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SCHEDA ARTICOLO N. «01903»

CLASSIFICAZIONE: 5
TIPOLOGIA: AFFINE
AUTORE: FONTE: CORRIERE.IT
TITOLO: PERCHE' SIAMO IRRAZIONALI CON I NOSTRI SOLDI?
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TESTO ARTICOLO

Perché siamo irrazionali con i nostri soldi

Da: Corriere.it

Le difficoltà a valutare rischi e benefici

La perdita di una somma, quale che sia, pesa nella nostra mente,
soggettivamente, assai più della vincita della stessa somma


Per meglio comprendere l'importanza e l'originalità di un lavoro scientifico
pubblicato ieri sul prestigioso The Journal of Neuroscience da otto
neuroscienziati cognitivi dell'Università San Raffaele di Milano, occorre
fare qualche passo indietro. È ovvio che contabili, ragionieri,
commercialisti e amministratori sempre calcolano il risultato finale di
guadagni e perdite mediante somme e sottrazioni. Un introito di 10 e una
perdita, o spesa, di 2, rappresentano un guadagno netto di 8. Le cose, però,
non vanno così nella nostra testa. Innumerevoli esperimenti di laboratorio e
una robusta teoria, chiamata «teoria del prospetto», che è valsa allo
psicologo cognitivo Daniel Kahneman il premio Nobel per l'economia nel 2002,
confermano che la perdita di una somma, quale che sia, pesa nella nostra
mente, soggettivamente, assai più della vincita di quella stessa somma.

Poniamo che al mattino ci si sia accorti di aver perso, non si sa come, 100
euro. Il nostro stato psicologico di sconforto non verrà veramente
cancellato anche se poi, nel pomeriggio, ci cadono dal cielo 100 euro
inaspettati. Per la maggioranza di noi, la bilancia soggettiva torna
all'equilibrio, cioè ritroviamo la serenità economica, per questa
particolare vicenda, solo se la somma piovuta dal cielo è tra 225 e 250
euro. In circa 35 anni di ricerche nelle scienze cognitive applicate
all'economia, questo dato, cioè un'asimmetria di un fattore tra 2,25 e 2,50
tra guadagni e perdite, è tra i più consolidati. Il fenomeno psicologico va
sotto il nome di «avversione alle perdite» ( loss aversion ). Si noti,
nessuno psicologo, nemmeno un premio Nobel, sarebbe autorizzato a criticarci
per il fatto che perdere denaro «fa male» e che vincere denaro, invece, «fa
bene». L'intoppo, cioè l'irrazionalità economica, si manifesta nella nostra
tendenza a rifiutare una scommessa nella quale c'è il 50% di probabilità di
perdere 10 e il 50% di guadagnare 15 o 18 o perfino 20. Eppure così siamo
fatti.

Le dinamiche dei mercati internazionali di investimenti, ritorni e
aspettative mostrano molti comportamenti poco razionali. Non è un caso,
quindi, che la ricerca del San Raffaele sulle basi cerebrali dell'avversione
alle perdite ha avuto il supporto finanziario della Schroders, il più grande
gruppo al mondo di fondi di investimento e risparmio gestito, con sede nella
City di Londra. Da alcuni anni si è cominciato, infatti, a sondare i
processi cerebrali fondamentali che sorreggono e producono le scelte (o le
non-scelte) economiche. Spiega uno dei principali autori del lavoro, Matteo
Motterlini, fondatore e direttore del Centro di ricerche Cresa di
psico-economia al San Raffaele: «Il nostro cervello non traffica con
guadagni-perdite allo stesso modo. Li tratta come fenomeni distinti. Non è
«progettato» per fare quello che vuole la teoria economica neoclassica, cioè
soppesare razionalmente la combinazione di probabilità, in particolare di
rischio, e rendimenti attesi. Il cervello non fa naturalmente tale tipo di
operazione, ma tratta il rendimento come anticipazione di guadagno - il
centro cerebrale responsabile è il nucleo accumbens -; e elabora il rischio
con altre aree, tipicamente aree della corteccia frontale e l'incertezza con
l'insula».

