DEFINIZIONE:
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Termine di derivazione provenzale avente il
significato di coppa. Nelle varie tradizioni G. significa: 1) una pietra
concava caduta dal Cielo in cui si sarebbe raccolto il sangue di Gesù, 2) un
anello di congiunzione tra Cielo e terra, 3) l’Oro dei filosofi. Secondo
l’Angebert (Il Libro della Tradizione, Ed. Mediterranee, 1980), "Coppa
leggendaria, crogiolo alchemico, libro della conoscenza, il G. sfugge ad ogni
definizione, poiché le comprende tutte. Ciò che è certo è l’esistenza d’un
"oggetto" dalle virtù straordinarie che, a partire da una certa epoca, sarebbe
misteriosamente scomparso. L’interpretazione più comune fa del G. una coppa,
di cui Gesù si servì nel corso dell’ultima cena, ed in cui Giuseppe d’Arimatea
raccolse poi il sangue del Salvatore, quello della ferita al fianco prodotta
dalla lancia del centurione Longino (episodio riferito nel Vangelo di
Nicodemo) ... Nel sangue risiede il principio dell’Immortalità fisica.
Trasformare il sangue in luce, ossia passare da un principio tellurico ad un
principio solare, è realizzare la trasmutazione dell’uomo su tutti i piani. La
stessa trasformazione operata da Gesù, divenuto Cristo glorioso, risorto per
ricongiungersi al Logos. Così, con l’atto di Giuseppe d’Arimatea le forze vive
della luce contenute nel sangue divino vennero attratte e concentrate in
essenza nel G., diventato sacro". Ancora l’Angebert sostiene l’origine
iperborea del culto della Coppa d’Oro, accennando alla considerazione che gli
antichi popoli nordici credevano che Iris (l’arcobaleno) attingesse con questa
l’acqua dello Stige, necessaria ai giuramenti degli dei. La coppa passò poi
agli Atlantidi, giacché Platone nel suo Timeo riferisce che essa serviva per
le libagioni religiose, introducendo il carattere sacro nel suo contenuto
impiegato nelle cerimonie magiche. Infatti Platone riferisce che i dieci
imperatori di Atlantide iniziavano le loro riunioni con il sacrificio di un
toro, il cui sangue veniva raccolto in una coppa. Lo zampillare del sangue,
simbolo della vita e del rinnovamento, determina il carattere sacro del
recipiente che lo contiene. É in questo che va vista l’origine occulta del G.,
che sarebbe quindi legato alla tradizione indoeuropea. Nella civiltà celtica,
i druidi (v.) rappresentavano la manifestazione di vita con una spirale che,
come il simile labirinto cretese, è sempre associata alla coppa od al vaso di
verità. Quel vaso celtico contiene il vino di verità, la bevanda d’immortalità
preparata dalla dea Corridwen, chiamata Greal. Ma il Greal-Graal, antenato del
sangue della Passione, non è la sola traccia della conoscenza del mistero del
G. presso i Celti. Infatti l’esame del tempio solare di Glastonbury (5.000
a.C.) non è che un gigantesco Zodiaco (v.) di un’antichità precristiana, che
comprende tutti gli elementi della più tarda ricerca del G. Sulla disposizione
di quest’immensa unità architettonica era basata quella della corte di re
Artù, luogo di partenza delle leggendarie avventure della Tavola Rotonda (v.),
la creazione di Crètien de Troyes. Più tardi, nel suo Parzifal, Wolfram von
Eschenbach trasforma la coppa in pietra preziosa, indicando che "Su un verde
smeraldo, essa portava il desiderio del Paradiso. Era l’oggetto che si chiama
il G.". Si tratta qui di una pietra piena di luce, portata in terra dagli
angeli del Cielo. Quindi non si tratta più di reliquie fisiche del sangue di
Cristo, ma di una forza spirituale. Tale conoscenza rivoluzionaria sarebbe
stata trasmessa all’autore da un certo Kyot (o Guyot), il quale "Nella polvere
di Toledo, trovò in aggrovigliata scrittura pagana (in arabo) la Leggenda che
raccoglie la somma di ogni leggenda". Quindi attraverso il Parzifal si arriva
alla conoscenza dell’oggetto G., che oscura il G. mitico, chiarendo che: 1) La
città di Toledo era sotto il dominio dei mori, ed era ritenuto il principale
centro d’osservazione del cosmo; 2) Si trattava di una gemma, di uno smeraldo,
