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SCHEDA ARTICOLO N. «01601»

CLASSIFICAZIONE: 5
TIPOLOGIA: AFFINE
AUTORE: CHANDRA CANDIANI
TITOLO: L'AMICIZIA SENZA AMICI
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TESTO ARTICOLO

L'amicizia senza amici

(di Chandra Candiani)
-

"Siate miei amici, io sono solo".

disse il Piccolo Principe.

"Io sono solo... io sono solo...

io sono solo...". rispose l’eco.

Saint-Exupéry

-

Un amico, che adesso non c’è più, mi raccontò un episodio della vita
di Mozart bambino. Quando aveva cinque o sei anni, il padre gli
organizzò un concerto a cui sarebbe stato presente, se non ricordo
male, Haydn, o un altro celebre musicista del tempo. Alla fine del
concerto, il padre spinse il piccolo Wolfang verso Haydn,
sussurandogli: "Chiedigli se gli è piaciuto". Mozart si avvicinò ad
Haydn, guardò in su e chiese: "Mi vuoi bene?".

Questa storia ha accompagnato il mio cuore per anni con la risata
leggera e spudorata degli allegri di Mozart. Ma non solo, ha messo
allo scoperto tutte le volte che dietro alle mie domande, ai miei
gesti, alle mie imprese, opere, ansie, paure, disperazioni, c’era o
spuntava il famoso: "Mi vuoi bene?".

E mi sono man mano accorta che l’età e la pratica del Dhamma stavano
cambiando, lentamente e inesorabilmente, la domanda, o che la risposta
veniva ormai da dentro, o che rischiavo parole, gesti e azioni che non
erano più strategie d’affetto.

Praticando quello che c’è, mi capita di praticare sempre più spesso i
segni e i segnali della mezza età, con cui non mi identifico in modo
stereotipo, ma che lascio parlare nelle trasformazioni che opera sul
mio corpo e la mia anima. In una delle mie laboriose notti mi sono
accorta, quasi con spavento, che quando pensavo o invocavo l’amore,
che sentivo assente dal mio cuore, non stavo più chiedendo di essere
amata, ma di poter amare, non un amore da ricevere, ma da poter dare.

Credo che questo cambiamento sia avvenuto perché, sedendo in
meditazione, sempre più spesso, anche quando sono presenti i pensieri,
o un’acuta sofferenza, o una preoccupazione, e non solo nei momenti di
pace, sento soffiare una leggera energia, una sottile brezza e questa
energia mi ama, o comunque è così che mi sento: amata.

Praticare metta e passare, con andatura leggera, dal benefattore, a me
stessa, all’amica o all’amico, agli indifferenti, alle persone
difficili, a tutti gli esseri indiscriminatamente, dal pulviscolo
atmosferico, ai corpi celesti, ai démoni, alle cassiere dei cinema, ai
passanti, alle zebre, ha cambiato profondamente la mia visione
dell’amicizia.

C’è un po’ di sangue russo nelle mie vene, e ho sempre avuto amicizie
calorosissime, appassionate, tragiche. Silvia Plath dice che un poeta
è come una candela che brucia da tutti e due i lati. E così erano le
mie amicizie, assolute, esclusive, sprezzanti di tutto quello che era
tiepido. E la pratica, facendo finta di niente, con grande pazienza e
premura, non ha spento nessuno dei due lati della candela, ma li ha
circondati di vetro: non bruciano più, ma rischiarano. Ho perso tanti
amici e amiche in questi anni di pratica, alcuni se ne sono andati
silenziosamente, scivolando nel passato, altri insultandomi, altri
guardando verso di me e non trovandomi più lì dove mi avevano messa
per anni, ero solo un po’ spostata, pochi millimetri, ma non mi
vedevano più. Altri sono caduti, come foglie secche, secca io per
loro, secchi loro per me, senza dolore e senza danno.

Ultimamente, in un momento di profondo smarrimento, mi sono guardata
intorno e ho visto che non solo avevo perso vari amici, ma non li
avevo sostituiti, come usavo fare un tempo. Era proprio sparita della
mia vita la figura dell’amica o dell’amico del cuore, eppure non ero
sola. Non mi sono mai sentita così protetta, custodita, stimata, amata
come ora che non ho più amici, nel senso convenzionale del termine.

Quello che sta succedendo è che il sentimento dell’amicizia si sta
allargando a sempre più persone, senza creare delle relazioni, delle
esigenze, delle richieste, delle pretese. L’amico è soprattutto
qualcuno con cui amo qualcos’altro, spesso la pratica del Dhamma, ma
anche la poesia, la letteratura, un gelato, i gatti, la fatica della
primavera, ballare a occhi chiusi, tacere sentendo. Ho imparato dal
Buddha e dagli insegnanti di Dhamma che kalyanamitta, l’amico
spirituale, è colui che ama il bello e il buono e l’amicizia
spirituale è questo condiviso amore per il bello e per il buono. Ma
quello che sta succedendo alla mia possibilità di amicizia è successo
da sé, praticando e ascoltando, non per fedeltà ai testi, ma per
fioritura spontanea.

