Corrado Pensa:"Non occorre essere buddisti per la Vipassana
(di Cristiana Ceci)
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(Corrado Pensa è insegnante di Vipassana presso l'Associazione per la meditazione di consapevolezza (Ameco) di Roma e Senior Teacher all'Insight Meditation Society di Barre, Massachusetts, USA. È stato ordinario di Religioni e Filosofie dell'India presso l'Università "La Sapienza" di Roma e ha esercitato la psicoterapia in ambito junghiano)
- Come definirebbe Vipassana?
"La meditazione di Vipassana, o chiara visione, è parte cruciale dellinsegnamento del Buddha, ove essa è considerata lo strumento principe per raggiungere la liberazione dalla sofferenza. Tale meditazione si propone anzitutto di coltivare unattenzione intenzionale che si rivolge momento per momento a ciò che sorge nel presente: sensazioni fisiche, moti di avversione e di attaccamento, emozioni, immagini, fantasticherie, frequenti ruminazioni mentali. Dunque unattenzione intenzionale e attiva in contrasto con lattenzione comunemente intesa che si accende per scopi specifici (fare un lavoro, capire un discorso, seguire un film). Questo tipo di attenzione intenzionale, o consapevolezza, viene esercitata sia nella meditazione formale, sia nella meditazione in azione. Essa si prefigge una graduale depurazione della mente da quel capillare inquinamento prodotto da avversione, attaccamento e confusione mentale, ossia dalle cause fondamentali del disagio esistenziale. In questo modo diventa possibile sviluppare, altrettanto gradualmente, la chiarezza mentale e il calore del cuore.
- Che differenza c'è fra concentrazione e attenzione dunque?
La concentrazione è attenzione focalizzata e serve a costituire un fondamento di maggior stabilità e calma mentale. Una volta costruito tale fondamento, lattenzione, o consapevolezza, deve farsi più diffusa, più flessibile e, soprattutto, più penetrante. In modo da sfociare in una comprensione via via più rilassata e compassionevole dei disagi grandi, piccoli e minimi del nostro quotidiano. Comprensione senza la quale il conseguimento di un bene irreversibile o liberazione non è ritenuto possibile.
- Quali sono le differenze con il pranayama, visto che anche nella Vipassana la respirazione è un elemento fondamentale?
- Nel pranayama, come la stessa parola sanscrita dice, si controlla il respiro. Nella modalità più diffusa della Vipassana il respiro, invece, si segue così comè. Inoltre il respiro è solo uno dei supporti meditativi possibili: parti del corpo, reattività emotiva, suoni, etc., sono per esempio alcuni dei molti altri.
- Quali sono le modalità pratiche della meditazione Vipassana?
Nella maggior parte degli stili di Vipassana i modi formali di praticare sono due: seduti con la schiena eretta e gli occhi chiusi o socchiusi, oppure in camminata lenta e consapevole, con gli occhi aperti. Poco coltivata in Occidente ma diffusa, invece, nel sudest asiatico, la meditazione in piedi da fermi.
- Non occorre essere buddhisti per praticare la Vipassana?
Sono d'accordo, però è necessario entrare un minimo nella questione. "Essere buddhisti", nel senso di essere dogmaticamente sicuri della superiorità del buddhismo, è una forma di ciò che il Buddha chiamava "attaccamento alle opinioni e ai punti di vista". Quindi mi pare che, fino a quando non abbiamo deposto questa presunzione, non siamo nemmeno entrati nel cammino del Buddha. Se, viceversa, si segue appassionatamente il cammino interiore indicato dal Buddha, fondato su etica, meditazione e saggezza compassionevole, allora il fatto che ci si dica buddhisti o meno mi sembra irrilevante. Ci sono oggi in Occidente cristiani che percorrono la via del Buddha con molta più serietà di un buddhista "ideologico" e appagato dalle sue credenze. Così come si vedono cristiani ironici o critici verso il buddhismo pur essendo privi di qualsiasi conoscenza in merito. In realtà la questione di fondo è da sempre unaltra: fino a che punto vogliamo dare priorità assoluta al cammino interiore lasciando così che esso riorienti radicalmente la nostra vita?
- Istruzioni per disporsi alla consapevolezza (CORRADO PENSA)
La meditazione di consapevolezza ci chiede di aderire alle condizioni in cui ci troviamo adesso qui e di lasciar cadere i vari pensieri circa le condizioni nelle quali ci piacerebbe essere o nelle quali riteniamo che dovremmo essere. Abitare consapevolmente le condizioni presenti significa essere unificati e vivi. Volgere l’attenzione al respiro è una ‘attività’ che sorregge anzitutto questa presenza nel presente, questo essere con quello che è così com’è, e dunque questo sapore di verità, questo salutare risvegliarsi al qui e ora.
Non che una cosa accaduta nel passato non sia vera. Ma se ci identifichiamo e ci attacchiamo al ricordo di questa cosa, noi restiamo inevitabilmente separati dalla vita che vive in questo momento. Al contrario, se non impartiamo al ricordo uno spessore, una realtà che non ha e riusciamo invece a stare davanti al ricordo in semplicità attenta, allora non ci divideremo dalla vita presente.