incastrata nella fronte di Lucifero. Alla caduta di quell’arcangelo lo
smeraldo rotolò al suolo, fu recuperato dagli angeli e venne intagliato con
144 angoli, formandone una coppa. Fanno riferimento ad una pietra preziosa
altre culture e diversi culti, con modalità, descrizione e poteri del tutto
analoghi: l’Islam con la Ka’ba o Kaaba (v.), l’antico Egitto con gli attributi
di Osiride (v.). la civiltà Inca con il culto di Quetzalcoatl e quella Azteca
con i Chalchihuitl. Infine è interessante valutare la recente ipotesi che
identifica il G. con l’Arca dell’Alleanza (v.). Graham Hancock, nel suo libro
"Il Mistero del Sacro Graal" (Ediz. Piemme, Casale Mon.to, 1995) sostiene
infatti questa possibilità. Egli riferisce che secondo il Kebra Nagast, il
libro sacro ai falasha, gli ebrei etiopi, nel corso del X secolo a.C. Menelik,
figlio di re Salomone e della regina di Saba, avrebbe praticamente salvato
l'A. dalla profanazione babilonese trasportandola, attraverso rocambolesche
peripezie, proprio in Etiopia. Essa sarebbe tuttora gelosamente custodita nel
Sancta Sanctorum di in uno degli spettacolosi Templi monolitici, di molto
probabile costruzione templare, presenti nella zona, decorati con numerose
croci ansate (Croix pattèe), noto simbolo dei Cavalieri del Tempio. Si
troverebbe ad Axum, sotto la diretta custodia di un Nebura-ed, il capo dei
sacerdoti e guardiano dell'A., l'unico autorizzato e soprattutto in grado di
avvicinare l'A. senza subire danni fisici anche mortali. Ben protetta
all'interno di un Tempio dotato di torri e di merli, denominata Santa Maria di
Sion, essa ne uscirebbe soltanto in occasione della sacra festa popolare detta
Timkat, celebrata il 18 gennaio d'ogni anno. Taluni sostengono che in
processione non sarebbe portato l'originale dell'A., ma un talbot, una specie
di riproduzione delle Tavole della Legge, di cui esistono esemplari in tutte
le chiese etiopiche, nonché in una raffigurazione della regina di Saba
visibile sotto il porticato esterno settentrionale della famosissima
cattedrale gotica di Chartres, in Francia. Sono però molti ancora i possibili
nascondigli di questo eccezionale simbolo spirituale: 1) il castello di
Gisors; i Cavalieri Templari avevano stretto rapporti con la Setta degli
Assassini (v.), un gruppo iniziatico ismailita che adorava una misteriosa
divinità chiamata Baphomet . Per alcuni studiosi il Baphomet altro non era che
il Graal; prima di essere sgominati, gli Assassini lo avevano affidato ai
Templari, che lo avevano portato in Francia verso la metà del XII secolo; del
resto Wolfram aveva battezzato Templeisen i cavalieri che custodivano il Graal
nel castello di Re Anfortas. Se le cose fossero davvero andate così, ora il
Graal si troverebbe tra i leggendari tesori dei templari (mai rinvenuti) in
qualche sotterraneo del castello di Gisors; 2) a Castel del Monte; i Cavalieri
Teutonici, fondati nel 1190, erano in contatto sia con i mistici Sufi, una
setta islamica che adorava il Dio delle tre religioni, Ebraica, Islamica e
Cristiana, sia con l'illuminato Imperatore Federico II Hohenstaufen, a sua
volta seguace di quella dottrina. Tramite i Cavalieri Teutonici, i Sufi
avrebbero affidato il G. all'Imperatore, affinché lo preservasse dalle
distruzioni scatenate dalle Crociate. In tal caso, il G. si troverebbe a
Castel del Monte, un palazzo a forma di coppa ottagonale edificato apposta per
custodirlo. Wolfram sembra fornire un appoggio anche a questa tesi: nel suo
Parzifal aveva infatti evidenziato il legame tra le religioni cristiana,
ebraica e islamica: 3) a Takht-I-Sulaiman; alla voce Artù (v.)è descritta
l'ipotesi secondo la quale il Sovrano inglese era un rappresentante dello
Zoroastrismo. Ebbene, il Castello del G. descritto al solito da Wolfram Von
Eschenbach, è sorprendentemente simile a Takht-I-Sulaiman, il principale
centro del culto di Zoroastro. Qui, prima di venire dispersi e allontanati, i
