Ricordo di Tiziano Terzani
Conversazione con Vincenzo Cottinelli a cura di Àlen Loreti
- Premessa -
Vincenzo Cottinelli è fotografo freelance ma si appoggia all’Agenzia Grazia Neri di Milano. Le sue foto sono state esposte in tutta Italia, a Londra, Vienna, Tel Aviv, l’Avana. Ha pubblicato ritratti di intellettuali, foto emblematiche, reportage di viaggio (Vicino Oriente, New York, India, Brasile) e di attualità sociale (immigrazione, scuola). Collabora con quotidiani e magazine nazionali e internazionali. Ha conosciuto Tiziano Terzani nel 1995 e lo ha fotografato in diverse occasioni della sua vita, fino al maggio 2004. Vive e lavora a Brescia.
Personalmente ho incontrato Vincenzo Cottinelli l’otto ottobre duemilaquattro, a Milano. Eravamo ospiti negli studi de La7 per una puntata de L’Infedele, il programma condotto da Gad Lerner dedicato in quell’occasione a Tiziano Terzani e intitolata “Amico cancro”.
Ho avvicinato Cottinelli durante la pausa della registrazione e con la faccia tosta che mi ritrovo gli ho chiesto una foto insieme, noi due. Poi, parlando della comune ammirazione per Tiziano, siamo diventati amici.
Una volta a casa ho rivisto la trasmissione in tv. Guardavo la scenografia dello studio realizzata con tante foto a tt realizzate proprio da Cottinelli e mi sono chiesto: “Come deve essere il non poter più fotografare una persona, un tuo amico? Ti restano solo le foto che hai fatto…”. Poi ci ho pensato bene. No, non è vero. C’e un altro modo per ricordare. Ed è quello di parlare, di scrivere. Così ho deciso di fare una cosa un po’ particolare (anzi, molto particolare, considerando che non sono un giornalista!), ho scritto una e-mail a Cottinelli ponendogli una domanda molto semplice: “Saresti disposto a rilasciarmi una intervista su Terzani? Mi piacerebbe raccogliere una tua testimonianza”. Mi ha risposto subito. Acconsentendo. Gli ho spedito le domande e, tempo alcune settimane, mi ha restituito il documento con le sue risposte. Eccole qua.
Ora tocca a voi. Leggete e diffondete queste pagine. Pagine a loro modo uniche. A loro modo un altro di giro di giostra che ci avvicina a Tiziano Terzani. Buona lettura.
Àlen Loreti
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- L’incontro -
Loreti. - La prima domanda che ti pongo non può non essere: come hai conosciuto Terzani? Raccontami di questo incontro.
Cottinelli. - Siamo nel 1995, faccio ritratti di scrittori già da cinque o sei anni, ho già fatto qualche mostra in giro per l’Italia in librerie soprattutto, ma chiaramente non so tutto sull’attualità letteraria e ignoro chi sia Terzani. Una carissima amica giornalista mi dice: “Nel tuo archivio non può mancare Terzani: in settembre esce Un indovino mi disse: preparati”. Mi faccio fissare un appuntamento a Milano all’hotel Manin, dove Terzani viene per Longanesi a incontrare i giornalisti; la regola è che il fotografo si incastra fra un giornalista e l’altro. È il 15 settembre e io non ho fatto in tempo a leggere nulla di lui. Sì, perché di solito prima di fotografare leggo almeno un libro, per conoscere il personaggio.
Riesco a sfogliare l’Indovino seduto nella hall. Poi lui comincia a parlare, e io lo riprendo prima che sia il mio turno ufficiale, stando seduto a fianco dei giornalisti. È un torrente in piena, parole, sguardi e mimica a cascata, rivolto ai giornalisti, cioè nella mia stessa direzione, ma ignorandomi: condizione ideale. Lavoro con una Nikon F4. La luce è favorevole e mi riuscirà una sequenza assai dinamica.
