Il coraggio di fare da soli
(di Fabio Gabrielli)
«Minorità è l’incapacità di valersi del proprio intelletto senza la guida di un altro. Imputabile a se stesso è questa minorità se la causa di esso non dipende da difetto di intelligenza, ma dalla mancanza di decisione e del coraggio di far uso del proprio intelletto senza essere guidati da un altro» (I. Kant, Risposta alla domanda: che cos’è l’Illuminismo?).
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Scopo ultimo di ogni forma di educazione dovrebbe essere quello di dare un orientamento, una legge alla propria vita, senza la quale è ineludibile la tirannia dell’altro, ovvero l’eterodirezione.
Nietzsche aveva capito in modo splendido tutto questo, là ove afferma: «Se siete troppo deboli per dare delle leggi a voi stessi, accettate che un tiranno vi imponga il proprio giogo e dica: “Obbedite, digrignate i denti, ma obbedite” – e tutto il bene e il male anneghino nell’obbedienza a quel tiranno» (Frammenti postumi 1882-1884).
Chi non incarna nei propri vissuti e nella dimensione comunitaria la propria energia, espressiva di un’educazione ininterrotta, di una formazione di sé come realtà totale, finisce per dipendere dall’energia creatrice degli altri, subendone direttive di vita e di conoscenza. E non ci si riferisce solo alla tirannide come brutale asservimento, ma anche all’omologazione al dire dell’altro, vuoi per vigliaccheria, vuoi per opportunità a non impegnarsi mai in prima persona, permanendo, così, in un perenne stato di minorità.
Per uscire dalla minorità omologante, occorre diffondere un tipo di educazione che non si chiuda alla rassegnazione, disperata o comoda che sia, ma che sappia “riconciliarsi con il male di vivere; con il desiderio di non entrare inutilmente nelle sue vicissitudini” (D. Demetrio, L’educazione non è finita. Idee per difenderla, R. Cortina Editore, 2009).
Insomma, occorre affrontare la vita nella sua carnalità, compattare e radicare le nostre idee entro orizzonti comunitari che dobbiamo contribuire ad allargare in prima persona, con l’entusiasmo di chi privilegia l’inquietudine rispetto al consolidato, lo stupore rispetto al sopore, l‘abisso rispetto alla terraferma.
In ultima analisi, occorre coraggio, perché, avverte ancora Demetrio, “con la paura si inibiscono quelle indispensabili prove ed esplorazioni che rendono autonomi e responsabili, le soddisfazioni dell’essere riusciti a fare senza qualcuno che ci desse una mano”.
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