DEFINIZIONE:
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Insieme dei contenuti e dei processi psichici che sono
impliciti in molti comportamenti dell’individuo motivandoli, rimanendo tuttavia
estranei e non noti alla sua coscienza. L’ipotesi dell’esistenza di una vita
psichica profonda, di cui per l’uomo protagonista non vi fosse un’effettiva
consapevolezza, riemerse periodicamente nell’evoluzione del pensiero fin dai
tempi della filosofia platonica. Occorre però arrivare ai primi dell’800, in
piena atmosfera romantica, perché nell’ambiente letterario e filosofico si trovi
un interesse più persistente e sistematico per un’impostazione dinamica della
vita psichica, e per l’esplorazione di attività psichiche inconsce. Nel 1846 il
Carus giunse a distinguere un I. assoluto, che identificava in una "regione
dell’anima in cui non penetra mai alcun raggio di coscienza", ed un I. relativo,
costituito da contenuti che un tempo sono stati coscienti. Verso la fine
dell’800, l’accentuarsi dell’interesse per i fenomeni medianici ed il primo
fiorire di ricerche scientifiche sull’argomento, portarono parallelamente a
conclusioni circa il supposto operare di una psichicità secondo modalità
incoscienti. Se si aggiungono gli studi sull’isteria di Charot, i risultati
delle applicazioni cliniche dell’ipnotismo di Liébault e Bernheim, si completa
il quadro della temperie culturale in seno alla quale, indipendentemente l’uno
dall’altro, Janet e Freud sarebbero giunti a definire e ad utilizzare più
ampiamente il concetto di I.: pervenendovi l’uno agli studi sull’automatismo
psicologico negli stati sonnambolici, l’altro dalle osservazioni condotte con
Breuer sugli effetti dell’ipnosi sulla sintomatologia isterica. Successivamente
questa intuizione, ulteriormente approfondita e verificata da Freud e dai suoi
allievi mediante particolari tecniche di osservazione e di studio su pazienti
nevrotici e su soggetti normali, divenne uno dei cardini della teoria e della
pratica psicoanalitiche , e contribuì al verificarsi di svolte decisive
nell’ambito di varie discipline, in particolare della psicologia e della
psichiatria, sia per quanto concerne le modalità di approccio allo studio della
personalità globale e delle singole funzioni psichiche, sia per i diversi
orientamenti applicativi che ne derivarono (psicodiagnostica, psicoterapia,
ecc.). Nelle definitive formulazioni freudiane di vita psichica, sia in
condizioni normali, sia in condizioni patologiche, appare comprendere contenuti
e processi di cui v’è consapevolezza ed altri inconsapevoli od inconsci.
Contenuti e processi inconsci in senso stretto sono considerati quelli che non
hanno in genere possibilità di giungere per sé stessi alla coscienza, senza che
intervengano trasformazioni particolari nell’individuo. Può trattarsi di
materiale non suscettibile di diventare consapevole o per sua natura (istinti),
o perché soggetto a rimozione; inoltre certi meccanismi difensivi, tra i quali
la rimozione stessa, risultano essi stessi inconsci, e possono essere colti e
descritti essenzialmente da un osservatore esterno. Tutti questi elementi
(immagini, rappresentazioni, pensieri, ricordi, emozioni, ecc.), pure non
consapevoli, ma suscettibili di un facile accesso alla coscienza, come
attraverso uno sforzo di attenzione, vengono considerati preconsci. L’I. può
dunque essere inteso come un deposito di elementi (concezione topica); ma anche
come un modo di essere di certi contenuti mentali, che pure in queste condizioni
non cessano peraltro di esercitare un’azione sulla vita cosciente; ed
addirittura come una particolare qualità del funzionamento mentale (prospettiva
dinamica). Quanto agli oggetti, secondo la teoria psicoanalitica,
rappresentazioni mentali, istinti o componenti parziali degli istinti,
sentimenti, meccanismi di difesa ed istanze morali, possono essere o diventare
I. La vita mentale inconscia appare governata da leggi in parte comuni, in parte
specifiche, rispetto a quelle che reggono lo psichismo cosciente. Tra i fatti
evidenti, per primi ed in quanto sottoposti alle tecniche di osservazione e di
interpretazione proprie della psicanalisi, hanno rivelato ruoli simbolici
profondi, ed hanno consentito quindi di gettare uno sguardo sulle modalità di
funzionamento dello psichismo inconscio, sono i sintomi nevrotici, i sogni e
numerose altre manifestazioni pure tipiche della nevrosi o della normalità, e
proprie della vita di veglia: come il lapsus linguae, le dimenticanze, gli atti
mancati, e certe fantasticherie. Una prova, di natura sperimentale, del concorso
di processi mentali inconsci nel determinare pensieri e comportamenti, viene
considerata il perdurare degli effetti di suggestione, in soggetti sottoposti ad
ipnosi (v.), anche durante lo stato post-ipnotico e senza che ve ne sia
l’autoconsapevolezza. Ulteriori caratterizzazioni dell’I., in rapporto a
contenuti tipici, sono state delineate da Jung, che nel cosiddetto I. collettivo
identifica la parte dell’I. comune alla specie umana, e composta di elementi od
immagini primordiali (archetipi, C.G. Jung, 1928, 1943). È da citare inoltre L.