Poi è il mio turno e propongo il solito giardino sul retro. Non sapendo che dire, e rischiando una gaffe clamorosa, gli dico la verità: che non ho letto nulla di lui, ma che, sfogliando l’Indovino, mi sembra affine a Kapuscinski (già fotografato, di cui ho letto Imperium). Invece è il principio dell’amicizia: mi dice che è il più bel complimento che poteva ricevere. E diventa disponibilissimo, posa naturalmente, ma guarda intensamente in macchina e recita quel tanto che occorre, senza che io gli chieda nulla. Qui nasce, complice anche un raggio di sole che rimbalza sulla giacca bianca, la foto delle mani giunte, la più di successo e una delle più amate da Tiziano (e la più rubata da giornali, siti, editori, sia nella variante in biancoenero che in quella a colori).
Che io sappia, Tiziano non ha più posato a mani giunte con nessun altro fotografo.
Lui riparte per l’India di lì a non molto, e restiamo intesi che manderò alcune stampe a sua moglie in Svizzera, dove lei si trova nel frattempo. Quando lui le vedrà, credo all’inizio del 1996, mi scriverà che… mi nomina suo fotografo ufficiale alla corte di Delhi e mi invita a Firenze al vernissage della mostra postuma del suocero Staude, a Palazzo Pitti. Grande evento con tanti parenti e amici dei Terzani/Staude. Scatto parecchio con la Leica M6, discreta e affabile. Gli porterò le stampe a Delhi (dove vado in vacanza in aprile) e pure queste saranno molto gradite, sia a lui che a Angela, perché pare che io abbia colto legami e psicologie di parenti, amici, conoscenti, perfino ex amanti – a me ignoti!
- Lavorare insieme -
Loreti. - Cartier-Bresson diceva che lavorare con gli scrittori era difficile: “Ci si disturba, a loro servono tre ore a noi trenta secondi”. Com’è stato lavorare insieme a lui? Ma soprattutto, quanto del lavoro di Terzani è finito nel tuo lavoro di reporter?
Cottinelli. - Non so rispondere. Però a differenza di Bresson, a me per fotografare bene un personaggio servirebbero sempre almeno tre ore, se non tre giorni: gli devo girare intorno e lo devo vedere vivere e muoversi nel suo ambiente e parlare e magari lavorare.
- Un modo di vivere -
Loreti. - Scusami se insisto, ma penso sempre alla storia di due vecchi. Il primo avrebbe potuto essere il padre dell’altro, ma se ne andò per secondo. Il primo diceva: «C’est mettre sur la même ligne de mire la tête, l’oeil et le coeur. C’est une façon de vivre», ed era Bresson che definiva la fotografia. Il secondo invece diceva: «Non è un mestiere, non è una professione, ma una passione, una missione, un modo di vivere», questo era Terzani che parlava del giornalismo. Insomma – a parte il fatto che entrambi se ne sono andati a distanza di pochi giorni l’uno dall’altro – mi chiedo, con un po’ d’angoscia (tipica di noi ventenni!) cosa diavolo è “un modo di vivere”? Cosa significa per te questa definizione?
Cottinelli. - Sono d’accordo sul collegamento fra i due grandi appena scomparsi, ma non so rispondere alla tua domanda, non sono né un saggio né un maestro di vita. So solo che qualche volta (una è stata la prima sessione fotografica con Tiziano, un’altra nella Scuola Media di Legnago riprendendo le lezioni di arabo ai figli dei lavoratori marocchini) senti che non stai lavorando, ma stai vivendo intensamente e nello stesso tempo ti riesce un buon lavoro (forse perché allineato fra testa occhio ed emozione). Qualche altro grande fotografo, non ricordo chi, diceva anche che ci vuole tanta fortuna; altri ancora, che ci vogliono buone gambe ….
- Sguardi -
Loreti. - Lalla Romano nella prefazione al tuo libro Sguardi ha scritto: «In un vero ritratto - merito del fotografo, come nei grandi ritratti della pittura - il volto umano è l'equivalente di un romanzo: complesso, ambiguo, segreto come ogni vita ed insieme rivelatore». Ti chiedo: quale è stata la cosa che più ti ha colpito del volto di Terzani? Come lo definiresti il suo sguardo?
Cottinelli. - Il volto e lo sguardo di Tiziano sono straordinariamente trasparenti e loquaci, incapaci di dissimulare, anzi sempre portati a rafforzare ed enfatizzare la realtà di pensieri e sentimenti. In questo senso il volto di Tiziano è definibile maschera non perché nasconda, ma perché fissa ed esalta la caratterizzazione del momento. Insomma, sembra che Tiziano reciti, però sei sicuro che recita sé stesso e quello che pensa realmente perché lo ha vissuto e studiato e raccolto nella realtà.
