DEFINIZIONE:
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Denominazione impropria talvolta attribuita agli Aztechi (v.).
Augure: Presso le antiche popolazioni italiche e presso i Romani era
l’interprete del volere degli dei, che si rivelava per mezzo di segni dati
soprattutto dagli uccelli. In Roma gli A. erano considerati gli interpreti
ufficiali degli auspici di Stato. L’origine del collegio degli A. è attribuita a
Romolo, tuttavia venne organizzato da Numa, che ne portò i membri da tre a
cinque. A partire dal 300 a.C. gli A. divennero nove (Lex Ogulnia), quattro
patrizi e cinque plebei. Con Silla il numero dei membri del collegio salì a
quindici, con Cesare a sedici, crebbe in epoca imperiale, finché l’augurato
divenne una carica onorifica. L’elezione era a vita, e veniva fatta dal popolo
in base alla Lex Domitia de sacerdotibus (104 a.C.). Come segno distintivo gli
A. avevano la toga listata di porpora (trabea), ed un bastone ricurvo (lituus)
con il quale delimitavano gli spazi (templa) in cui si potevano osservare i
segni divini. Si riunivano alle none di ogni mese. Non erano celebranti del
rituale, ma interpreti dei segni inviati dagli dei. In periodo repubblicano
ebbero anche importanza politica. Cicerone (v.), definendo la loro funzione in
rapporto a quella dei pontefici, dice: «I pontefici presiedono gli atti sacri,
gli A. gli auspici». Questo significa che essi avevano la possibilità di
bloccare il funzionamento delle istituzioni politiche: per esempio, dichiarando
prima di un’elezione che gli dei erano irritati, facevano sì che lo scrutinio
non avesse luogo.
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