Le preoccupazioni
(di Roberto Luongo)
--Per un lungo periodo - tutta la mia vita? - ho creduto alle preoccupazioni che quotidianamente sorgevano nella mia mente. Poi, quasi all'improvviso, mi è venuta un'idea: le preoccupazioni altro non erano che un oggetto della mente, al pari delle paure, dei giudizi, o delle sensazioni del respiro. È una scoperta ovvia, per un praticante. Non ci si insegna forse a focalizzare la nostra attenzione su tutto ciò che sorge e svanisce?
Eppure le preoccupazioni, che tanto hanno costituito il tessuto connettivo delle mie giornate, del mio umore, del mio correre in avanti senza avere una meta chiara, erano state un po' un 'porto franco'. "Ora sono preoccupato, la consapevolezza, la meditazione non può farci nulla".
Mi sono risolto (nella pratica dell'adhitthana) a occuparmi intensivamente delle preoccupazioni. Non più quindi, o non soltanto, lo squillo del telefono come campana di consapevolezza, la metta verso le persone che incontro per strada, la consapevolezza della parola al telefono o al lavoro. Ma le preoccupazioni. Ogni volta che sorgono.
È stata un'esperienza molto bella. Le preoccupazioni come campana di consapevolezza. Le preoccupazioni come qualcosa con cui non è possibile dialogare (vincono sempre (!), se si entra in discussione con esse). Le preoccupazioni come qualcosa da accogliere, davanti alle quali fare un grande inchino, e poi deporre, senza 'litigarci', sul pavimento della nostra consapevolezza.
Cosa voglia dire tutto questo molto bene non lo so. Ma ho deciso di non spaventarmi più al sorgere delle preoccupazioni, e ci sono in qualche misura riuscito. "Davvero siete tornate? Davvero mi dite tutto questo? Ma siete le benvenute! Potete dirmi le stesse cose mille e mille volte, non mi arrabbierò mai! State con me tutto il tempo che volete, accomodatevi. Cosa vi rispondo? No, care mie, non vi rispondo nulla. State con me quanto volete, ma rispondervi no, questo no".
E giorno dopo giorno si sono presentate, puntali come sempre. Ma invece di farmi paura, mi incuriosivano. Che succederà oggi? Sarà come ieri che è andata bene? O invece adesso mi riassorbiranno? O diventerà un po' artificiale questo non risponder loro? In fondo fanno domande giuste, riguardano problemi reali, perché non rispondere?
La tentazione di rispondere c'è stata. Non sono uno che vive alla giornata, mi piace programmare, credo nell'organizzazione delle cose, non mi piace né l'improvvisazione né il pressappochismo.
Ma ho avuto fiducia in quel luogo della mente dove non c'è preoccupazione. Ho ascoltato le suppliche di rispondere come davanti a canti di sirene. Ho accettato la sensazione di essere un superficiale, un imprudente, un vigliacco.
E ho goduto dello svanire, graduale ma reale, palpabile, di un buon numero di preoccupazioni.
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