- Scrittura e fotografia -
Loreti. - Tu sei appassionato di scrittura e letteratura e per questo motivo ti sei avvicinato agli ambienti degli intellettuali, dell’editoria e del giornalismo. La scrittura come la fotografia è il tentativo di conservare l'essenza di un profilo, di un luogo, di un’emozione, di sottrarlo alla confusione del tempo per coglierne una possibile essenza immortale e magari riconsegnarla in una dimensione di immutabilità. Tu hai fotografato tanti, tantissimi uomini e donne intellettuali e scrittori, perciò ti chiedo: se ogni lettera contiene il cuore di tutte le parole, possiamo dire che ogni immagine contiene il principio di tutte le immagini possibili? Che relazioni poni tra l’opera dello Terzani-scrittore e le tue bellissime immagini?
Cottinelli. - Credo di non poterti seguire in questa difficile teorizzazione scrittura/fotografia. La fotografia è documentazione e memorizzazione. Di più non mi sento di dire al momento. Quanto poi al rapporto mie foto/opere di Tiziano, non ce n’è nessuno. Siamo così lontani: io sono un artigiano della pellicola (ma anche lui lo è stato, ad ottimi livelli, come già un po’ si vede in Buonanotte, signor Lenin e un giorno spero si vedrà compiutamente). Lui invece è un vero scrittore e giornalista: in Un altro giro di giostra, poi, è a tratti anche romanziere. Al massimo le mie foto possono aver documentato qualche situazione di vita di Tiziano in modo esatto e circostanziato (si vedrà la sequenza dell’incontro con un santone di Calcutta, per esempio), ma ciò dipende dalla sua generosità e amicizia verso di me, che mi hanno aiutato a fotografarlo senza il velo dell’imbarazzo o dell’estraneità, ma – come dicevo sopra – semmai con l’aiuto della recita. Posso dire invece che dall’essere io lettore onnivoro ha tratto vantaggio l’amicizia con Tiziano (lui ancora più grande lettore e coltissimo) e indirettamente anche la qualità delle mie fotografie, quando c’è. Molti “fotografi di scrittori” sono bravissimi tecnici e padroni delle luci, ma non hanno mai letto un libro in vita loro: io credo che i loro ritratti, anche quando belli, manchino completamente di anima.
- Sulle spalle del tempo -
Loreti. - Forse non bastano i Giganti per spiegare Terzani. Forse ciò che l’ha reso così apprezzato e stimato in tutto il mondo è che aveva capito di abitare il proprio tempo o no? Cottinelli. - Tiziano abitava il proprio tempo, nel senso che era lucidissimo indagatore dei fenomeni politico-sociali soprattutto asiatici, ma anche attento conoscitore di vizi e vezzi di noi occidentali e traduceva la sua indagine in una scrittura brillante, chiara, avvincente, appassionata. Non a caso è scrittore che piace anche ai giovani, tanto. Ma non è stato uomo del proprio tempo, se questo vuol dire uomo della contemporaneità. Lui era sdegnosamente contrario alla modernizzazione del consumismo, alla occidentalizzazione devastante che lui sperimentava soprattutto nei paesi asiatici ma sapeva essere fenomeno mondiale, globale (per noi italiani si chiama americanizzazione).
Amava invece visceralmente l’integrità dell’uomo ancor viva nel recente passato e, forse per poco, in alcuni paesi marginali. In questo senso, non so se qualcuno l’ha già osservato, era fratello di un altro grandissimo: Pasolini. Il Pasolini delle lucciole, il Pasolini di L’odore dell’India, che - si badi bene - è del 1962 e riemerge, non solo per via dell’odore e del senso di morte, nei capitoli sull’India di Un altro giro di giostra che Tiziano inizialmente, un po’ scherzando, pare volesse chiamare La puzza dell’India. Non ho mai parlato con Tiziano di Pasolini, e magari il collegamento lo avrebbe irritato, a differenza di quello con Kapuscinski. Certo, dal tono poetico struggente di Pasolini a quello più controllato di Tiziano le differenze sono grandi. Ma tutti e due, giganti appunto, hanno affrontato con una intensità rara il tema della modernizzazione come devastazione dell’integrità dell’uomo e del pianeta. E tutti e due hanno sofferto io credo il senso drammatico di impotenza di fronte al perverso legame fra modernizzazione e progresso economico sociale cui aspirano e hanno diritto i popoli del terzo mondo.
