DEFINIZIONE:
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Nome di un libro dell’Antico Testamento, il cui autore usa lo
pseudonimo di Qobelet (o Cohelet) predicatore, definendosi figlio di David, re
di Gerusalemme, il che ha fatto attribuire il libro steso a re Salomone. Ma le
osservazioni dell’autore sulla decadenza amministrativa e sociale, e soprattutto
l’analisi della lingua, che appare assai posteriore e con influenze aramaiche,
ne pospongono la stesura al III secolo a.C. Vi si riconoscono inoltre aggiunte
posteriori, al fine di mitigare alcuni aspetti del libro. Si tratta di un’opera
pessimista, in cui si sostiene che l’esistenza non ha senso, né valore, e che
solo la morte pone fine alle sofferenze. Quindi i morti stanno meglio dei vivi,
e sarebbe meglio non essere nati. Sono concetti materialistici ed epicurei,
attenuati e poi risolti nel pensiero che il godimento della vita è dono di Dio,
che l’uomo deve rendere conto a Dio del suo operato, mentre è vano affannarsi
per irrangiungibili aspirazioni. Per la persistente attualità degli argomenti
trattati è uno dei libri più letti dell’Antico Testamento.
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