Tratto da: "Messaggio per un aquila che si crede un pollo" - di Anthony De Mello
Trovare se stessi
I grandi maestri dicono che la domanda più importante del mondo è: «Chi sono io?». O meglio, «Cos'è l'"io"?». Cos'è quella cosa che chiamo "io"? Cos'è quella cosa che chiamo il sé? Volete forse dire che avete capito tutto il resto e non questo? Volete forse dire che avete capito l'astronomia e i buchi neri e i quasar, e avete appreso l'informatica, e non sapete chi siete? Caspita, state ancora dormendo. Siete degli scienziati addormentati.
Volete dire che avete capito chi è Gesù Cristo e non sapete chi siete voi? Come fate a sapere di capire Gesù Cristo? Chi è che mette in atto la comprensione? Prima scoprite questo. É il fondamento di tutto, no? É proprio perché non è stato capito questo che abbiamo tutti quegli stupidi popoli religiosi coinvolti in quelle stupide guerre religiose musulmani che combattono contro ebrei, protestanti contro cattolici, e tutte quelle altre porcherie. Non sanno chi sono, perché se lo sapessero non ci sarebbero guerre.
Come la bambina che chiede al bambino: «Voi siete presbiteriani?». E lui: «No, noi facciamo parte di un'altra confusione!».
Ma quel che vorrei sottolineare ora è l'autosservazione. Voi mi state ascoltando, ma riuscite a percepire altri suoni oltre a quello della mia voce, mentre ascoltate? Siete consapevoli delle vostre reazioni mentre mi ascoltate? Se non lo siete, significa che subirete un lavaggio del cervello. Oppure sarete influenzati da forze interne a voi di cui non siete assolutamente consci. E anche se siete consapevoli di come reagire a me, siete consapevoli anche della provenienza delle vostre reazioni? Forse non mi state ascoltando per nulla; forse è il vostro papà ad ascoltarmi. Pensate che ciò sia possibile? Certo che lo è.
Mi capita spessissimo, nei miei gruppi, di trovare persone che non sono assolutamente presenti. É presente la loro mamma, è presente il loro papà, ma loro no. Non sono mai stati presenti. «Io vivo: non io, ma mio padre vive in me». Ebbene, questo è assolutamente, letteralmente vero. Potrei sezionarvi, pezzo dopo pezzo, e chiedervi: «Vediamo, questa frase viene dal papà, dalla mamma, dalla nonna, dal nonno, da chi?».
Chi vive in voi? La sensazione che si prova scoprendo questo fatto è di orrore. Pensate di essere liberi, ma probabilmente non c'è gesto, un pensiero, un'emozione, un atteggiamento, una convinzione in voi che non venga da qualcun altro. Non è orribile? E non lo sapete. Si tratta di una vita meccanica, impressa su di voi. Certe cose vi danno sensazioni forti, e pensate di essere voi a provare quelle sensazioni, ma è così? Sarà necessaria molta consapevolezza, da parte vostra, per capire che forse quella cosa che chiamate "io" è semplicemente un conglomerato delle vostre esperienze passate, dei vostri condizionamenti, della vostra programmazione.
É doloroso. In effetti, quando ci si comincia a svegliare, si prova un grande dolore. É doloroso vedere crollare le proprie illusioni. Tutto ciò che pensavate di aver costruito si sbriciola, e questo è doloroso. Il pentimento è tutto qui; il risveglio è tutto qui. E dunque, che ne dite di prendervi un minuto, seduti lì come siete, per diventare consapevoli,mentre io continuo a parlare, di quel che provate nel vostro corpo, di quel che accade nella vostra mente, del vostro stato emotivo? Cosa ne dite di diventare consapevoli della lavagna, del fatto che i vostri occhi sono aperti, del colore di queste pareti e del materiale di cui sono fatte? Che ne dite di diventare consapevoli del mio viso e della vostra reazione a questo mio viso?
