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SCHEDA ARTICOLO N. «01851»

CLASSIFICAZIONE: 4
TIPOLOGIA: CONGENERE
AUTORE: DALAI LAMA & HOWARD C. CUTLER
TITOLO: L'ARTE DELLA FELICITA' (MONOGRAFIA LUNGA)
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TESTO ARTICOLO

Tratto da:

Dalai Lama con Howard C. Cutler
L'arte della felicità

Introduzione

Il Dalai Lama stava da solo nello spogliatoio vuoto della palestra
di pallacanestro, pochi attimi prima di parlare a una folla di
seimila persone all'università statale dell'Arizona. Calmissimo,
sorseggiava senza fretta una tazza di tè. -Sua Santità, se è
pronto...- dissi.

Si alzò subito, uscì deciso dalla stanza e comparve in mezzo alla
fitta folla assiepata dietro le quinte, una folla che comprendeva
giornalisti, fotografi, uomini della sicurezza e studenti del luogo:
un misto di persone curiose, scettiche o alla ricerca di risposte.
Camminò tra loro con un largo sorriso e annuendo in segno di saluto.
Poi passò oltre la tenda, salì sul podio, si inchinò, incrociò le
braccia e sorrise di nuovo. Fu salutato da un fragoroso applauso.
Chiese che le luci non venissero abbassate, così da vedere bene il
pubblico, e per qualche attimo restò in piedi a scrutare gli astanti
con un'espressione calma, comprensiva e assai benevola. Chi non
l'aveva mai visto trovò forse piuttosto insolita la sua veste
monacale rossa e gialla, ma appena si sedette e cominciò a parlare,
risultò subito chiaro a tutti che aveva una grande capacità di
instaurare un dialogo.

-Credo sia la prima volta che vi vedo- esordì -ma per me avere di
fronte un amico di vecchia data o uno nuovo non fa molta differenza.
Ho infatti sempre pensato che siamo tutti uguali, che siamo tutti
esseri umani. Certo, possono esserci differenze di cultura, stile di
vita, fede religiosa o colore della pelle, ma siamo comunque esseri
umani, con un corpo e una mente umani. Abbiamo la stessa struttura
fisica e la stessa struttura mentale ed emozionale. Ogniqualvolta
vedo una persona, penso sempre che è un essere umano come me. Trovo
assai più facile comunicare con gli altri quando tengo presente
questo fatto.

Se sottolineiamo le caratteristiche specifiche, come il
mio essere tibetano o buddhista, spiccano le differenze. Ma sono
differenze secondarie. Se le accantoniamo, credo che possiamo
facilmente comunicare, scambiarci idee e condividere esperienze.-
Con questo discorso, nel 1993, il Dalai Lama inaugurò la serie di
conferenze che tenne per una settimana in Arizona. I progetti per
quella visita erano iniziati più di dieci anni prima, ed era stato
allora che l'avevo conosciuto, mentre mi trovavo a Dharamsala, in
India, grazie a una piccola sovvenzione per studiare la medicina
tibetana tradizionale. Dharamsala è un placido, affascinante
villaggio arroccato su un pendio delle colline pedemontane
dell'Himalaya.

E' la sede del governo tibetano in esilio da quasi
quarant'anni, da quando Tenzin Gyatso, assieme a centomila
connazionali, fuggì dal Tibet dopo la brutale invasione dell'esercito
cinese. Durante il mio soggiorno a Dharamsala avevo finito per
conoscere parecchi membri della sua famiglia, e fu per loro
intercessione che venne organizzato il mio primo incontro con lui.
Nel suo discorso del 1993, il Dalai Lama spiegò quanto fosse
importante instaurare rapporti con gli altri sulla base della comune
natura umana, ed era stato questo stesso principio a emergere durante
la nostra prima conversazione, avvenuta nella sua residenza nel 1982.

