Semplici condizioni di esistenza
(di Ajahn Chah) (Tratto da Being Dharma, Boston, Shambala 2001)
(traduzione di Mariagrazia Cova e Chandra Candiani)
Noi crediamo di essere la felicità stessa e ci riteniamo felici. Crediamo di essere noi la sofferenza e ci vediamo infelici. Non riusciamo ad allontanarci da questo concetto e così non vediamo la verità. Non vi è nessun sé coinvolto, ma noi pensiamo sempre in termini di sé, perciò sembra che succeda a noi di essere felici, o che la sofferenza sia nostra, l’eccitazione sia nostra, e nostra la depressione. Così si costruisce la catena del sé e con questa solida certezza che esista un sé ogni cosa sembra accadere a noi.
Per questo il Buddha insegnò a distruggere questo concetto, questo blocco chiamato sé. Quando il concetto del sé è distrutto, siamo liberi dalla credenza che ci sia un sé nel corpo, così la condizione di assenza di sé è naturalmente smascherata. Credendo che ci sia un “me” e un “mio” e vivendo in modo egoistico, tutto è concepito come appartenente a un sé o che fa riferimento a un sé. Quando ogni fenomeno naturale è visto in questo contesto, non vi è una vera comprensione. Se la natura ci appare benevola, ne siamo felici, se invece i fenomeni ci sono ostili, piangiamo e ci lamentiamo. Credendo che i fenomeni naturali siano qualcosa che ci costituiscono o ci appartengono, ci creiamo un grosso fardello di sofferenze da portare. Se invece comprendiamo la verità delle cose, eviteremo eccitazione, esaltazione, dispiaceri e lacrime. È detto: “L’essere in pace è la vera felicità” e ciò avviene quando l’attaccamento è estirpato attraverso la visione della realtà.
L’autentico Dharma del Buddha non mira a qualcosa di molto lontano da noi. Ci insegna il sé, ci insegna che il concetto delle cose non è veramente il sé. Tutti gli insegnamenti del Buddha sottolineavano “questo non è sé, questo non appartiene al sé, non vi è il concetto di sé o di altro”. Se restiamo in questo concetto, non riusciamo a leggere correttamente, non “traduciamo” correttamente il Dharma. Noi ancora crediamo: “Questo sono io, questo è mio”. Siamo attaccati alle cose e le investiamo di significato. Non ci sappiamo districare e così facendo il coinvolgimento diventa sempre più forte e la confusione diventa sempre più profonda. Se riconosciamo che non esiste il sé, che corpo e mente non sono il sé, come il Buddha ci ha insegnato, se continuiamo a investigare comprendendo la condizione dell’assenza del sé vedremo che non c’è né sé né altro. Il piacere è semplicemente piacere, l’emozione è semplicemente emozione, i ricordi sono semplicemente ricordi, il pensare è semplicemente pensare. Sono tutte cose che sono semplicemente “cose”. La bontà è semplicemente bontà, il male è semplicemente male. Non vi è una vera felicità o una reale sofferenza. Vi sono semplicemente delle condizioni di esistenza; semplicemente felice o semplicemente sofferente, semplicemente caldo o freddo, semplicemente un essere o una persona. Dovremmo continuare a vedere che le cose sono solo così. Solamente terra, solo acqua, fuoco, aria. Dovremmo “leggere” e investigare questo concetto. Probabilmente la nostra percezione di questo concetto cambierà. La convinzione che esista un sé e fenomeni che appartengono a un sé, gradualmente si dissolverà. Quando questo senso delle cose sarà rimosso, la percezione opposta si stabilizzerà.
Quando la comprensione della visione del non sé è arrivata a maturazione, potremo relazionarci con le cose di questo mondo, con le persone che ci stanno a cuore, amici, parenti, ricchezze, successo e status, proprio come facciamo con i nostri abiti. Quando gli abiti sono nuovi li indossiamo, se si sporcano li laviamo, dopo qualche tempo sono troppo usati e li scartiamo. Non vi è nulla di straordinario in questo, stiamo costantemente gettando via cose obsolete e usiamo cose nuove.
Avremo così lo stesso sentimento per la nostra esistenza in questo mondo. Non ci affliggeremo, non saremo tormentati e oppressi da tutto ciò che ci succede. Tutto resterà immutato, uguale a prima ma il nostro sentire e la nostra condizione saranno cambiati. Avremo raggiunto la visione ultima e l’autentica comprensione del Dharma. Il Buddha insegnò il Dharma che noi dovremmo riconoscere ed esso è qui tra noi dentro questo corpo e mente. Lo abbiamo già, dobbiamo solo imparare a riconoscerlo.
Noi pensiamo in termini di: la mia gamba, il mio braccio, il mio amico e così vediamo il sé; ma secondo il Dharma questo non è vedere il sé. Comprendere che le cose non sono il sé “è vedere il sé”. Lo vediamo ma non ce ne facciamo carico. Se vedete un serpente, ma non lo raccogliete, non verrete morsicati. È sempre un serpente, ma il suo veleno non vi danneggerà. Così il Buddha arrivò a vedere il sé.
Quando arriviamo a conoscere i fenomeni e a non esserne coinvolti, la mente resta in pace perché non abbiamo più brama di possesso. Ugualmente godremo della nostra vita e faremo uso delle cose che il mondo ci offre. Persino le cose che sono nella nostra casa, cibo, mobili ecc., non sono veramente nostri. Le usiamo ma, nel contesto della realizzazione, non sono nostre. Le usiamo con una consapevolezza ampia che trascende la visione ordinaria. Se non possiamo essere sopra a tutto ciò, ne siamo “sotto”, schiacciati dall’attaccamento che dice: “Questo è mio.” Questo errato modo di vedere le cose porta solo alla sofferenza, perché le cose non risulteranno mai come le vogliamo.
Il Buddha disse: “Colui che vede la vacuità, non potrà essere inseguito dal Signore della morte”. Quando un essere risvegliato muore, cosa succede? Sono solo elementi che si separano. Non vi è persona o sé, perciò come può esserci morte o rinascita? Ci sono solo terra, acqua, fuoco e aria. Non c’è nessuno da poter inseguire. Perciò, se cercate delle soluzioni ai vostri problemi, ci saranno sempre problemi perché ci siete voi. Se non vi è persona, non vi sono problemi. Non vi è bisogno di soluzioni perché non vi sono più problemi da risolvere e nessuno che li debba risolvere. Ma se credete di morire, rinascerete.
Oggi sto parlando di Dharma per persone mature. Se si ha un’intelligenza infantile, ascoltando che non vi è un sé, che nulla veramente ci appartiene, nemmeno il corpo, ci si potrebbe mettere a pensare: “Allora potrei provare a ferirmi con un coltello o rompere tazze e piatti”. Non si tratta certo di questo ed è solo una profonda oscurità mentale che può portare a idee tanto assurde.
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