Perché una reazione l'avete, che ve ne rendiate conto o meno. E probabilmente non è la vostra reazione, ma una reazione che risulta dal vostro condizionamento. E che ne dite di diventare consapevoli di alcune delle cose che ho appena detto, anche se ormai non sarebbe più consapevolezza, ma solo ricordo? Prendete coscienza della vostra presenza in questa sala. Ditevi: «Io sono in questa sala» É come se foste fuori da voi stessi, e vi guardaste. Notate che la sensazione è leggermente diversa rispetto al guardare gli oggetti presenti nella sala. Più avanti chiederemo: «Chi è la persona che esegue l'osservazione?». Io sto guardando me. Che cos'è un "io"? Che cos'è "me"? Per me è sufficiente che io osservi me, ma se vi sorprendete a condannarvi o approvarvi, non bloccate la condanna o l'approvazione, ma osservatela. Io sto condannando me; io sto disapprovando me; io sto approvando me. Guardate, punto e basta. Non cercate di cambiare le cose! Non pensate: «Oh, ci era stato detto di non fare così». Osservate semplicemente quel che accade. Come vi ho già detto, l'autosservazione significa guardare - osservate quel che accade dentro di voi e intorno a voi come se accadesse a qualcun altro.
- Arrivare all"io" togliendo strato dopo strato -
Ora vi propongo un altro esercizio. Vi chiedo di scrivere su un pezzo di carta una brevissima descrizione di voi stessi - per esempio, uomo d'affari, prete, essere umano, cattolico, ebreo, qualsiasi cosa. Vedo che alcuni scrivono parole come fecondo, pellegrino alla ricerca di qualcosa, competente, vivo, impaziente, concentrato, flessibile, conciliante, amante, membro della razza umana, eccessivamente strutturato. Spero che questo sia il frutto dell'osservazione di voi stessi, come se aveste osservato un'altra persona.
Però fate attenzione: è l'"io" che osserva ill "me". Questo è un fenomeno interessante che non ha mai smesso di destare meraviglia tra i filosofi, i mistici, gli scienziati, gli psicologi: l'"io" può osservare il "me". Sembra che gli animali non possano farlo assolutamente. Sembra dunque che sia necessaria una certa quantità di intelligenza per poterlo fare. Quella che vi sottoporrò ora non è metafisica, non è filosofia. É Semplice osservazione, e buon senso. I grandi mistici d'Oriente si riferiscono in realtà a quell'"io", non al "me". In effetti, alcuni mistici ci dicono che iniziamo prima di tutto dalle cose, dalla consapevolezza delle cose; poi ci spostiamo verso una consapevolezza dei pensieri (che rappresentano il "me") e alla fine giungiamo alla consapevolezza di chi pensa.
Cose, pensieri, pensatore. Quel che cerchiamo davvero è il pensatore. Può il pensatore conoscere se stesso? Posso io sapere cos'è l"io"? Alcuni di questi mistici rispondono: «Può il coltello tagliare se stesso? Può il dente mordere se stesso? Può l'occhio vedere se stesso? Può l"io" conoscere se stesso?» Ma in questo momento mi interessa qualcosa di molto più pratico, e cioè la decisione di ciò che"io" non è. Procederò con la maggiore lentezza possibile, perché le conseguenze sono devastanti. Splendide o terribili, a seconda del vostro punto di vista.
Ascoltate ciò che vi dico: io sono i miei pensieri, i pensieri che sto pensando? No. I pensieri vanno e vengono; io non sono i miei pensieri. Sono il mio corpo? Dicono che ogni minuto che passa milioni di cellule del nostro corpo cambiano e si rinnovano, cosicché nel giro di sette anni non ci rimane in corpo nemmeno una singola cellula vivente tra quelle che avevamo sette anni prima.
Le cellule vanno e vengono, nascono e muoiono. L"io", invece permane. Dunque, io sono il mio corpo? Evidentemente no! L"io" è qualcosa di diverso e di più, rispetto al corpo. Forse si potrebbe dire che il corpo fa parte dell"io", ma è una parte che varia. Continua a muoversi, a cambiare. Usiamo lo stesso nome per definirlo, ma cambia continuamente. Proprio come chiamiamo cascate del Niagara le cascate del Niagara, pur essendo queste costituite da acqua che cambia continuamente. Usiamo lo stesso nome per una realtà in continua evoluzione. E il mio nome? É forse "io" il mio nome? Evidentemente no, perché posso cambiare il mio nome senza cambiare l"io". E la mia carriera? E le mie convinzioni? Dico che sono un cattolico, un ebreo - è forse questa parte essenziale dell"io"? Quando passo da una religione all'altra, l"io" è cambiato? Ho un "io" diverso o è lo stesso "io" che è cambiato? In altre parole, il mio nome è parte essenziale in me, dell'"io"? La mia religione è una parte essenziale dell'"io"? Ho citato prima la bambina che dice al bambino: «Sei un presbiteriano?». Ebbene, qualcuno mi ha raccontato un'altra storiella, che parla di un certo Paddy.