- Benedetto cancro -
Loreti. - Terzani ha sempre sostenuto che il cancro è stata per lui una benedizione: “la malattia lo ha svegliato” come ha detto suo figlio Folco in tv ospite da Gad Lerner. Insomma, gli ha suggerito l’idea di forza, di un'esistenza intensa, senza paure né ipocrite speranze. È difficile accettare la morte, ma ciò che è capitato a Terzani ci fa comprendere in maniera chiara una cosa: certi uomini e certe donne sono stati così importanti perché alle loro spalle sentivano un mondo, reale o immaginario, un tempo collettivo, il brusio di un'attesa. Sentivano che ciò che stavano facendo non era un semplice lasciapassare verso una gloria tutta privata bensì sapevano che ogni abbondanza, ogni piccolo istante andava condiviso, ogni personale scoperta era, è, almeno idealmente, un patrimonio comune. Morte inclusa. Può essere così, che ne pensi?
Cottinelli. - Così mi provochi a raccontare l’ultimo incontro, dopo averti raccontato il primo. Tiziano mi chiama verso il 18 maggio perché vuole che fotografi lui e Folco che lavorano, insieme, all’ultimo libro. “Per il risvolto di copertina”, mi dice, “voglio che la foto sia tua”. Il 21 maggio sono da loro a Firenze, penso di sbrigarmela in pochi minuti, per non disturbare, invece mi tiene tre ore e vuole che scatti a più vasto raggio. “Sono le ultime che mi fai”, dice. Borbotto parole senza senso.
Vorrei non esser mai stato fotografo, penso. Ma lui mi sostiene, mi fa quasi la regia, posa, recita, gioca con Folco, mi raccomanda gli sfondi! “Che si veda la rosa e il Buddha”, dice. “Facciamo un giro in giardino, salutiamo Ganesh”. Come sempre, lui è svariati gradini più su di tutti noi, più avanti mille miglia. Irraggiungibile. Però più tardi (era seduto sul divano, Angela al suo fianco, Folco di fronte, facevano belle risate insieme) in un certo preciso momento lui la guarda. Improvvisamente lui ha uno sguardo perdutamente innamorato e disperato (almeno sembra a me: si vedranno le foto, forse, è una sequenza così intima e struggente che non so se sarà pubblicata). Umano, semplicemente umano. Grande anche in questo suo essere normale. Non so altro del suo andare verso la fine, altri ha avuto la dolorosa possibilità di sapere (e la facoltà di testimoniare, se vorrà).
Ma se su un tema così tremendamente delicato potessi fare delle illazioni, non sarei così tranquillo nel ritenere che lui sia stato “contento di morire” o “felice del cancro”. Amava la vita: ha voluto guarire. Amava le persone care: le ha amate fino alla fine. Amava scrivere: ha avuto il colpo di genio di inventare l’ultima scrittura per mezzo di Folco in quello che sarà il suo ultimo libro (con sue foto) e, mi pare, il primo di Folco. Traditio vitae per imagines et verba. Ha passato il testimone, meglio, ha corso insieme a Folco l’ultima tratta, prolungando la propria vita creativa. Perché era fino all’ultimo in splendide condizioni di creatività e intelligenza. E lo sarebbe stato a lungo.
Altra è la questione, io credo: da grande saggio, senza la minima copertura religiosa, Tiziano si è imposto una disciplina severa di riservatezza, dignità, sobrietà, concentrazione, che sono virtù eminentemente laiche. Ha voluto morire senza clamori, da solo (coi suoi più cari) accettando l’ineluttabile. (Ineluttabile, ma atrocemente ingiusto, diciamocelo, una buona volta!). Accettare l’ineluttabile non significa esserne felice, ma sapere che muori meglio così, posto che devi morire. Non voglio dire che certi suoi messaggi (anche nell’ultima splendida intervista di Mario Zanot) sul cancro come “benedizione” fossero dunque solo una provocazione, certo non credo assolutamente che fossero tutta la verità.
