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SCHEDA ARTICOLO N. «01742»

CLASSIFICAZIONE: 5
TIPOLOGIA: AFFINE
AUTORE: ALEN LORETI
TITOLO: VINCENZO COTTINELLI RICORDA TIZIANO TERZANI (MONOGRAFIA LUNGA)
SPAZIATORE bianco

TESTO ARTICOLO

Ricordo di Tiziano Terzani

Conversazione con Vincenzo Cottinelli
a cura di Àlen Loreti

- Premessa -

Vincenzo Cottinelli è fotografo freelance ma si appoggia all’Agenzia
Grazia Neri di Milano. Le sue
foto sono state esposte in tutta Italia, a Londra, Vienna, Tel Aviv,
l’Avana. Ha pubblicato ritratti di
intellettuali, foto emblematiche, reportage di viaggio (Vicino
Oriente, New York, India, Brasile) e
di attualità sociale (immigrazione, scuola). Collabora con quotidiani
e magazine nazionali e
internazionali. Ha conosciuto Tiziano Terzani nel 1995 e lo ha
fotografato in diverse occasioni
della sua vita, fino al maggio 2004. Vive e lavora a Brescia.

Personalmente ho incontrato Vincenzo Cottinelli l’otto ottobre
duemilaquattro, a Milano. Eravamo
ospiti negli studi de La7 per una puntata de L’Infedele, il programma
condotto da Gad Lerner
dedicato in quell’occasione a Tiziano Terzani e intitolata “Amico cancro”.

Ho avvicinato Cottinelli durante la pausa della registrazione e con la
faccia tosta che mi ritrovo gli
ho chiesto una foto insieme, noi due. Poi, parlando della comune
ammirazione per Tiziano, siamo
diventati amici.

Una volta a casa ho rivisto la trasmissione in tv. Guardavo la
scenografia dello studio realizzata
con tante foto a tt realizzate proprio da Cottinelli e mi sono
chiesto: “Come deve essere il non
poter più fotografare una persona, un tuo amico? Ti restano solo le
foto che hai fatto…”. Poi ci ho
pensato bene. No, non è vero. C’e un altro modo per ricordare. Ed è
quello di parlare, di scrivere.
Così ho deciso di fare una cosa un po’ particolare (anzi, molto
particolare, considerando che non
sono un giornalista!), ho scritto una e-mail a Cottinelli ponendogli
una domanda molto semplice:
“Saresti disposto a rilasciarmi una intervista su Terzani? Mi
piacerebbe raccogliere una tua
testimonianza”. Mi ha risposto subito. Acconsentendo. Gli ho spedito
le domande e, tempo alcune
settimane, mi ha restituito il documento con le sue risposte. Eccole qua.

Ora tocca a voi. Leggete e diffondete queste pagine. Pagine a loro
modo uniche. A loro modo un
altro di giro di giostra che ci avvicina a Tiziano Terzani. Buona lettura.

Àlen Loreti

---------------------

- L’incontro -

Loreti. - La prima domanda che ti pongo non può non essere: come hai
conosciuto Terzani?
Raccontami di questo incontro.

Cottinelli. - Siamo nel 1995, faccio ritratti di scrittori già da
cinque o sei anni, ho già fatto
qualche mostra in giro per l’Italia in librerie soprattutto, ma
chiaramente non so tutto sull’attualità
letteraria e ignoro chi sia Terzani. Una carissima amica giornalista
mi dice: “Nel tuo archivio non
può mancare Terzani: in settembre esce Un indovino mi disse:
preparati”. Mi faccio fissare un
appuntamento a Milano all’hotel Manin, dove Terzani viene per
Longanesi a incontrare i giornalisti;
la regola è che il fotografo si incastra fra un giornalista e l’altro.
È il 15 settembre e io non ho fatto
in tempo a leggere nulla di lui. Sì, perché di solito prima di
fotografare leggo almeno un libro, per
conoscere il personaggio.

Riesco a sfogliare l’Indovino seduto nella hall. Poi lui comincia a parlare,
e io lo riprendo prima che sia il mio turno ufficiale, stando seduto a
fianco dei giornalisti. È un
torrente in piena, parole, sguardi e mimica a cascata, rivolto ai
giornalisti, cioè nella mia stessa
direzione, ma ignorandomi: condizione ideale. Lavoro con una Nikon F4.
La luce è favorevole e mi
riuscirà una sequenza assai dinamica.

