorridendo). E non domandarmi come sto."
Adhar si siede sul pavimento assieme ai devoti. IL Maestro gli dice: "Massaggiami qui dolcemente per favore." Adhar si mette ai piedi del letto per massaggiargli i piedi.
Sri Ramakrishna, a Mahimacharan: "Come sarebbe bello se tu potessi amare Dio in modo disinteressato! Questo genere di devoti prega così: "Signore, io non cerco la salute, la gloria, la ricchezza o la guarigione. Non voglio niente di tutto cio'. Io non desidero che te. Molte persone vanno da gente ricca col cuore pieno di desideri. Ma se un uomo ricco riceve la visita di una persona che lo ama senza secondi scopi, si sentira' attratto da lei. Prahlada possedeva questo amore disinteressato, amava Dio in se', senza aspettarsi niente."
Mahimacharan e' seduto in silenzio. Il Maestro si gira verso di lui.
Sri Ramakrishna: " Vedi, cio' che sto per dirti ti fara' bene. Secondo il Vedanta, dobbiamo conoscere il nostro vero "io". Ma questa conoscenza e' impossibile fintanto che non abbiamo rinunciato all'ego. l'ego e' come un bastone che sembra separare le acque in due. Ci fa credere che esisto io da una parte e tu dall'altra. Quando l'ego sparisce nel samadhi, sappiamo che la nostra propria coscienza e' Brahman. "Bisogna rinunciare all'"io" che crede "sono Mahima Chakravarty", "sono saggio" ecc. Ma l'"io" della conoscenza non e' nocivo. Shankara conservò l'"io" della conoscenza per istruire l'umanita'. "E' necessario mostrare un'estrema riserva con le donne (n.d.r.: ..e gli uomini) per ottenere Brahmajnana. E' il perche', per le persone mondane, e' cosi' difficile da raggiungere. Per piu' abile che tu sia, non potrai non macchiarti se vivi in mezzo alla fuliggine. La compagnia di una donna (e di un uomo) sveglia la sensualita' anche a colui che ne e' sprovvisto. "Ma il capo famiglia che segue la via della conoscenza puo', senza troppi danni, lasciarsi andare ogni tanto ai piaceri coniugali. Puo' soddisfare questo desiderio come qualsiasi altro desiderio naturale. Si, ogni tanto puoi mangiare una squisitezza (Mahima ride). Non fa troppo male al capo famiglia.
"Ma per il/la sannyasin e' estremamente nocivo. Non dovrebbe neppure guardare il ritratto di una donna (uomo). Il monaco/a che mantiene relazioni fisiche con una donna (uomo) si assomiglia all'uomo che si rimangia la parola data. Il/la sannyasin non dovrebbe sedersi di fianco a una donna (uomo)e neppure parlarle, per quanto devota possa essere. No, non dovrebbe parlare a una donna (uomo) anche avendo raggiunto il controllo sulle passioni.
"Il/la sannyasin deve rinunciare completamente ai soldi e ai piaceri sensuali. Allo stesso modo che non puo' guardare il ritratto di una donna (uomo), non deve neppure toccare i soldi. Il solo averne possesso non fa bene, poiche' i soldi portano con se', a loro volta, calcoli, preoccupazioni, insolenza, collera e altri mali. Guardate il sole: brilla in tutta la sua radiosita', poi bruscamente una nuvola passa e lo nasconde. "E´ per questo che, quando i marwaris vollero depositare dei soldi per me al nome di Hriday, dissi: "No, anche cosi' non funziona. Se io dovessi disporre di questi soldi, le nuvole sicuramente apparirebbero.
"Perche' i sannyasin hanno delle regole cosi' severe?
E' tanto per il bene dell'umanità, quanto per loro stessi. Un sannyasin puo' vivere senza attaccamenti e aver la maestria sulle passioni, ma per dare l'esempio, deve rinunciare ai soldi e ai piaceri sensuali. "Le persone troveranno il coraggio di praticare il distacco se vedono un monaco che lo pratica al cento per cento. Solo allora si sforzeranno per rinunciare ai piaceri sensuali e ai soldi. Se i monaci non dessero l'esempio, chi lo farebbe?
"Si puo' vivere come un capo famiglia dopo aver realizzato Dio. Tutto succede come per il burro ottenuto barattando il latte e che conserviamo nell'acqua. Janaka fondo' una famiglia dopo aver ottenuto brahmajnana.
