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SCHEDA ARTICOLO N. «01600»

CLASSIFICAZIONE: 5
TIPOLOGIA: AFFINE
AUTORE: DANIELA STANCO
TITOLO: LA MALATTIA
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TESTO ARTICOLO

La malattia

(di Daniela Stanco)





Quando arriva la malattia, chi è saggio non ci trova niente di strano.
Nascere in questo mondo implica l’esperienza di ammalarsi. Tuttavia,
perfino il Buddha e i Nobili, quando si ammalavano, ricorrevano alle
medicine. Per loro si trattava semplicemente di riportare in
equilibrio gli elementi. (…) Curavano la malat-tia con la retta
visione, non certo con l’illusione. “Se guarisce, guarisce, se non
guarisce, non guarisce” (…)

(Ajahn Chah)

--



Tredici anni fa sono stata colpita da una grave malattia chiamata
“linfoma non Hodgkin”. Un tumore maligno dei tessuti linfatici. Dopo
un intervento chirurgico di una certa serietà, mi sono affidata alle
cure dell’équipe medica dell’Istituto di Ematologia del Policlinico di
Roma. Una volta alla settimana, per tre mesi, mi sono recata in day
hospital nella sala terapia dell’Istituto per cercare la guarigione
attraverso la chemioterapia che mi era stata assegnata. E, con grande
mia gioia, la remissione completa della malattia è avvenuta. Quello
che ora vorrei ricordare a me stessa e riuscire a condividere con voi
è quanto questa grande sofferenza sia stata motivo di utile
trasformazione spirituale. Allora io non ero una praticante di Dharma
e non frequentavo nessuna chiesa. Per mia fortuna possedevo una
spontanea fiducia nella vita e il dono di credere in una realtà
trascendente, nell’esistenza di uno Spazio Sacro a cui era possibile
accedere. Questa fede credo abbia giovato al processo di guarigione
perché in effetti, senza che io ne fossi consapevole, mi ha permesso
di accettare la malattia e quindi riuscire a indirizzare l’energia
verso la salute. Naturalmente il destino ha fatto la sua parte… e le
cure mediche pure!

Mi sono svegliata dall’intervento in una condizione di estremo dolore,
mi sembrava di essere avvolta in un involucro sconosciuto capace solo
di trasmettere sofferenza. E quando mi chiedevano: “Come stai?”,
rispondevo: “Male”. Capivo finalmente l’esatto significato di questa
parola. Non potevo nascondere nulla e, a quelli capaci di essere
presenti assieme a me nell’esperienza, accoglienti, ho voluto
veramente tanto tanto bene. Avevo bisogno di essere aiutata a stare in
quello che succedeva, non ad essere distratta, portata fuori. Quello è
stato per me, allora, il vero conforto.

La chemioterapia mi ha presto tolto vigore, lucidità mentale e
bellezza mettendomi in una condizione di prematura vecchiaia. Certo,
si è trattato di una vecchiaia provvisoria, a termine, sapevo che
quelle qualità sarebbero tornate se non fossi morta. Ugualmente quella
breve conoscenza è stata utile perché mi ha resa più paziente e
attenta verso gli anziani e in genere verso l’handicap. Mi ha
ricordato quanto possa essere motivo di gioia il semplice camminare,
autonoma, per le strade del mondo. Mi ha fatto considerare questa vita
un dono da trattare con cura e amore. E, soprattutto, credo, mi ha
preparata ad accettare con maggiore umiltà il naturale decadimento di
questo corpo.

Quando tornavo a casa, dopo l’induzione chimica in vena, e soprattutto
il giorno dopo, sembrava di essere in guerra, il dopo bombardamento
sulla città. Dovevo presto riparare i danni. Bere tanta acqua per
proteggere i reni, curare la mucosa della bocca piena di afte e
piaghette, prendere minerali essenziali, sopportare dolori vaganti che
comparivano qua e là. Anche sciacquare una tazza era molto faticoso e
leggere, mio conforto da sempre, difficile. Eppure lo spazio non era
tutto riempito dalla sofferenza. Le giornate non erano un continuo
sempre uguale. Le sensazioni e i sentimenti che mi attraversavano
erano come sempre mutevoli. Pace, calma e fiducia facevano capolino
permettendomi pause di vero riposo.

E la morte era presente come non era mai avvenuto. Ma la tenevo
lontana: “Ho il 70% di possibilità di morire in questa occasione, ma
io sono sicuramente nel 30%! Adesso non posso occuparmi della morte,
posso solo prendermi cura della guarigione!”. Questo era il pensiero.

La grande paura della morte (buio, freddo, salto nell’ignoto,
solitudine, perdita, fine del viaggio) l’ho sentita tutta quando mi
hanno detto che la malattia era in remissione completa. Allora però
non avevo né il desiderio, né gli strumenti per guardare quella paura.
Ho iniziato solo da poco a esplorarla.

Un altro sentimento molto forte di quel periodo è stata la
gratitudine. Ho provato gratitudine verso i miei cari, verso i medici
e gli infermieri, verso quelle sostanze chimiche velenose ma efficaci,
verso gli amici e, soprattutto, verso il mio “potentissimo” angelo
custode che mi aveva così bene aiutata!

Era però una gratitudine muta. Solo negli ultimi tempi, attraverso
certi atti devozionali di corpo, mente e cuore –prendere rifugio,
l’inchino, i canti, le offerte all’altare casalingo – riesco a
esprimere la gratitudine con tutta la sua forza viva. E quanto questa
possibilità di espressione mi dia conforto e rinnovi in me la fiducia,
sempre mi fa stupire!

Quando ci si trova in situazioni di grande smarrimento e dolore quello
che conta sono le cosiddette piccole cose, che poi sono quelle
veramente grandi. Un cugino venne a trovarmi portandomi un cactus
microscopico, turgido di acqua e di calore. Quella pianta possiede
ancora oggi la facoltà di ricordarmi l’importanza del dono (saper dare
ma anche saper ricevere), della compassione, della presenza, della
necessità di non fuggire davanti alla paura di malattia (nostra e
degli altri), vecchiaia, morte.

Una volta convalescente ho avuto modo di riflettere sull’accaduto.
Questa riflessione (che in realtà non si è più interrotta) mi ha
portata, tra le prime cose, a decidere di praticare hatha yoga con una
brava insegnante, divenuta in seguito un’amica e, soprattutto, la
prima persona che mi ha fatto conoscere il Sentiero attraverso la
pratica meditativa samatha-vipassana. Di questo le sono sempre
riconoscente. Riuscire a vedere la natura di dukkha di questa vita,
capire che la malattia è espressione propria di questo corpo quanto la
salute, è stato per me motivo di grande sollievo e motivo a
perseverare lungo il cammino che il Buddha, con tanta compassione e
saggezza, ci ha indicato.

Mentre raccontavo questa esperienza ad Ajahn Chandapalo, abate del
monastero Santacittarama, lui ha detto: “Sei stata fortunata ad aver
conosciuto malattia, vecchiaia e morte in giovane età…”.

-
75 (70) Costui con la gran nave della sua sapienza farà valicare
l’oceano del dolore all’afflitto mondo caduto in balìa dei flutti,
quell’oceano che ha per spuma la malattia, per onda la vecchiezza e
per orribile tempesta la morte. (Asvaghosa)

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