Tenzin Gyatso ha la straordinaria capacità di mettere la gente del
tutto a suo agio, di creare subito un contatto semplice e diretto con
gli altri. Il nostro primo incontro era durato circa tre quarti
d'ora, e come molte altre persone ne ero uscito euforico, con
l'impressione di aver conosciuto un uomo davvero eccezionale.
Quando, negli anni successivi, approfondii la sua conoscenza, mi
resi ancor più conto delle sue numerose, straordinarie qualità:
un'intelligenza penetrante, ma priva di scaltrezze; una spiccata
gentilezza, scevra però di sentimentalismi; un grande senso
dell'umorismo, ma senza frivolezze; e, come hanno scoperto in molti,
la capacità più di stimolare che di incutere soggezione.

Nel corso del tempo mi convinsi di come avesse imparato a vivere
con un grado di pienezza e serenità che non avevo mai osservato in
altri, sicchè decisi di scoprire quali principi gli permettessero di
raggiungere tale stato di grazia. Benchè fosse un monaco con
un'intera vita d'addestramento e studio buddhisti alle spalle, mi
chiesi se si potesse arrivare a capire quali sue credenze o pratiche
fossero utilizzabili anche dai non buddhisti, quali metodi noi
occidentali potessimo applicare direttamente nella vita per
sconfiggere la paura e acquisire più forza e felicità.

Alla fine ebbi occasione di analizzare a fondo le sue idee
incontrandolo quotidianamente durante il suo soggiorno in Arizona e
integrando tale esperienza con conversazioni di maggior respiro
svoltesi nella sua residenza in India. Parlando con lui, presto
scoprii che occorreva superare alcuni ostacoli, cercare di conciliare
due ottiche differenti: quella di monaco buddhista, la sua, e quella
di psichiatra occidentale, la mia. Iniziai per esempio uno dei nostri
primi colloqui sottoponendogli comuni problemi umani e
illustrandoglieli con diverse e dettagliate storie cliniche. Dopo
aver descritto una donna che adottava pervicacemente un comportamento
autodistruttivo nonostante le spaventose conseguenze che questo aveva
sulla sua esistenza, gli chiesi se riuscisse a spiegare un simile
atteggiamento e quale consiglio potesse dare per risolvere il
problema. Rimasi sconcertato quando, dopo lunga riflessione, rispose
tranquillo: -Non lo so- e, alzando le spalle, scoppiò in un'allegra
risata.

Accorgendosi dalla mia espressione che ero stupito e deluso di non
aver ricevuto una risposta più concreta, aggiunse: -A volte è assai
difficile capire perchè le persone facciano le cose che fanno...
Spesso si scopre che non vi sono spiegazioni semplici. Poichè la
mente umana è estremamente complessa, se esaminassimo in dettaglio le
vite individuali faticheremmo molto a comprendere che cosa accada,
che cosa avvenga esattamente in esse-.

Mi sembrò una risposta evasiva. -Ma come psicoterapeuta io ho il
compito di appurare perchè le persone fanno quel che fanno- dissi. Di
nuovo egli scoppiò in quella risata che affascina tanta gente: una
risata piena di humour e umanità, senz'ombra di affettazione e
imbarazzo, che inizia con un suono profondo e poi sale di parecchie
ottave esprimendo gioia allo stato puro.

-Credo sia assai difficile capire in che modo funzionino le menti
di cinque miliardi di individui- disse, sempre ridendo. -E'
un'impresa impossibile! Secondo l'ottica buddhista, sono molti i
fattori che incidono su qualsiasi evento o situazione... Anzi, a
volte i fattori in gioco sono così tanti, che non si può spiegare in
maniera esauriente cosa sta accadendo, perlomeno non in termini
convenzionali.-