"Janaka maneggiava due spade stesso tempo, la spada della conoscenza e la spada dell'azione. Il sannyasin rinuncia all'azione e non maneggia che la spada della conoscenza. Un capofamiglia cosi' saggio come Janaka, puo' gustare i frutti dell'albero e i frutti della terra. Puo' servire i sant'uomini, ricevere invitati ecc. Ho pregato la Madre divina: "Madre, non voglio essere un sadhu dal cuore secco.
"Quando si ha brahmajnana, la discriminazione diventa inutile, anche per cilo' che concerne il cibo. I rishi di una volta, che avevano brahmajnana e che godevano della felicita' divina, mangiavano di tutto, anche carne di maiale.
"Esistono due forme di yoga, il karmayoga e il manayoga, ossia l'unione con Dio attraverso il lavoro e l'unione con Dio in spirito.
" Brahmacharya, grihastha, vanaprastha e sannyas formano i quattro stadi della vita. Durante i primi tre, l'uomo deve compiere i suoi doveri. Il sannyasin si contenta di portare un bastone, una borraccia e una scodella. E' ugualmente libero di compiere alcuni riti religiosi, ma siccome non possiede la coscienza dell'agire, il suo spirito non vi si attacca. Certi monaci compiono delle cerimonie per dare l'esempio. I capifamiglia e quelli che appartengono alle altre categorie sono uniti a Dio per le loro opere, se agiscono con distacco.
"Nel caso di un paramahamsa come Sukadeva, tutti i riti cadono di per se'. L'uomo che e' arrivato a questo stato comunica con Dio unicamente attraverso il pensiero. A volte avra' piacere nell'agire per il bene di tutti. Ma il ricordo che ha di Dio rimane permanentemente con lui."
Sono circa le otto di sera, il Maestro domanda a Mahima di recitare alcuni inni presi dalle Scritture. Mahima legge il primo versetto dell'Ùttara Gita sulla natura del Brahman supremo.
Brahman e' uno, indivisibile, immacolato, al di la' dello spazio. Senza inizio ne' fine, inaccessibile al mentale e all'intelligenza. E' al di là della nascita e della morte. Poi: per i brahmani, Dio risiede nel fuoco. Per i muni, Dio risiede nel cuore. Gli uomini dalla visione limitata lo contemplano nell'immagine. E gli yogi dalla visione uguale lo vedono ovunque.
Non appena il Maestro ha ascoltato questa frase "gli yogi dalla visione uguale" si alza ed entra in samadhi, il braccio preso dalla fascia. Stupefatti, i devoti osservano in silenzio questo yogi che ha raggiunto la medesima visione.
Molto tempo dopo, il Maestro riprende conoscenza del mondo e torna a sedersi. Domanda a Mahima di recitare i versetti sull'amore divino. Mahima cita un testo del Narada Pancharatra:
Perche' far penitenza se si ha un amore intenso per Dio? Perche' far penitenza se non si ha un amore intenso per Dio? Perche' far penitenza se vediamo Dio fuori e dentro? Perche' far penitenza se non vediamo Dio fuori e dentro? Oh Brahman! Oh figlio mio! Cessa le tue penitenze. Vai verso Shankara, verso questo oceano di saggezza celeste. Chiedigli l'amore divino, questo amor puro cantato dai devoti, Che tranciera' i legami che ancora ti attaccano al mondo.
Il Maestro esclama: "Ah! Ah!" Ascoltando questi versi, e' di nuovo sul punto di entrare in un nuovo estasi, ma fa uno sforzo per controllarsi.
.Mahima legge allora un estratto del Yatipanchaka:
Io sono la Madre divina in cui appare, come per magia, l'illusorio universo dell'animato e dell'inanimato ed in cui brilla questo universo, puro gioco del suo spirito. Io sono l'incarnazione della coscienza, il Se' dell'universo, il solo e unico Satchidananda, Esistenza, Conoscenza, Felicità.
Quando il Maestro ascolta la frase "io sono l'incarnazione della coscienza", aggiunge sorridendo: "Tutto cio' che e' nel microcosmo, e' anche nel macrocosmo."
Mahima legge in seguito le sei strofe sul Nirvana:
Om. Io non sono ne' il mentale, ne' l'intelligenza, ne' l'ego, ne' il citta, ne' le orecchie, ne' la lingua, ne' il naso, ne' gli occhi. Io non sono neppure l'etere, l'aria, il fuoco, la terra e l'acqua, Io sono Chidananda rupa! Io sono Shiva! Io sono Shiva.