Per rispondere alla tua affermazione: non penso che la sua morte sia stata così perché l’abbia voluta “condividere”, ma non c’è dubbio che è stato un grande insegnamento per tutti.
- Rivelare la verità -
Loreti. - Navigando in rete ho trovato questa frase, si trova in una tua pagina dedicata all’Associazione per la fotografia Ilbiancoenero di cui sei fondatore: “La fotografia e il suo linguaggio sono cose serie, non da imbonitori, non si lasciano manipolare: rivelano la verità”. La verità, ecco. Terzani stesso diceva che “i fatti sono un velo dietro cui si nasconde la verità”. Ma per sostenere una verità bisogna affermare una propria etica, giusto? Qual era quella di Terzani, seconde te? E qual è la tua etica nella pratica di fotografo?
Cottinelli. - Sollevi ancora questioni da scriverci un libro, a esserne capaci. Le mie parole che citi nascono dentro una vecchia polemica, anche a modesto livello locale, fra fotografi del realismo e fotografi “artisti” (o di tendenza, o di avanguardia, o concettuali, o mercificati, come si vuole: fra tanti che ne parlano mi vengono in mente gli acutissimi Duane Michals e Ferdinando Scianna). Noi fotografi dell’impegno sulla realtà, vogliamo fotografare per documentare fatti e basta, magari andandoli a cercare per svelarli dall’occultamento operato dai detentori del potere e per sbatterli in faccia a chi vive “bene” ignorando o rimuovendo ciò che accade intorno. E, se vuoi, quando ci riesco, questa è l’etica che mi ispira.
Ciò è connesso con la frase di Tiziano, solo in quanto ha a che fare con la più vasta tematica della ricerca della verità. Ma Tiziano dice di più, riferendosi ai fatti come apparenze che il giornalista deve superare con lo scavo e l’analisi, se vuol trovare la verità. E ha ragione: dietrologia, si chiama, nel senso letterale e positivo dello studio delle cause, delle radici, degli interessi che stanno dietro e sotto la superficie degli avvenimenti. Tiziano, l’ha testimoniato più volte con il suo lavoro, era un maestro di bravura e di integrità nel cercare i fatti ma soprattutto per analizzarli. Era un esempio raro. Ne sono rimasti pochissimi, in genere suoi amici.
- L’intellettuale -
Loreti. - Hai fotografato tantissimi intellettuali. Nella tua personale galleria di ritratti troviamo uomini e donne veramente eccezionali: Galeano, Chomsky, Eco, Gordimer, Ginsberg, Benni, Altan, Lella Costa, Feltrinelli, Malerba, Pennac, Rushdie, Krippendorf, Vidal, Maaluf, Marias… e altre centinaia e centinaia di favolose menti. Tra queste anche Tiziano Terzani. In più occasioni lui ha sostenuto che “il compito dell’intellettuale è semplificare le cose complicate, tutto il contrario di adesso” e, citando lui stesso Edward Said “creare campi di comprensione, invece che campi di battaglia”.
Secondo la tua esperienza professionale - che ti ha permesso di conoscere gli intellettuali di ieri e di oggi - e secondo questa definizione, potremo dunque considerare Terzani come un vero intellettuale? O pensi che questa etichetta, applicata a se stesso, l’avrebbe poco apprezzata? Cottinelli. - Non so rispondere, se non dicendoti che per me Tiziano è stato un grande uomo, un grande giornalista, un bravissimo scrittore.
E per essere tutto ciò bisogna anche avere una grande mente. Non credo che gli sia importato più di tanto essere o non essere etichettato come intellettuale. Ma c’è dell’altro. Faceva il suo lavoro con gioia ed entusiasmo tali che non lo considerava più un lavoro, ma una vocazione e una fortuna, lo ha detto più volte. Era schivo, selettivo negli incontri e nelle amicizie e ferocemente contrario ad ogni presenzialismo, non era un militante nel senso comune del termine, soprattutto dopo le crude delusioni subite dal comunismo realizzato.