In ogni processo psicologico legato al timore, o addirittura alla paura,
spicca come protagonista un'area cerebrale molto antica chiamata amigdala.
La ritroviamo molto attiva, ora, anche nell'avversione alle perdite.
Recentemente un neuropsicologo italiano emigrato prima al California
Institute of Technology e poi all'University College a Londra, Benedetto de
Martino, ha esaminato due soggetti che avevano subito una lesione focale,
simmetrica e bilaterale all'amigdala. Tali pazienti fanno scelte economiche
diverse da voi e me. Uno di questi era incline a mosse economicamente
rischiose, mostrando un tipo inverso di irrazionalità. Il primo autore
dell'articolo, Nicola Canessa, ricercatore al Centro di Neuroscienze
cognitive del San Raffaele, spiega il coinvolgimento dell'amigdala
registrato nei (sanissimi) soggetti sperimentali: «Il sistema dopaminergico
si attiva per anticipare i guadagni e si deattiva per anticipare le perdite,
mentre un sistema - emotivo e somatosensoriale- centrato sull'amigdala si
attiva per le perdite e si deattiva per i guadagni. A parità di somma in
gioco, le risposte associate alle perdite sono più intense di quelle
associate alle vincite, e la forza di questa asimmetria, che varia da
persona a persona, riflette la propensione individuale all'avversione alle
perdite. Ma quest'ultima è anche correlata al volume di materia grigia
nell'amigdala.

Le differenze individuali nella dimensione dell'amigdala, invisibili a
occhio nudo, emergono con le analisi assai sofisticate che abbiamo
condotto». Canessa illustra anche la storia evolutiva di questo organello
cerebrale, simile a una mandorla: «L'amigdala è una struttura cerebrale
profonda, essenziale per le capacità di apprendere i pericoli intorno a noi,
riconoscerli e preparare l'organismo a una risposta, ad esempio - combatti o
scappa- . Oggi sappiamo che l'amigdala riconosce anche i possibili pericoli
insiti nelle nostre stesse azioni, e che la sua attivazione ci spinge, più
spesso di quanto sarebbe razionale, ad evitare di agire. Questo - freno- al
comportamento ci può salvare la vita, ma se non è a sua volta tenuto sotto
controllo ci impedisce di cogliere le opportunità offerte dall'ambiente».
Negli esperimenti i soggetti, tutti volontari, venivano posizionati
nell'apparato di risonanza magnetica funzionale ed erano liberi di accettare
o rifiutare, una dopo l'altra, numerose lotterie simili a un «testa o
croce».

Quelle accettate avrebbero portato a vincere o a perdere, con probabilità
50%, somme di denaro. Poiché queste somme variavano tra le diverse lotterie,
le scelte dei soggetti hanno consentito di stimare un indice individuale di
«avversione alle perdite» che rivela quanto ciascuno, nel prendere
decisioni, sovrastima il peso delle possibili conseguenze negative rispetto
a quelle positive. Questo indice è stato messo in relazione all'intensità
dell'attività cerebrale «anticipatoria» durante la scelta e al volume di
materia grigia nelle singole regioni cerebrali, in particolare quelle
cruciali per le emozioni, come l'amigdala. In altre parole, si sono misurate
le differenze individuali nell'avversione alle perdite e nella stima (direi
piuttosto il timore) del rischio. Motterlini è lapidario: «I presupposti
dell'economia della razionalità sono neurobiologicamente falsi o
irrealistici. Possiamo imparare a essere razionali nelle scelte economiche,
ma non lo siamo naturalmente, quando si attivano i processi automatici e in
larga parte inconsci. Ciò non può non avere conseguenze su come progettiamo
interventi di politica economica e sulle nostre istituzioni finanziarie».

L'autore senior del gruppo, il neurologo clinico e neuroscienziato cognitivo
Stefano Cappa, sottolinea: «Il nostro studio mette su basi solide la ricerca
sulle differenze individuali. Il futuro è la comprensione dei fattori
genetici, epigenetici e dell'apprendimento nel modulare i profili di
attivazione e la macro e micro anatomia e le loro conseguenze su scelte e
comportamenti: il tutto con misure obiettive». Per concludere, un piccolo
consiglio: se vi offrono una scommessa in cui si perde 10 ma si vince anche
solo 11 o 12 con la stessa probabilità, mettete a tacere la vostra amigdala
e accettate.

***

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