Non sono ne' il prana, ne' i cinque soffi vitali, ne' i sette elementi del corpo, ne' i suoi cinque foderi. Ne' le mani, ne' i piedi, ne' la lingua, ne' gli organi sessuali e di escrezione. Io sono Chidananda rupa! Io sono Shiva! Io sono Shiva!
Non ho ne' odio, ne' affetto, ne' avidita', ne' ignoranza, Non ho ne' senso dell'ego, ne' orgoglio, ne' dharma, ne' moksha. Non esiste in me nessun desiderio derivato dal mentale, ne' di oggetto che possa desiderare. Io sono Chidananda rupa! Io sono Shiva! Io sono Shiva!
Non sono ne' il bene, ne' il male, ne' il piacere, ne' la pena, ne' il mantra, ne' il luogo sacro, ne' i Veda, ne' il sacrificio. Io non sono ne' l'azione di mangiare, ne' colui che mangia, ne' il cibo. Io sono Chidananda rupa! Io sono Shiva! Io sono Shiva!
Non conosco ne' la morte, ne' il timore, ne' le distinzioni di caste. Non ho ne' padre, ne' madre, e neppure nascimento. Nessun amico, compagno, discepolo o guru. Io sono Chidananda rupa! Io sono Shiva! Io sono Shiva!
Sono senza forma e senza immagine. Sono onnipenetrante. Esisto ovunque, per quanto io sia al di la' dei sensi. Non sono ne' il saluto, ne' niente di conoscibile. Io sono Chidananda rupa! Io sono Shiva! Io sono Shiva!
Ogni volta che Mahima ripete, "Io sono Shiva!" il Maestro risponde sorridendo, "Non io! Non io! Tu sei Chidananda!"
Mahima legge ancora qualche versetto del Jivanmukti Gita sui sei centri psichici del corpo. Spiega che a Benares ha assistito alla morte di uno yogi in stato di yoga.
Mahima: " Troviamo dei bei passaggi nel Rama Gita."
Sri Ramakrishna, sorridendo: "Tu parli del Rama Gita. Certamente devi conoscere il Vedanta. I sadhu qui hanno letto tanti libri."
Mahima fa la descrizione del suono Om.
Il suono Om assomiglia al flusso uniforme di un filo d'olio o alla lunga risonanza di una campana.
A proposito dello stato di samadhi, legge: "L'uomo stabilitosi nel samadhi vede la regione superiore ricolma di purna, la regione inferiore ricolma di purna, la regione intermediaria ricolma di purna. Vede che tutto e' ricolmo di purna, purna che e' Atman".
Adhar e Mahima salutano il Maestro e poi se ne vanno.
Domenica 3 febbraio 1884
A mezzogiorno, dopo pranzo, Sri Ramakrishna e' seduto sul lettino quando Ram, Surendra e alcuni devoti arrivano da Calcutta. Il braccio rotto del Maestro li preoccupa. M. sta seduto vicino al Maestro il cui braccio e' fasciato. Sri Ramakrishna, ai devoti "La Madre mi ha messo in un tale stato che non posso dissimulare niente. La mia attitudine e' quella del bambino, ma Rakhal non lo capisce. Nasconde il mio braccio ferito sotto a una stoffa, ha paura che, vedendo la mia frattura, le persone mi critichino. Ha informato discretamente il dottor Madhu del mio incidente, ma io ho gridato "Hei Madhusudan ! dove sei ? Vieni a vedere ! Il mio braccio e' rotto !"
"Una volta, io dormivo nella stanza di Mathur e di sua moglie. Si prendevano cura di me come del loro bambino. In quell'epoca attraversavo un momento di follia divina. Mathur mi domandava, "Padre, ci hai intesi?" - Ed io rispondevo, "Si."
"Un giorno, sua moglie sospetto' qualcosa a rispetto di queste uscite e gli disse, "Quando uscirai, lui ti accompagnera'." Allora, una volta Mathur mi ha portato con lui e mi ha pregato di restare giu',da basso. Una mezz'ora dopo e' ridisceso e mi ha detto, "Vieni, Padre, ora ce ne andiamo. L'automobile aspetta." Ho spiegato tutto a sua moglie quando mi ha interrogato. "Siamo andati in una casa e Mathur mi ha pregato di aspettare in basso, intanto che lui saliva al piano di sopra. E' ridisceso un'ora dopo e siamo partiti." Beninteso, lei ha capito quel che ha voluto.
"Uno dei contadini di Mathur aveva l'abitudine di rubare frutta e verdure nel giardino del templo. Quando gli altri contadini mi hanno chiesto, gli ho detto la verità."
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