Poi è il mio turno e propongo il solito giardino sul retro. Non
sapendo che dire, e rischiando una gaffe clamorosa, gli dico la
verità: che non ho letto nulla di lui,
ma che, sfogliando l’Indovino, mi sembra affine a Kapuscinski (già
fotografato, di cui ho letto
Imperium). Invece è il principio dell’amicizia: mi dice che è il più
bel complimento che poteva
ricevere. E diventa disponibilissimo, posa naturalmente, ma guarda
intensamente in macchina e
recita quel tanto che occorre, senza che io gli chieda nulla. Qui
nasce, complice anche un raggio di
sole che rimbalza sulla giacca bianca, la foto delle mani giunte, la
più di successo e una delle più
amate da Tiziano (e la più rubata da giornali, siti, editori, sia
nella variante in biancoenero che in
quella a colori).

Che io sappia, Tiziano non ha più posato a mani giunte con nessun
altro fotografo.

Lui riparte per l’India di lì a non molto, e restiamo intesi che
manderò alcune stampe a sua moglie
in Svizzera, dove lei si trova nel frattempo. Quando lui le vedrà,
credo all’inizio del 1996, mi
scriverà che… mi nomina suo fotografo ufficiale alla corte di Delhi e
mi invita a Firenze al
vernissage della mostra postuma del suocero Staude, a Palazzo Pitti.
Grande evento con tanti parenti
e amici dei Terzani/Staude. Scatto parecchio con la Leica M6, discreta
e affabile. Gli porterò le
stampe a Delhi (dove vado in vacanza in aprile) e pure queste saranno
molto gradite, sia a lui che a
Angela, perché pare che io abbia colto legami e psicologie di parenti,
amici, conoscenti, perfino ex
amanti – a me ignoti!

- Lavorare insieme -

Loreti. - Cartier-Bresson diceva che lavorare con gli scrittori era
difficile: “Ci si disturba, a
loro servono tre ore a noi trenta secondi”. Com’è stato lavorare
insieme a lui? Ma soprattutto,
quanto del lavoro di Terzani è finito nel tuo lavoro di reporter?

Cottinelli. - Non so rispondere. Però a differenza di Bresson, a me
per fotografare bene un
personaggio servirebbero sempre almeno tre ore, se non tre giorni: gli
devo girare intorno e lo devo
vedere vivere e muoversi nel suo ambiente e parlare e magari lavorare.

- Un modo di vivere -

Loreti. - Scusami se insisto, ma penso sempre alla storia di due
vecchi. Il primo avrebbe
potuto essere il padre dell’altro, ma se ne andò per secondo. Il primo
diceva: «C’est mettre sur la
même ligne de mire la tête, l’oeil et le coeur. C’est une façon de
vivre», ed era Bresson che definiva
la fotografia. Il secondo invece diceva: «Non è un mestiere, non è una
professione, ma una
passione, una missione, un modo di vivere», questo era Terzani che
parlava del giornalismo.
Insomma – a parte il fatto che entrambi se ne sono andati a distanza
di pochi giorni l’uno dall’altro
– mi chiedo, con un po’ d’angoscia (tipica di noi ventenni!) cosa
diavolo è “un modo di vivere”?
Cosa significa per te questa definizione?

Cottinelli. - Sono d’accordo sul collegamento fra i due grandi appena
scomparsi, ma non so
rispondere alla tua domanda, non sono né un saggio né un maestro di
vita. So solo che qualche volta
(una è stata la prima sessione fotografica con Tiziano, un’altra nella
Scuola Media di Legnago
riprendendo le lezioni di arabo ai figli dei lavoratori marocchini)
senti che non stai lavorando, ma
stai vivendo intensamente e nello stesso tempo ti riesce un buon
lavoro (forse perché allineato fra
testa occhio ed emozione). Qualche altro grande fotografo, non ricordo
chi, diceva anche che ci
vuole tanta fortuna; altri ancora, che ci vogliono buone gambe ….

- Sguardi -

Loreti. - Lalla Romano nella prefazione al tuo libro Sguardi ha
scritto: «In un vero ritratto -
merito del fotografo, come nei grandi ritratti della pittura - il
volto umano è l'equivalente di un
romanzo: complesso, ambiguo, segreto come ogni vita ed insieme
rivelatore». Ti chiedo: quale è
stata la cosa che più ti ha colpito del volto di Terzani? Come lo
definiresti il suo sguardo?