seguaci di Zarathustra adoravano il simbolico Fuoco Reale, fonte della
conoscenza. Takht-I-Sulaiman potrebbe essere dunque la mitica Sarraz, da cui
il G. (il Fuoco Reale) giunse, a cui ritornò, e dove forse si trova ancora; 4)
il Castello di Montsegur (v.); dopo che il culto di Zoroastro era stato
disperso, alcune delle sue dottrine furono ereditate dai Manichei e, di
seguito, dai Catari o Albigesi (v.); questi ultimi erano giunti in Europa dal
Medio Oriente, passando per la Turchia e i Balcani, e si erano stabiliti in
Francia nel XII secolo. Nel 1244, dopo una lunga persecuzione da parte del
Papato e dei francesi, furono sterminati nella loro fortezza di Montsegur. Se
avessero portato con sé il G. durante le loro peregrinazioni, ora esso
potrebbe trovarsi insieme al resto del loro tesoro in qualche impenetrabile
nascondiglio del castello. È di nuovo Wolfram a fornire un indizio in
proposito: il Castello del Graal (quello simile a Takht-I-Sulaiman) si chiama
infatti Munsalvaesche, cioé Monte Salvato o Monte Sicuro. Negli anni '30 il
tedesco Otto Rahn, colonnello delle SS e autore di Crusade contre le Graale La
Cour de Lucifer, intraprese alcuni scavi a Montsègur ed in altre fortezze
catare, con l'appoggio del filosofo nazista Alfred Rosenberg, portavoce del
Partito e amico personale di Hitler. L'episodio fornì al romanziere Pierre
Benoit, già autore del celebre L'Atlantide, lo spunto per il romanzo
Monsalvat. 5) a Torino; importato forse dai pellegrini che si spostavano per
l'Europa durante il medioevo, o forse dai Savoia insieme alla Sacra Sindone,
il G. sarebbe giunto nel capoluogo piemontese. Le statue del sagrato del
tempio della Gran Madre di Dio, sulle rive del Po, indicano, a chi è in grado
di comprenderne la complessa simbologia, il nascondiglio attuale della Coppa;
6) a Bari; nel 1087, un gruppo di mercanti portò a Bari dalla Turchia le
spoglie di San Nicola, e in loro onore venne edificata una basilica. In realtà
la translazione del Santo era solo la copertura di un ritrovamento ben più
importante, quello del G. I mercanti erano in realtà cavalieri in missione
segreta per conto di Papa Gregorio VII. Il Pontefice era al corrente del
potere del Calice, ma non intendeva pubblicizzare la sua ricerca, né
l'eventuale ritrovamento, in quanto esso era un oggetto pagano, o comunque il
simbolo di una religione ancor più universale di quella cattolica. Gli premeva
di recuperarlo da Sarraz in quanto temeva che la sua presenza sul suolo turco
avrebbe aiutato i Saraceni (in questo caso i Turchi Selgiuchidi) nella loro
espansione ai danni dell'Impero Bizantino, e avrebbe nuociuto al programmato
intervento di forze cristiane in Terra Santa a difesa dei pellegrini, non è
dato di sapere dove si trovava la coppa (che, forse, era passata per le mani
di San Nicola nel VI secolo, e che gli avrebbe conferito la fama di
dispensatore d'abbondanza ) e chi comandò la spedizione; sta di fatto che, in
una chiesa sconsacrata di Myra, i cavalieri prelevarono anche alcune ossa, poi
ufficialmente identificate come quelle del Santo. Il recupero delle spoglie
giustificò la spedizione in Turchia e l'edificazione di una basilica a Bari;
la scelta di custodire il G. in quella città anziché a Roma fu determinata da
due motivi: da lì si sarebbero imbarcati i cavalieri per la Terra Santa (la
prima crociata fu bandita sei anni dopo il ritrovamento) ed il G. avrebbe
riversato su di loro i suoi benefici effetti; in più la sua presenza avrebbe
protetto Roberto il Guiscardo, Re normanno delle Puglie, principale alleato
del Papa nella lotta contro Enrico IV; a ricordo dell'avvenimento, sul portale
della cattedrale (edificata parecchi anni prima della divulgazione della
Materia di Bretagna) si trova l'immagine di Re Artù ed un'indicazione
stilizzata del nascondiglio; la tomba di San Nicola continua ad emanare un
liquido chiamato manna che, oltre a essere altamente nutritivo, come il G.
guarisce da ogni male.
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