Dice il Buddha: "Chi è amico di se stesso non può nuocere agli altri".
Io mi trovo alla fase iniziale di questa amicizia, sono un piccolo
albero, ho ancora intorno un recinto, per non venir strappata,
sradicata, calpestata. Ma questa amicizia con me stessa è iniziata e
la voglio percorrere fino in fondo, fino a sparire. Fa parte di questa
amicizia con me stessa sapere dove sono in questo momento con la mia
pratica e agire di conseguenza, non vivere un ideale di pratica, ma
proprio questa, con i suoi limiti e le sue esigenze. È amicizia con se
stessi l’arte di dire di no, la sorveglianza della mia e dell’altrui
bisognosità, la ricerca di un sentimento di amicizia allargato e non
di relazioni esclusive.

Tutto questo sta succedendo anche grazie alla pratica di far parte di
un sangha, di ricevere i suoi misteriosi e impersonali insegnamenti,
insegnamenti che non lo fanno apposta, che arrivano quasi casuali,
senza insegnanti di sorta. I confini di cosa sia un sangha si stanno
facendo sempre più vasti e impossibili da limitare. Non posso più
essere disperata, il sangha non me lo permette: mi arriva una
cartolina dall’Inghilterra, una telefonata dalla Sicilia, una serata
di soffice e diligente silenzio a Milano. Non posso più essere ferita,
per una frase sgarbata mi raggiungono centinaia di regali, sorrisi,
abbracci spediti per lettera o per telefono. Il sangha è a Roma, a
Torino, a Milano, a Varese, a Palermo, a Venezia, a Firenze, in
Inghilterra, in Svizzera, alle Hawai, in America, in Sud Africa, ma
anche nei visitatori angelici, travestiti da uccelli, viole e platani
spuntati sul balcone, gatti, cani, neonati che ti strizzano l’occhio,
giornalai, insomma i miracoli vanno visti, non chiesti.

E con le persone del sangha questa leggera e profonda amicizia senza
relazione sta naturalmente accadendo senza più bisogno di norme e
paletti di confine. Non abbiamo voglia di andare in pizzeria, nemmeno
al cinema, o di scaricarci addosso tutti i nostri problemi, ma capita
di andare ad ascoltare insieme un vecchio poeta di passaggio, o di
telefonarsi proprio quando uno dei due sta affogando e di non dire
granché, ma di esserci. O di non esserci, quando è necessario, quando
è ora di crescere, di essere soli.

E capita che la figura dell’insegnante si trasformi sempre di più in
quella dell’Amico, un amico speciale che avverte tutto, ma rifiuta i
ruoli, ti spinge all’aperto, ti lascia sola e spia da dietro un
cespuglio.

E capita che con la persona che ami più di tutti al mondo hai voglia
di fare amicizia, che c’è sempre stato tutto e forse adesso vuoi solo
un po’. Ricordo che una volta Corrado citò la frase di una donna che
era stata per anni in un lager nazista e diceva che quello che le era
mancato di più era una noiosa serata in famiglia. Annoiarsi con
l’amato, osservarlo invecchiare e sentire che volere il suo bene non è
essere sempre affettuosi ma è essere sempre amici, sempre.

Un amico è uno che sa dove sei. E agisce di conseguenza. Anche
sorprendendoti. Anche ferendoti. Ma sa dove sei e quando lo si sa
tutti e due, ci si incontra. Konrad Lorenz diceva che uno dei versi
dell’oca selvatica dice: "Io sono qui, tu ci sei ancora?". No, certe
volte c’è silenzio, non sappiamo perché, è misterioso, il no e il sì
non sono divisi meditando, si assaporano. E qualche volta
nell’asprezza del: "No, io non sono più qui" o nell’abisso del
silenzio, si apre uno spazio infinito, un cielo libero e si impara a
volare.

Grazie a tutti gli amici che mi hanno abbandonato, grazie a me per
quelli che ho abbandonato io, non c’era né io né tu, ma solo la vita
che voleva andare avanti, grazie alla nuova Amicizia senza amici, al
pulsare insieme quando è il tempo e a sparire quando è il tempo. Siamo
impermanenti, di passaggio, e saperlo fa un comandamento dell’essere
una candela che brucia da tutte e due le parti, col vetro intorno alla
fiamma, che nessuno si bruci, ma rischiari quello che può, senza
pretese, senza farlo apposta

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