Cottinelli. - Il volto e lo sguardo di Tiziano sono straordinariamente
trasparenti e loquaci,
incapaci di dissimulare, anzi sempre portati a rafforzare ed
enfatizzare la realtà di pensieri e
sentimenti. In questo senso il volto di Tiziano è definibile maschera
non perché nasconda, ma
perché fissa ed esalta la caratterizzazione del momento. Insomma,
sembra che Tiziano reciti, però
sei sicuro che recita sé stesso e quello che pensa realmente perché lo
ha vissuto e studiato e raccolto
nella realtà.

- Scrittura e fotografia -

Loreti. - Tu sei appassionato di scrittura e letteratura e per questo
motivo ti sei avvicinato agli
ambienti degli intellettuali, dell’editoria e del giornalismo. La
scrittura come la fotografia è il
tentativo di conservare l'essenza di un profilo, di un luogo, di
un’emozione, di sottrarlo alla
confusione del tempo per coglierne una possibile essenza immortale e
magari riconsegnarla in una
dimensione di immutabilità. Tu hai fotografato tanti, tantissimi
uomini e donne intellettuali e
scrittori, perciò ti chiedo: se ogni lettera contiene il cuore di
tutte le parole, possiamo dire che ogni
immagine contiene il principio di tutte le immagini possibili? Che
relazioni poni tra l’opera dello
Terzani-scrittore e le tue bellissime immagini?

Cottinelli. - Credo di non poterti seguire in questa difficile
teorizzazione scrittura/fotografia.
La fotografia è documentazione e memorizzazione. Di più non mi sento
di dire al momento. Quanto
poi al rapporto mie foto/opere di Tiziano, non ce n’è nessuno. Siamo
così lontani: io sono un
artigiano della pellicola (ma anche lui lo è stato, ad ottimi livelli,
come già un po’ si vede in
Buonanotte, signor Lenin e un giorno spero si vedrà compiutamente).
Lui invece è un vero scrittore
e giornalista: in Un altro giro di giostra, poi, è a tratti anche
romanziere. Al massimo le mie foto
possono aver documentato qualche situazione di vita di Tiziano in modo
esatto e circostanziato (si
vedrà la sequenza dell’incontro con un santone di Calcutta, per
esempio), ma ciò dipende dalla sua
generosità e amicizia verso di me, che mi hanno aiutato a fotografarlo
senza il velo dell’imbarazzo
o dell’estraneità, ma – come dicevo sopra – semmai con l’aiuto della
recita. Posso dire invece che
dall’essere io lettore onnivoro ha tratto vantaggio l’amicizia con
Tiziano (lui ancora più grande
lettore e coltissimo) e indirettamente anche la qualità delle mie
fotografie, quando c’è. Molti
“fotografi di scrittori” sono bravissimi tecnici e padroni delle luci,
ma non hanno mai letto un libro
in vita loro: io credo che i loro ritratti, anche quando belli,
manchino completamente di anima.

- Sulle spalle del tempo -

Loreti. - Forse non bastano i Giganti per spiegare Terzani. Forse ciò
che l’ha reso così
apprezzato e stimato in tutto il mondo è che aveva capito di abitare
il proprio tempo o no?
Cottinelli. - Tiziano abitava il proprio tempo, nel senso che era
lucidissimo indagatore dei
fenomeni politico-sociali soprattutto asiatici, ma anche attento
conoscitore di vizi e vezzi di noi
occidentali e traduceva la sua indagine in una scrittura brillante,
chiara, avvincente, appassionata.
Non a caso è scrittore che piace anche ai giovani, tanto. Ma non è
stato uomo del proprio tempo, se
questo vuol dire uomo della contemporaneità. Lui era sdegnosamente
contrario alla
modernizzazione del consumismo, alla occidentalizzazione devastante
che lui sperimentava
soprattutto nei paesi asiatici ma sapeva essere fenomeno mondiale,
globale (per noi italiani si
chiama americanizzazione).