Ma quando è stato il momento di testimoniare per la pace, contro le guerre e gli imperialismi, si è buttato senza risparmiarsi benché già malato, andando a Kabul, scrivendo le Lettere contro la guerra e poi (paradossalmente ancor più faticoso per lui) andando per cento città italiane non tanto a “presentare il libro” ma a testimoniare il suo illimitato, “folle” amore per la pace, la fratellanza, il rispetto fra i popoli, la pena per il nostro martoriato pianeta e a scuoterci dal torpore dei luoghi comuni, dei se e dei ma. Per andare in Afghanistan e scrivere le Lettere e parlare di pace non ha esitato a lasciare la casa di montagna sull’Himalaya, dove non era in un “buen retiro” da scrittore di lusso, ma stava lottando contro il cancro. E ha piantato quel che stava scrivendo su malattia e morte, che sarebbe poi diventato Un altro giro… E diceva agli amici “Il libro sull’India - così lo chiamava - stenta a procedere”. E ti credo.
Come la vogliamo chiamare questa? Generosità? Militanza? Ruolo dell’intellettuale? Davvero non ci sono parole. Ma lo faceva senza la minima ombra di sacrificio: si sarebbe arrabbiato moltissimo a sentir questa parola. Era appunto una scelta di semplificazione, e lui si divertiva. Solo una persona, nella mia vita, lo ha eguagliato - in modi molto diversi - in tenacia, generosità e amore per la giustizia. Ma quella fu un’altra storia.
- Un omaggio “senza nome” -
Loreti. - In un’epoca, questa in cui viviamo, nella quale non esistono più le persone ma solo i personaggi, dove farsi un nome è più importante delle azioni che si compiono, dove non si vive nella vita dei molti, ma nel privilegio dei pochi, dove per uscire dall’ombra basta la luce dei flash o delle telecamere per essere benedetti, in questa epoca piena di asimmetrie e conflitti, la figura di Terzani rischia di essere fraintesa e percepita in maniera sbagliata soprattutto per chi non l’ha seguito dal principio. Insomma, c’è il rischio di vedere Terzani nelle vesti di un santone o di un profeta-laico, il rischio di interpretare il suo lavoro come un’opera di pacifismo evangelico con sfumature orientaleggianti.
Niente di più aberrante! Sappiamo bene che lui si è sempre smarcato da questa immagine deformata che molti gli attribuivano (“Io non sono buddista! Non-so-no-bud-dista!”, sillabava sorridente, ma fermamente, agli incontri col pubblico), purtroppo però la cultura occidentale, così linneana, manichea e aggiungerei televisiva, stritola le persone “confezionandole” a suo piacimento. Hai detto che stai preparando un progetto fotografico proprio su di lui. Quale sarà il messaggio di questo progetto? Che Terzani dobbiamo aspettarci? Sarà un progetto, come dire, “senza nome”?
Cottinelli. - In parte ho già risposto, in parte si è visto su Rosso Fiorentino. In parte non lo so. Si vedrà. Sarà un Omaggio a Tiziano con il materiale che ho, che nel tempo e nello spazio è vasto ma molto discontinuo. Non ci sarà un Tiziano al lavoro in senso stretto, ma un uomo che coltiva sentimenti e affetti famigliari e passioni. Ci sarà anche il Tiziano che recita sé stesso. Ma siamo appena agli inizi, devo ancora trovare l’editore e gli sponsors. Forse ho trovato chi commenterà le foto. Ma devo trovare chi collaborerà scrivendo una bella prefazione.
- La foto più bella -
Loreti. - Infine ti chiedo qual è stata la foto più bella che gli hai fatto, quella che più ti piace e perché.
Cottinelli. - Sono in realtà due, entrambe fatte col flash, con una macchinetta compatta che anche lui ha comprato su mia indicazione. Ma non saranno mai pubblicate, credo. Una è di lui che arriva alla stazione di Brescia con Angela per venirmi a trovare e, per farmi uno scherzo, cammina rannicchiato raso terra nella folla dei pendolari convinto che io non lo veda. Era tornato da poco dall’ultimo viaggio a New York. L’altra è di lui che mangia al tavolo della mia cucina, prima della presentazione di Lettere contro la guerra. Questa l’ho appesa appunto in cucina.
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