DEFINIZIONE:
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Fin dall’epoca dei suoi entusiasmi social-rivoluzionari,
Benito Mussolini si era battuto perché fosse proclamata l’incompatibilità tra
l’iscrizione al Partito Socialista Italiano e l’appartenenza alla Massoneria.
Prima venne proposta al Congresso di Bologna del 1904, e poi a quello di Reggio
Emilia del 1912, dove fu approvata. A spingere Mussolini a questa decisione
erano stati i rappresentanti dell’ala cattolico-nazionalista del partito, che
consideravano intermazionalisti tutti i massoni. Sopraggiungeva la prima guerra
mondiale, e la politica dell’interventismo fu patrimonio ed espressione di ambo
le obbedienze di Palazzo Giustiniani e di Piazza del Gesù, nate dalla scissione
del 1908, nel solco dell’ancor viva e diffusa filosofia azionista e mazziniana.
Entrambe furono indotte ad espressioni di simpatia iniziali nei confronti dei
Fasci di Combattimento. Molti uomini aderenti a quest’ultimo movimento erano
attivi massoni, come Italo Balbo, Giuseppe Bottai, Giacomo Acerbo e persino
Roberto Farinacci, ma fu un idillio di breve durata. Il G.O.I. lasciò ai propri
iscritti di sentimenti fascisti la "piena libertà di rompere i ponti con la
Massoneria", sostenendo che questi restavano comunque coerenti con l’amor patrio
loro inculcato in Loggia (delibera del 18 febbraio 1923). Invano Piazza del Gesù
offriva a Mussolini il brevetto di 33° Grado del suo R.S.A.A. La persecuzione
contro l’istituzione massonica in tutte le sue espressioni, scatenò dalla fine
del 1923 l’azione delle squadre d’azione fasciste, che devastarono tutte le sedi
massoniche, bruciandone archivi e preziose biblioteche. Nel maggio 1925 veniva
decretato lo scioglimento di tutte le società segrete, aprendo la caccia
indiscriminata al massone, culminata con la mortale bastonatura dello scrittore
spiritualista e uomo politico Giovanni Amendola. Prendendo a pretesto il
progetto d’attentato dell’on. Zaniboni contro Mussolini, sia il Gran Maestro del
G.O.I. Domizio Torrigiani che il generale Capello venivano accusati d’aver
finanziato il complotto. Ma nel 1927 poterono entrambi dimostrare la propria
ampia estraneità a quei fatti. Venivano entrambi comunque puniti: il Capello con
la condanna a trent’anni di reclusione (doveva scontarne solo dieci, data l’età
di 78 anni), e Torrigiani costretto per cinque anni al domicilio coatto a
Lipari: veniva liberato pochi giorni prima del termine della pena, in quanto
divenuto cieco e gravemente ammalato, per cui gli fu consentito di morire in
pace nella sua casa di Pistoia (31 agosto 1932). Non furono soltanto Capello e
Torrigiani i massoni perseguitati dal governo fascista. La legge contro le
società segrete aveva dimenticato tra i suoi obiettivi tre istituzioni di scarso
peso numerico, ma che potevano offrire una cornice organizzativa ed una base
simbolica di variegato valore: l’Ordine del tempio, l’Ordine Martinista ed il
Rito di Memphis-Misraim. Fu naturale che i fratelli esoteristi si avvalessero di
esse per mantenere in vita lo spirito massonico. Ci provarono soprattutto sia il
Reghini che l’Allegri, massimi responsabili di tali istituzioni, che furono
prodighi di ospitalità e protezione verso i confratelli delle obbedienze
disciolte. Questo sarebbe costato all’Allegri sia la carcerazione che il confino
(1928-29), ma egli non demordeva affatto dall’attività esoterica (v. "Tutti gli
uomini del Martinismo" di Gastone Ventura, pagg. 60-71, Ediz. Atanor, 1978).
Varie Logge operarono in esilio, restando all’obbedienza del disciolto G.O.I.,
sia in Francia e Svizzera che negli Stati Uniti. La fine del fascismo e della
seconda guerra mondiale (1945) vedeva la rinascita della massoneria italiana,
purtroppo però espressa da una ventina di diverse obbedienze, per lo più
accavallate in modo convulso, con un contorno di recriminazioni e di ambizioni
nettamente retoriche. Oggi tale numero si è più che dimezzato, ed il panorama
massonico nazionale si è sotto molti aspetti chiarito (v. "La Massoneria", di
Christian Jacq, Appendice di Alberto Cesare Ambesi, Ediz. Mursia, 1978)
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