Di fatto, un ricordo può essere molto più di un ricordo, al punto di sembrare più reale della persona con cui stiamo conversando. La meditazione di consapevolezza si ripropone di farci superare questa distorsione (che ha tantissime forme) e di radicarci in ciò che è, qui e ora, così com’è. Quando si insiste sulla necessità di ‘stare col respiro com’è’, questo non è soltanto un fatto tecnico. È di più. Infatti se impariamo a prestare un’attenzione accettante al respiro così com’è noi costruiamo una base per poter ‘stare con le cose così come sono’. Dalla piccola accettazione alla grande accettazione: col respiro così com’è, con noi stessi così come siamo, con gli altri così come sono, con le situazioni e gli eventi così come sono.
Ciò è ben diverso da quella sottile e invadente sfiducia in noi stessi, da quel dirsi, in sostanza: "Potrò stimarmi e accettarmi a patto che riesca ad avere una certa continuità nel seguire il respiro. Allora avrò il diritto di sentirmi a mio agio, altrimenti no!". Ora una cosa è aspirare, giustamente, ad avere una buona resa nel lavoro della meditazione, altra cosa è questa specie di ricatto affettivo, questo spirito autopunitivo.
E invece, non sarà per caso possibile essere a proprio agio con quello che sappiamo fare ora, a proprio agio esattamente nello stato mentale e fisico che è presente adesso? Ed è possibile, inoltre, che l’eventuale preferenza per uno stato diverso rimanga una semplice preferenza, senza trasformarsi in lamento, disappunto, giudizio? Ci vuole un po’ di tempo per accorgersi che è solo su questa base di schietta accettazione che possiamo esercitare il retto sforzo. Infatti lo sforzo giusto è anzitutto la capacità di chiamare a raccolta tutta l’energia di cui disponiamo in questo momento. Appena ci diciamo: "Come mai non ne ho tanta come ieri?" oppure "ne dovrei avere di più" abbiamo creato un problema, deragliando dal binario del retto sforzo.
Noi pensiamo che il problema sia la quantità di energia. Invece il problema è proprio questo atteggiamento censorio e frustrato che, determinando una dolorosa scissione interna, finisce col paralizzarci. L’idea è dunque di ‘sistemarsi’, di accomodarsi semplicemente in quella misura di energia e di sforzo che è disponibile al momento. Questo moto discreto e saggio accresce, senza parere, l’energia e ci dispone in un rapporto di familiarità con la pratica. E ciò, a sua volta, rende progressivamente più spontanea la consapevolezza.
Si può anche dire che dobbiamo imparare la strada che porta da un modo rigido e nervoso di praticare a un modo disteso e flessibile. Un po’ come succede, per esempio, nella danza. Solo che nella danza basta un’occhiata per vedere se stiamo superando l’iniziale impaccio. Nella meditazione la questione è soprattutto mentale ed è più sottile e complessa. Il nervosismo e la rigidezza si manifestano soprattutto in due maniere: nel correre dietro all’oggetto di meditazione e nel frequente contrarsi nel giudizio e nel confronto. Invece la disposizione meditativa più flessibile e accettante si manifesta come immobilità ricettiva e trasparente: non inseguiamo l’oggetto della consapevolezza, bensì lo riceviamo a piè fermo, ne siamo lo specchio puntuale, lo lasciamo accadere guardandolo.
Come già si accennava, i frutti di questo apprendistato travalicano l’ambito meditativo in senso stretto. Se ci rapportiamo al respiro nella maniera nervosa e giudicante non faremo che rafforzare questo atteggiamento nella vita. Se invece facciamo in modo di allevare la nostra meditazione secondo la modalità distesa, ferma e ricettiva, allora col tempo ci ritroveremo a volere che tutta la nostra vita sia così.
Dunque, se siamo rigidi e giudicanti andremo incontro a un crescente sbilanciamento, saremo sempre più affannati e a un certo punto la stanchezza e la tensione avranno il sopravvento. Per lo più bisogna ripetutamente incappare in questo errore per poter capire e apprezzare finalmente la più sottile modalità ricettiva. A questo proposito si può osservare che la stessa parola ‘energia’ tende a evocare qualcosa che si proietta, si slancia, corre eccetera, mentre il concetto di una energia ferma-flessibile-trasparente è meno familiare e quindi richiederà più tempo per tradursi in realtà ed entrare in circolo. Allora: inspirare sapendo di inspirare, espirare sapendo di espirare. Nulla di più, nulla di meno.
Più questo ritmo corpo-mente è semplice e innocente, più aiutiamo la consapevolezza a emergere. Quanto più, al contrario, ci agitiamo, tanto più ci allontaniamo dalla consapevolezza. Però ogni istante è buono per ritornare alla consapevolezza, deponendo l’agitazione e l’affanno giudicante. O meglio: collocando tranquillamente anche l’affanno giudicante nel raggio della consapevolezza, secondo lo spirito della ‘mente del principiante’.Tornare all’attenzione al respiro come se fosse la prima volta: questo è l’albeggiare della mente di principiante. Ma quando poi riusciamo ad osservare con la medesima innocenza il nostro rammarico per esserci distratti, allora la mente di principiante comincia a diffondere la sua luce.
Il rammarico che viene, il rammarico che va, il giudizio che viene, il giudizio che va: esattamente come il respiro che viene e il respiro che va. Il continuo cangiare del corpo e della mente che si riflette in una consapevolezza via via più equanime e compassionevole.
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