Cogliendo il mio vago sconforto, precisò: -Per quanto riguarda la
comprensione dell'origine dei problemi, forse l'approccio occidentale
differisce sotto alcuni aspetti da quello buddhista. L'analisi degli
occidentali è fondata su una forte tendenza al razionalismo e sulla
convinzione che tutto si possa spiegare. Inoltre questa mentalità è
accentuata dal fatto che certi concetti vengono dati per scontati. Di
recente, per esempio, ho incontrato, in una facoltà di medicina,
alcuni dottori i quali, parlando della mente, affermavano che i
pensieri e i sentimenti sono il risultato di varie reazioni e
alterazioni chimiche dell'encefalo. Io allora ho chiesto a uno di
loro se fosse possibile concepire la sequenza inversa, nella quale il
pensiero generasse la serie di eventi chimici nel cervello. Mi ha
colpito molto la risposta che mi ha dato. -Noi- disse -partiamo dalla
premessa che tutti i pensieri siano prodotto o funzione delle
reazioni chimiche nel cervello.- E', in sostanza, una sorta di
rigidità: la precisa volontà di non mettere mai in discussione il
proprio modo di pensare-.

Si interruppe un attimo, quindi proseguì: -Ho l'impressione che
nell'odierna società occidentale la scienza abbia creato un forte
condizionamento culturale. Ma bisogna ammettere che in certi casi le
premesse e i parametri fondamentali della scienza limitano la capacità
di affrontare determinate realtà. Voi occidentali avete per esempio
un limite: l'idea che tutto si possa spiegare nel contesto di una
singola vita. E a ciò unite l'idea che tutto si possa comprendere e
giustificare. Quando però v'imbattete in un fenomeno che non siete in
grado di capire, diventate tesi, quasi angosciati-.

Benchè mi rendessi conto che c'era del vero in quanto affermava,
all'inizio faticai ad accettare il discorso. -Be'- dissi -quando si
trova davanti a comportamenti che all'apparenza sono difficili da
spiegare, lo psicologo occidentale usa determinati approcci per
comprendere che cosa stia accadendo. Per esempio assegna all'idea di
una parte inconscia o subconscia della mente un ruolo fondamentale.
Noi riteniamo che il comportamento sia a volte il risultato di
processi psicologici di cui non abbiamo consapevolezza conscia; basti
pensare ai casi in cui un soggetto agisce in un certo modo per
sfuggire a una paura di fondo che lo tormenta. Senza rendersene
conto, certe persone si comportano in un certo modo perchè non
vogliono lasciar affiorare alla superficie, cioè alla mente conscia,
quella paura, e perchè non vogliono accusare il disagio a essa
associato.-

Dopo aver riflettuto un attimo, Tenzin Gyatso disse: -Il buddhismo
teorizza che certi tipi di esperienza lascino in noi inclinazioni o
impronte, e il concetto è in qualche modo affine a quello di
inconscio della psicologia occidentale. In una parte precedente della
nostra vita, per esempio, può essersi verificato un evento che ha
prodotto nella mente un'impronta molto forte, la quale può restare
celata e in seguito influire sul comportamento. Dunque esiste l'idea
di qualcosa di inconscio, di queste tracce di cui si può non avere
consapevolezza conscia. In ogni caso, credo che il buddhismo possa
accettare molti dei fattori teorizzati dalla psicologia occidentale,
ma a questi ne aggiunge altri, come il condizionamento e le impronte
delle vite precedenti.

Ho però l'impressione che gli psicologi
occidentali tendano a enfatizzare troppo il ruolo dell'inconscio
quando cercano l'origine dei problemi. Forse ciò è dovuto ad alcuni
dei loro assunti di base: per esempio, essi non accettano l'idea che
vi siano tracce provenienti da un'esistenza passata. Nel contempo,
partono dal presupposto che tutto debba essere spiegato nell'arco di
tempo di una singola vita. Perciò, quando non riuscite a capire che
cosa causi certi comportamenti o problemi, tendete sempre ad
attribuire il fenomeno all'inconscio.

E' un po' come se aveste perso
un oggetto e foste convinti di poterlo trovare solo in una
determinata stanza. Partire da tale assunto significa fissare fin
dall'inizio certi parametri ed escludere la possibilità che l'oggetto
sia fuori della stanza o in un'altra. Così continuate a cercarlo e
cercarlo senza trovarlo, e benchè non lo troviate non smettete di
pensare che sia ancora lì, nascosto da qualche parte-.

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