Amava invece visceralmente l’integrità dell’uomo ancor viva nel
recente passato e, forse per poco, in alcuni paesi marginali. In
questo senso, non so se qualcuno l’ha
già osservato, era fratello di un altro grandissimo: Pasolini. Il
Pasolini delle lucciole, il Pasolini di
L’odore dell’India, che - si badi bene - è del 1962 e riemerge, non
solo per via dell’odore e del
senso di morte, nei capitoli sull’India di Un altro giro di giostra
che Tiziano inizialmente, un po’
scherzando, pare volesse chiamare La puzza dell’India. Non ho mai
parlato con Tiziano di Pasolini,
e magari il collegamento lo avrebbe irritato, a differenza di quello
con Kapuscinski. Certo, dal tono
poetico struggente di Pasolini a quello più controllato di Tiziano le
differenze sono grandi. Ma tutti
e due, giganti appunto, hanno affrontato con una intensità rara il
tema della modernizzazione come
devastazione dell’integrità dell’uomo e del pianeta. E tutti e due
hanno sofferto io credo il senso
drammatico di impotenza di fronte al perverso legame fra
modernizzazione e progresso economico
sociale cui aspirano e hanno diritto i popoli del terzo mondo.

- Benedetto cancro -

Loreti. - Terzani ha sempre sostenuto che il cancro è stata per lui
una benedizione: “la malattia
lo ha svegliato” come ha detto suo figlio Folco in tv ospite da Gad
Lerner. Insomma, gli ha
suggerito l’idea di forza, di un'esistenza intensa, senza paure né
ipocrite speranze. È difficile
accettare la morte, ma ciò che è capitato a Terzani ci fa comprendere
in maniera chiara una cosa:
certi uomini e certe donne sono stati così importanti perché alle loro
spalle sentivano un mondo,
reale o immaginario, un tempo collettivo, il brusio di un'attesa.
Sentivano che ciò che stavano
facendo non era un semplice lasciapassare verso una gloria tutta
privata bensì sapevano che ogni
abbondanza, ogni piccolo istante andava condiviso, ogni personale
scoperta era, è, almeno
idealmente, un patrimonio comune. Morte inclusa. Può essere così, che ne pensi?

Cottinelli. - Così mi provochi a raccontare l’ultimo incontro, dopo
averti raccontato il primo.
Tiziano mi chiama verso il 18 maggio perché vuole che fotografi lui e
Folco che lavorano, insieme,
all’ultimo libro. “Per il risvolto di copertina”, mi dice, “voglio che
la foto sia tua”. Il 21 maggio
sono da loro a Firenze, penso di sbrigarmela in pochi minuti, per non
disturbare, invece mi tiene tre
ore e vuole che scatti a più vasto raggio. “Sono le ultime che mi
fai”, dice. Borbotto parole senza
senso.

Vorrei non esser mai stato fotografo, penso. Ma lui mi sostiene, mi fa
quasi la regia, posa,
recita, gioca con Folco, mi raccomanda gli sfondi! “Che si veda la
rosa e il Buddha”, dice.
“Facciamo un giro in giardino, salutiamo Ganesh”. Come sempre, lui è
svariati gradini più su di
tutti noi, più avanti mille miglia. Irraggiungibile. Però più tardi
(era seduto sul divano, Angela al
suo fianco, Folco di fronte, facevano belle risate insieme) in un
certo preciso momento lui la
guarda. Improvvisamente lui ha uno sguardo perdutamente innamorato e
disperato (almeno sembra
a me: si vedranno le foto, forse, è una sequenza così intima e
struggente che non so se sarà
pubblicata). Umano, semplicemente umano. Grande anche in questo suo
essere normale. Non so
altro del suo andare verso la fine, altri ha avuto la dolorosa
possibilità di sapere (e la facoltà di
testimoniare, se vorrà).

Ma se su un tema così tremendamente delicato potessi fare delle
illazioni, non sarei così tranquillo
nel ritenere che lui sia stato “contento di morire” o “felice del
cancro”. Amava la vita: ha voluto
guarire. Amava le persone care: le ha amate fino alla fine. Amava
scrivere: ha avuto il colpo di
genio di inventare l’ultima scrittura per mezzo di Folco in quello che
sarà il suo ultimo libro (con
sue foto) e, mi pare, il primo di Folco. Traditio vitae per imagines
et verba. Ha passato il testimone,
meglio, ha corso insieme a Folco l’ultima tratta, prolungando la
propria vita creativa. Perché era
fino all’ultimo in splendide condizioni di creatività e intelligenza.
E lo sarebbe stato a lungo.

Altra è la questione, io credo: da grande saggio, senza la minima
copertura religiosa, Tiziano si è
imposto una disciplina severa di riservatezza, dignità, sobrietà,
concentrazione, che sono virtù
eminentemente laiche. Ha voluto morire senza clamori, da solo (coi
suoi più cari) accettando
l’ineluttabile. (Ineluttabile, ma atrocemente ingiusto, diciamocelo,
una buona volta!). Accettare
l’ineluttabile non significa esserne felice, ma sapere che muori
meglio così, posto che devi morire.
Non voglio dire che certi suoi messaggi (anche nell’ultima splendida
intervista di Mario Zanot) sul
cancro come “benedizione” fossero dunque solo una provocazione, certo
non credo assolutamente
che fossero tutta la verità.

