DEFINIZIONE:
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Pensatore ebreo di Alessandria (ca. 20 a.C.-ca. 45 d.C.). È il
principale esponente del giudaismo alessandrino. Della sua vita si hanno
pochissime notizie: di certo fu a Roma nel 39 d.C., per un’ambasceria presso
l’imperatore Caligola, al quale si chiedeva di cessare le persecuzioni contro
gli Ebrei. Molto noti i suoi scritti, tra cui un importante commento al Genesi
del Vecchio Testamento, una biografia di Mosé, vari commenti e trattati
filosofici (De ebrietate) e storico-apologetici (Apologia dei Giudei). Suo
obiettivo principale era di dimostrare l’identità di fondo tra la filosofia
greca e la religione ebraica, attraverso una lettura allegorica del Vecchio
Testamento, secondo il principio che Dio avesse ispirato ai profeti le stesse
verità poi scoperte dai filosofi. La sintesi che ne scaturisce, sulla base anche
dell’influenza di Mosé sui filosofi, è una posizione di carattere neoplatonico,
secondo cui Dio si può raggiungere solo attraverso una visione mistica (estasi),
mentre la ragione umana, parte di quella divina, può capire il rapporto tra Dio
ed il mondo: quest’ultimo si caratterizza attraverso la creazione divina delle
idee (logos), che costituiscono le forze agenti sulla materia, cioè attraverso
un processo graduale che in seguito avrà grandi sviluppi filosofici. Quanto al
concetto di Dio, F. lo intende secondo una prima formula trinitaria, quale
unione delle due potenze originarie (bontà e potere) con il logos.
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