Szondi (1937), che per I. familiare intende il complesso delle tende affettive,
a carattere ereditario recessivo, che possono motivare i rapporti interpersonali
(simpatia, antipatia, scelta del partner, ecc.). L’applicazione del concetto di
I. ha portato un innegabile contributo contenutistico e prospettico alla
psicologia generale, che nelle sue forme tradizionali, poteva considerarsi
prevalentemente una psicologia della coscienza, in quanto studio del
funzionamento mentale cosciente. Si è assistito addirittura ad una reversione di
prospettiva, nel senso che da parte di molti si è finito con il considerare la
coscienza come una caratteristica importante, ma non necessaria, delle
operazioni mentali, le quali possono anche essere del tutto inconsce. In ambito
percettivo, immaginario e pratico, una buona parte dei processi ed una certa
parte dei contenuti si collocano al di fuori del livello di coscienza: basti
ricordare i fenomeni della percezione subliminale; la dinamica delle illusioni,
degli atti produttivi e creativi (percezione, immaginazione, sogno), della
formazione di abitudini, della ritenzione mnestica, dell’elaborazione ed
attuazione di decisioni, dei fatti della vita emotiva ed in particolare
dell’ansia; i comportamenti espressivi; i comportamenti d’organo, o
comportamenti molecolari, ecc. In sostanza, l’esistenza dell’area dell’I. nella
vita psichica sembra rispondere funzionalmente a precise condizioni ed esigenze:
· mancanza di capacità necessarie per la presa di coscienza, in seguito ad un
differente orientamento evolutivo o ad un insufficiente sviluppo, come negli
animali, nel bambino, nel debole mentale, od in seguito a mancato apprendimento,
come nell’adulto delle culture occidentali, in riferimento a numerosi fenomeni
mentali, motori e neurovegetativi, per affermare consapevolmente i quali
occorrono specifici addestramenti, od in seguito a fatti regressivi, come
nell’invecchiamento ed in certe intossicazioni, allorché l’area della coscienza
si restringe; · rimozione dell’area della coscienza, in senso freudiano, avente
lo scopo di ridurre il carattere doloroso o semplicemente fastidioso di eventi
in forte conflitto con le regole sociali apprese o con esigenze edonistiche
della persona; · necessità di delimitare il campo dell’attenzione, concentrando
questa più sopra i risultati dei processi psichici che non sui loro preliminari
e sul loro decorso, ed anche focalizzando soprattutto quei contenuti che
maggiormente rispondono al momento funzionale attraversato dall’individuo. Tali
esigenze di economia operativa, per le quali l’individuo evita di avere
contemporaneamente presenti alla coscienza tutti i suoi contenuti e processi
mentali, vengono soddisfatte anche sostituendo concetti e simboli ad ampie
moltitudini di dati elementari, mediante i processi di costantizzazione
dell’esperienza, e di apprendimento, abitudine, automatizzazione delle azioni.
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