Per rispondere alla tua affermazione: non penso che la sua morte sia
stata così perché l’abbia voluta
“condividere”, ma non c’è dubbio che è stato un grande insegnamento per tutti.

- Rivelare la verità -

Loreti. - Navigando in rete ho trovato questa frase, si trova in una
tua pagina dedicata
all’Associazione per la fotografia Ilbiancoenero di cui sei fondatore:
“La fotografia e il suo
linguaggio sono cose serie, non da imbonitori, non si lasciano
manipolare: rivelano la verità”. La
verità, ecco. Terzani stesso diceva che “i fatti sono un velo dietro
cui si nasconde la verità”. Ma per
sostenere una verità bisogna affermare una propria etica, giusto? Qual
era quella di Terzani,
seconde te? E qual è la tua etica nella pratica di fotografo?

Cottinelli. - Sollevi ancora questioni da scriverci un libro, a
esserne capaci. Le mie parole che
citi nascono dentro una vecchia polemica, anche a modesto livello
locale, fra fotografi del realismo
e fotografi “artisti” (o di tendenza, o di avanguardia, o concettuali,
o mercificati, come si vuole: fra
tanti che ne parlano mi vengono in mente gli acutissimi Duane Michals
e Ferdinando Scianna). Noi
fotografi dell’impegno sulla realtà, vogliamo fotografare per
documentare fatti e basta, magari
andandoli a cercare per svelarli dall’occultamento operato dai
detentori del potere e per sbatterli in
faccia a chi vive “bene” ignorando o rimuovendo ciò che accade
intorno. E, se vuoi, quando ci
riesco, questa è l’etica che mi ispira.

Ciò è connesso con la frase di Tiziano, solo in quanto ha a che fare
con la più vasta tematica della
ricerca della verità. Ma Tiziano dice di più, riferendosi ai fatti
come apparenze che il giornalista
deve superare con lo scavo e l’analisi, se vuol trovare la verità. E
ha ragione: dietrologia, si chiama,
nel senso letterale e positivo dello studio delle cause, delle radici,
degli interessi che stanno dietro e
sotto la superficie degli avvenimenti. Tiziano, l’ha testimoniato più
volte con il suo lavoro, era un
maestro di bravura e di integrità nel cercare i fatti ma soprattutto
per analizzarli. Era un esempio
raro. Ne sono rimasti pochissimi, in genere suoi amici.

- L’intellettuale -

Loreti. - Hai fotografato tantissimi intellettuali. Nella tua
personale galleria di ritratti troviamo
uomini e donne veramente eccezionali: Galeano, Chomsky, Eco, Gordimer,
Ginsberg, Benni, Altan,
Lella Costa, Feltrinelli, Malerba, Pennac, Rushdie, Krippendorf,
Vidal, Maaluf, Marias… e altre
centinaia e centinaia di favolose menti. Tra queste anche Tiziano
Terzani. In più occasioni lui ha
sostenuto che “il compito dell’intellettuale è semplificare le cose
complicate, tutto il contrario di
adesso” e, citando lui stesso Edward Said “creare campi di
comprensione, invece che campi di
battaglia”.

Secondo la tua esperienza professionale - che ti ha permesso di
conoscere gli intellettuali
di ieri e di oggi - e secondo questa definizione, potremo dunque
considerare Terzani come un vero
intellettuale? O pensi che questa etichetta, applicata a se stesso,
l’avrebbe poco apprezzata?
Cottinelli. - Non so rispondere, se non dicendoti che per me Tiziano è
stato un grande uomo,
un grande giornalista, un bravissimo scrittore.

E per essere tutto ciò bisogna anche avere una grande
mente. Non credo che gli sia importato più di tanto essere o non
essere etichettato come
intellettuale. Ma c’è dell’altro. Faceva il suo lavoro con gioia ed
entusiasmo tali che non lo
considerava più un lavoro, ma una vocazione e una fortuna, lo ha detto
più volte. Era schivo,
selettivo negli incontri e nelle amicizie e ferocemente contrario ad
ogni presenzialismo, non era un
militante nel senso comune del termine, soprattutto dopo le crude
delusioni subite dal comunismo
realizzato.

