DEFINIZIONE:
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Poeta e scrittore piemontese, il cui nome completo è Guido
Gustavo Gozzano, ma che si fece poi chiamare soltanto Guido. Nasce a Torino il
19 dicembre del 1883. Si iscrive alla facoltà di legge, ma non giunse mai a
laurearsi, preferendo interessarsi di letteratura seguendo all'università di
Torino i corsi di Arturo Graf insieme ad un gruppo di giovani, con cui
successivamente costituì il gruppo dei crepuscolari torinesi. Lo scrittore, di
salute malferma, non ebbe mai un lavoro fisso, ma partecipò alla vita culturale
e mondana della Torino di inizio secolo. Nel 1907 rivela la sua necessità di
rifugiarsi nella poesia rifuggendo le aspirazioni mondane, e pubblicando La via
del rifugio. Qui lontano da mire intellettualistiche, rivela la sua originalità
come nei due componimenti Le due strade e L'amica di nonna Speranza. Nello
stesso anno ha inizio la sua relazione con la scrittrice Amalia Guglielmetti, ma
andranno peggiorando le sue condizioni di salute che lo porteranno alla
tubercolosi. Nel 1911 appare il suo libro più importante, I colloqui, i cui
componimenti furono disposti in tre sezioni: Il giovanile errore, Alle soglie ed
Il reduce. Per tutto il corso della sua vita Gozzano collaborò a giornali e
riviste con recensioni letterarie, fiabe per bambini, (I due talismani 1914, La
principessa si sposa 1917) e varie novelle (L'altare del passato 1918, L'ultima
traccia 1919). Morì a Torino il 9 agosto 1916. Se il Gozzano sia stato o no
affiliato alla Massoneria è e rimane un interrogativo interamente senza risposta
anagraficamente certa. Talune sue sortite, certe sue confidenze del 1907
farebbero presumere che il poeta, a 24 anni, fosse piuttosto pervaso
dall’atmosfera naturalistica e positivistica, in quegli anni diffusa ovunque, e
del resto anche in vasti strati della stessa Massoneria italiana. In una lettera
del 10 giugno 1907 inviata ad Amalia Guglielminetti egli scrive: "Voglio essere
leale fin dagli inizi, come si usa fra mercatanti: io non sono un amico
spirituale; sono tutt’al più un mediocre interlocutore cerebrale. Non credo
nella psiche, e provo un profondo disprezzo per la mia e per la vostra anima,
alle quali non attribuisco maggior valore dell’energia che muove un lombrico e
della clorofilla che colorisce uno stelo d’erba". Le biografie massoniche
ufficiali presumono che Gozzano sia stato membro della R. L. "G. Bertarione"; ma
non se ne specificano mai né l’epoca né l’Oriente di appartenenza. Del resto
anche i più recenti scavi condotti nel tessuto del suo epistolario più intimo,
non hanno portato alla luce alcun segno, od accenno, o richiamo persuasivamente
rivelatore. Le risultanze degli ultimi saggi e studi monografici tuttavia, pur
muovendosi in questo campo estremamente mosso ed articolato, dimostrano che
qualche nuovo, interessante elemento di calcolo critico sta affiorando. Citiamo
innanzi tutto un saggio di Bruno Porcelli, il quale crede di individuare
nell’ambiente culturale torinese di fine 800 quella che egli definisce la
religiosità di Gozzano, insofferente sì ad ogni dogmatismo, ma "incline in egual
misura al misticismo francescano e buddhista". È un’affermazione che non si può
accogliere senza molte riserve. Carlo Vallini, amicissimo di Guido, nel poemetto
Il giorno (1907), inneggiava in quegli inni al Buddha, "al chiomato principe
ventenne", al "Perfetto Svegliato", al "Grande-poi che ogni impeto umano in sé
contenne". Ma lui, il giovane scettico dalla vita ambigua, dal cuore spento, se
pure disposto a vibrare di fraternità, non sentiva ancora a quel tempo il
fascino irresistibile dell’ignoto, e tanto meno quello del misticismo buddhista.
L’unica sua religione, in questa stagione letteraria de La vita del rifugio, è
solo quella dell’incredulità. Il meccanicismo di estrazione positivistica, se
pure già anelante ad una spiritualità di tipo pascoliano, non riesce a surrogare
in lui una fede che non esiste. Soltanto nel 1912, quando metterà piede sul
suolo indiano, venendo direttamente a contatto con il mondo fascinoso della
religione buddhista, Gozzano ne sentirà l’irresistibile attrazione, soprattutto
come esito spirituale ad una vita contemplativa ed ascetica. Ecco cosa scrisse
dall’India all’amico Bolognino il 13 marzo 1912: "Amo la religione buddhista. Se
potessi viver qui mi farei buddhista, allora imparerei a disprezzare questo
fragile corpo che solo mi dà noie e delle malinconie. Oh, questa vita di pura
contemplazione, questo solo sogno di vita ultraterrena, come dev’essere dolce!
Io che fui sempre uno scettico! Sarebbe anche bello diventare asceta. Forse
finirò la mia vita in completo ascetismo, e credo che la religione di Buddha mi
avrà portato a ciò".
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