Paddy sta camminando lungo le strade di Belfast e a un certo punto si sente puntare una pistola alla nuca, e una voce gli chiede: «Sei cattolico o protestante? ». Paddy è costretto a pensare in fretta. Risponde: «Sono ebreo». E sente una voce che dice: «Devo proprio essere l'arabo più fortunato di tutta Belfast». Le etichette sono davvero importanti per noi. «Sono repubblicano» diciamo. Ma lo siamo davvero? Non si può certo affermare che, quando si cambia partito, si cambi anche l'"io". Non è forse il solito vecchio "io", con delle nuove convinzioni politiche?
Ricordo di aver sentito parlare di un uomo che chiede a un amico: «Pensi di votare per i repubblicani»? E l'amico risponde: «No, penso di votare per i democratici. Mio padre era democratico, mio nonno era democratico, il mio bisnonno era democratico». E l'uomo dice: «Ma questa è una logica folle. Voglio dire: se tuo padre fosse stato un ladro di cavalli, e tuo nonno lo stesso, e il tuo bisnonno pure, tu cosa saresti?». «Ah», risponde l'amico, «allora sei repubblicano». Passiamo gran parte della nostra vita a reagire a delle etichette, le nostre e quelle degli altri. Identifichiamo le etichette con l'"io". Cattolico e protestante sono etichette molto frequenti. Un tizio andò da un prete e gli chiese:
«Padre, voglio che celebri una messa per il cane». Il prete s'indignò. «Cosa intendi dire con questo?». «Si tratta del mio cagnolino», rispose l'uomo. «Amavo quel cane e vorrei che lei celebrasse una messa in suo ricordo». Il prete disse: «Qui non celebriamo messe per dei cani. Forse può provare alla congregazione che c'è più avanti, su questa via. Chieda a loro se sono disposti a farlo».
Uscendo, l'uomo disse al prete: «Peccato. Amavo moltissimo quel cane. Avevo pensato di offrire una prebenda di un milione di dollari per la messa».
E il prete: «Aspetti un attimo: non mi aveva detto che il suo cane era cattolico».
Quando si è intrappolati dalle etichette che valore hanno etichette, in relazione all'"io"? Potremmo dire che l'"io" non è rappresentato da alcuna delle etichette che noi gli attribuiamo? Le etichette appartengono al "me". Quello che cambia continuamente è il "me". L'"io" cambia? L'osservatore cambia? Il fatto è che, quali siano le etichette che vi vengono in mente (eccetto, forse, quella di essere umano), le dovreste applicare al "me". L'"io" non è niente di tutto questo. Dunque, quando uscite da voi stessi e osservare il "me", non vi identificate più con il "me".
La sofferenza esiste dentro il "me", e così, quando identificate l'"io" e il "me", inizia la sofferenza. Poniamo che abbiate paura, o un desiderio, o delle ansie. Quando l'"io" non si identifica con il denaro, o il nome, o la nazionalità, o le persone, o gli amici, o qualsiasi qualità, l'"io" non è mai minacciato. Può essere molto attivo, ma non è minacciato. Pensate a qualcosa che vi ha causato o vi causa dolore, preoccupazione o ansia.
Prima di tutto, riuscite a individuare il desiderio sotto quella sofferenza? Capite che c'è qualcosa che desiderate ardentemente, e che questo vi causa sofferenza? Cos'è quel desiderio? Secondo, è soltanto un desiderio; è in un atto un'identificazione. In qualche modo, avete detto a voi stessi: «Il benessere dell'"io", quasi l'esistenza stessa dell'"io" sono legati a quel desiderio». La sofferenza e dovuta unicamente alla mia identificazione con qualcosa, che sia al mio interno o all'esterno.
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