DEFINIZIONE:
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Termine avente il significato di "senza Dio". È la
definizione in cui rientrano quelle concezioni escludenti il ,ricorso al
principio teologico come causa prima e fondamentale del mondo, negando in varie
forme l’esistenza di un Dio. I teologi distinguono l’A. in due specie: · l’A.
pratico, proprio di chi, a prescindere da una ben definita visione del mondo, si
comporta come se Dio non esistesse, non tenendone assolutamente conto
nell’orientare le proprie azioni, improntate ad un criterio di moralità
puramente umana; e · l’A. teorico, che è negazione in sede filosofica
dell’esistenza di Dio. Quest’ultimo può essere di vari tipi, e si presenta in
modi differenziati. Ci sono · l’A. indiretto o negativo, che si basa
sull’indifferenza per il problema teologico; l’affermazione perentoria della non
esistenza di Dio, quasi una sorta di teologia rovesciata di segno negativo (· A.
dogmatico); la tendenza a confutare razionalmente le prove addotte per
dimostrare l’esistenza di Dio (· A., critico); l’inclinazione ad affermare
l’impossibilità di pervenire con tali prove ad un risultato capace di porsi in
termini di certezza e di verità (posizione scettica) nei confronti del problema
di Dio, visto come problema non suscettibile di soluzione, anche a causa delle
limitazioni umane in rapporto a tale scopo, la quale induce ad un atteggiamento
basato sull’agnosticismo. I teologi sono altresì inclini a considerare
cripto-atee tutte quelle concezioni religiose contemplanti l’esistenza di Dio in
termini inadeguati all’attributo necessario della sua onnipotenza, tali da
avvilirne la nozione. Attualmente è cambiato molto nella concezione delle chiese
cristiane nei confronti delle visioni atee, non più rigidamente condannate, ma
esaminate attentamente nello sforzo di cogliervi un’ispirazione tendenzialmente
religiosa inconsapevole d’essere tale. Negli ultimi anni è venuta sviluppandosi
una tendenza denominata · A. religioso, che identifica A. e cristianesimo, e
parla della morte di Dio come della fine giusta e necessaria di un certo modo di
concepire la divinità come qualcosa di nettamente staccato dall’esperienza
religiosa, che potrebbe ravvivarsi solo con una ripresa del cristianesimo, con
un rifarsi presente dell’esempio vivente del Cristo (negazione di un Dio padrone
cui ci si rivolge borghesemente, per ottenere favori). Questo A. religioso si è
concretato in forme di teologia radicale, trovando i suoi esponenti in Robinson,
van Buren, Altizer, Hamilton, Gollwitzer. Bonhoeffer e Cox. Nel corso della
storia del pensiero l’A. ha assunto varie configurazioni. Spesso, dal punto di
vista delle varie ortodossie ecclesiastiche, sono state definite A. visioni
metafisiche inclini a concepire l’assoluto in termini qualitativamente diversi
dalle forme prevalenti della teologia ufficiale. Non sono mancate accuse
reciproche di A. fra concezioni filosofiche la cui nozione dell’assoluto e del
divino si presentavano in modi diversi e contrastanti. L’A. è assente dalla
visione dei primitivi, nella quale mito e religione, convergendo insieme,
escludono il ricorso ad un pensiero critico tale da porre radicalmente in
discussione il principio stesso del divino. Religioni come il buddhismo (v.) ed
il giainismo (v.), e con esse varie forme del pensiero filosofico indiano, sono
state definite A., poiché in esse manca il ricorso ad un Dio creatore del mondo,
intesi come entità personale suprema a sé stante, distinta dalla vita
universale, che nel divino trova la sua causa prima. Nei Greci e nei Romani l’A.
è potenzialmente presente in determinate forme di pensiero a sfondo scettico e
materialista. L’accusa di A. rivolta al politeismo è scorretta, poiché
presuppone che l’unica forma possibile di teismo sia il monoteismo. I moderni
teologi delle varie confessioni cristiane ammettono l’inaccettabilità di tale
impostazione, essendo inclini a distinguere la negazione di Dio da forme
inadeguate di teismo, basate su una rivelazione puramente naturale che restano
comunque teistiche. La tradizione greca sfiora l’A. con l’atomismo (v.) di
Democrito, cui si rifanno Epicuro ed il poeta latino Lucrezio. Dichiaratamente
atea è la corrente di pensiero che prende le mosse dai sofisti, echeggiata da
Sesto Empirico. In un ambito consimile sono collocabili Diogene di Apollonia,
Diagora di Melo, Teodoro di Cirene (denominato l’ateo). Germi di A. sono
rilevabili nell’area del pensiero umanistico rinascimentale, mentre da Cartesio
(v.) trae origine una serie di tendenze, che sboccheranno parzialmente nel
materialismo ateo che è uno dei filoni dell’illuminismo settecentesco. Atei sono
pure i libertini del XVII e del XVIII secolo. L’illuminismo, che dal pensiero di
costoro trae non pochi spunti, si caratterizza, in senso materialistico ed
anti-religioso soprattutto in Francia, mentre altrove (come in Germania) assume
talvolta forme in cui si presenta incorporato ad una visione teologica. La
teologia cattolica considera atee le espressioni di pensiero proprie del
cosiddetto idealismo, cioè della filosofia classica tedesca (soprattutto il
pensiero di Hegel, mentre Kant è stato sbrigativamente considerato un
agnostico). Secondo tali teologi è ateo anche il panteismo (v.), che
contraddistingue di sé il pensiero rigorosamente monistico di Spinoza.
Esplicitamente atee, sia pure con diverse motivazioni, sono quelle grandi
correnti di pensiero, per certi versi affini, ma nello stesso tempo
profondamente contrastanti, che sono il marxismo ed il positivismo (v.). Anche
un certo esistenzialismo contemporaneo non ha esitato a definirsi ateo.
L’esponente più noto di tale tendenza è lo scrittore e filosofo Jean Paul
Sartre.
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