Ma quando è stato il momento di testimoniare per la pace, contro le
guerre e gli
imperialismi, si è buttato senza risparmiarsi benché già malato,
andando a Kabul, scrivendo le
Lettere contro la guerra e poi (paradossalmente ancor più faticoso per
lui) andando per cento città
italiane non tanto a “presentare il libro” ma a testimoniare il suo
illimitato, “folle” amore per la
pace, la fratellanza, il rispetto fra i popoli, la pena per il nostro
martoriato pianeta e a scuoterci dal
torpore dei luoghi comuni, dei se e dei ma. Per andare in Afghanistan
e scrivere le Lettere e parlare
di pace non ha esitato a lasciare la casa di montagna sull’Himalaya,
dove non era in un “buen
retiro” da scrittore di lusso, ma stava lottando contro il cancro. E
ha piantato quel che stava
scrivendo su malattia e morte, che sarebbe poi diventato Un altro
giro… E diceva agli amici “Il
libro sull’India - così lo chiamava - stenta a procedere”. E ti credo.

Come la vogliamo chiamare questa? Generosità? Militanza? Ruolo
dell’intellettuale? Davvero non
ci sono parole. Ma lo faceva senza la minima ombra di sacrificio: si
sarebbe arrabbiato moltissimo a
sentir questa parola. Era appunto una scelta di semplificazione, e lui
si divertiva. Solo una persona,
nella mia vita, lo ha eguagliato - in modi molto diversi - in tenacia,
generosità e amore per la
giustizia. Ma quella fu un’altra storia.

- Un omaggio “senza nome” -

Loreti. - In un’epoca, questa in cui viviamo, nella quale non esistono
più le persone ma solo i
personaggi, dove farsi un nome è più importante delle azioni che si
compiono, dove non si vive
nella vita dei molti, ma nel privilegio dei pochi, dove per uscire
dall’ombra basta la luce dei flash o
delle telecamere per essere benedetti, in questa epoca piena di
asimmetrie e conflitti, la figura di
Terzani rischia di essere fraintesa e percepita in maniera sbagliata
soprattutto per chi non l’ha
seguito dal principio. Insomma, c’è il rischio di vedere Terzani nelle
vesti di un santone o di un
profeta-laico, il rischio di interpretare il suo lavoro come un’opera
di pacifismo evangelico con
sfumature orientaleggianti.

Niente di più aberrante! Sappiamo bene che lui si è sempre smarcato da
questa immagine deformata che molti gli attribuivano (“Io non sono
buddista! Non-so-no-bud-dista!”,
sillabava sorridente, ma fermamente, agli incontri col pubblico),
purtroppo però la cultura
occidentale, così linneana, manichea e aggiungerei televisiva,
stritola le persone “confezionandole”
a suo piacimento. Hai detto che stai preparando un progetto
fotografico proprio su di lui. Quale sarà
il messaggio di questo progetto? Che Terzani dobbiamo aspettarci? Sarà
un progetto, come dire,
“senza nome”?

Cottinelli. - In parte ho già risposto, in parte si è visto su Rosso
Fiorentino. In parte non lo so.
Si vedrà. Sarà un Omaggio a Tiziano con il materiale che ho, che nel
tempo e nello spazio è vasto
ma molto discontinuo. Non ci sarà un Tiziano al lavoro in senso
stretto, ma un uomo che coltiva
sentimenti e affetti famigliari e passioni. Ci sarà anche il Tiziano
che recita sé stesso. Ma siamo
appena agli inizi, devo ancora trovare l’editore e gli sponsors. Forse
ho trovato chi commenterà le
foto. Ma devo trovare chi collaborerà scrivendo una bella prefazione.

- La foto più bella -

Loreti. - Infine ti chiedo qual è stata la foto più bella che gli hai
fatto, quella che più ti piace e
perché.

Cottinelli. - Sono in realtà due, entrambe fatte col flash, con una
macchinetta compatta che
anche lui ha comprato su mia indicazione. Ma non saranno mai
pubblicate, credo. Una è di lui che
arriva alla stazione di Brescia con Angela per venirmi a trovare e,
per farmi uno scherzo, cammina
rannicchiato raso terra nella folla dei pendolari convinto che io non
lo veda. Era tornato da poco
dall’ultimo viaggio a New York. L’altra è di lui che mangia al tavolo
della mia cucina, prima della
presentazione di Lettere contro la guerra. Questa l’ho appesa appunto in cucina.

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