DEFINIZIONE:
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Termine filosofico e religioso, derivato da mudoz, favola,
racconto, leggenda, con cui si indica l’enunciazione in forme irrazionali e
fantasiose di determinate verità morali, storiche, sociali e religiose. In senso
religioso il M. e un racconto favoloso di avvenimenti od avventure che hanno
come protagonisti personaggi divini, semidivini o sovrumani. Tale contenuto
distingue il M. dalla saga e dalla semplice favola. Il M. non è mai opera di in
individuo, ma di una collettività umana o di una società. In esso si esprimono
le tradizioni culturali, il patrimonio spirituale e religioso della comunità, ed
esiste solo nella tradizione vivente di questa. Spesso non è che la narrazione
rituale delle origini e delle leggi di una tribù. Determinante è il problema
dell’interpretazione del M., in quanto si distinguono in: · Interpretazioni
filosofiche, giù in auge nell’antichità (Varrone), che spiegano i M. in base al
significato etimologico dei nomi che in essi appaiono, o che studiano le
connessioni tra le mitologie di uno stesso ceppo linguistico (Mller); ·
Interpretazioni storiche, che cercano di individuare dietro la veste favolosa
l’enunciazione e la testimonianza di determinati eventi storici, sedimentati
nella tradizione (fondazioni di città, migrazioni di popoli, ecc.). Già usato
dagli storici antichi, ed in particolare da Erodoto, da Polibio, e dai Padri
della Chiesa, tale metodo venne teorizzato dalla scuola di K.O. Mller, e
divenne corrente nell’Ottocento; · Interpretazione naturalistica, che legge
dietro i personaggi e le figure del M. i simboli di elementi naturali e di
eventi fisici. Quest’ultima è la tendenza adottata dalla moderna scienza delle
religioni, ed è chiaramente ispirata allo scientismo positivistico. Per il
Petazzoni ad esempio, il M. sarebbe l’espressione favolosa di concezioni
cosmologiche prescientifiche. Queste interpretazioni hanno originato diverse
classificazioni dei M. in base sia al contenuto che al significato. Vengono così
distinti: · M. teoretici, che descrivono l’origine degli dei (v. Teogonia) o
degli uomini (Antropogonia), oppure danno ragione dei diversi fenomeni
astronomici e naturali (così in Oriente il ciclo delle stagioni viene
rappresentato dal dio che muore e risorge); · M. storici, che contengono un
nucleo di verità storica (come la fondazione di Roma); · M. etiologici, che
spiegano le origini di un rito (M. culturali), · il perché di una figurazione
(M. iconici), · o l’etimologia di un nome (M.M. etimologici). Più
filosoficamente importante è l’interpretazione del M. in rapporto al logos,
ovvero al discorso della verità. Si tratta di una problematica che affonda le
sue origini nella filosofia greca, confondendosi con le origini stesse della
filosofia. Nel periodo della filosofia presocratica, assistiamo ad una critica
di tipo razionalistico ed umanistico del M., che da Senofane giunge fino ai
Sofisti. Viene criticato l’antropomorfismo dei M. in Omero ed in Esiodo, e viene
riconosciuta l’origine umana della mitologia e della religione. Platone opera
invece una restaurazione del M. tradizionale, riconoscendone la peculiare
funzione filosofica, e mettendo in relazione M. e logos. Il M. assolve una
importante funzione logica, in quanto supera l’insufficienza della ragione in
rapporto a verità di ordine superiore e pratico, in quanto dotato di potere di
suggestione che incanta l’anima e la invita a correre il rischio della fede
(Fedone). Tuttavia esso resta ad un grado di conoscenza puramente verosimile nei
riguardi di queste verità trascendentali. Il rapporto del M. rispetto al logos è
insomma contemporaneamente di superiorità e di inferiorità. La concezione della
realtà come mimesi che permea il pensiero dell’ultimo Platone, tende infine a
spostare a favore del M. questo rapporto di equilibrio. Nel Timeo il filosofo
giunge a presentare la propria visione del mondo come un M. verosimile.
Aristotele polemizza con la concezione platonica del M., e lo identifica con la
favola, che la scienza deve sfatare seguendo un metodo rigorosamente razionale.
Nel Medioevo prevale l’interpretazione allegorica del M., come offuscamento
della verità di fede. Bacone resta ancora legato all’interpretazione allegorica,
mentre Cartesio, profeta di un nuovo razionalismo, relega il M. tra gli orpelli
poetici. Solo con il Vico, e soprattutto con l’idealismo romantico, ritroveremo
una rivalutazione filosofica del M: Per il Vico M., poesia e linguaggio sono
invenzioni storiche di un’umanità ancora legata ad uno stadio prelogico e
fantastico. Il M. non corrisponde alla storia, ma ne è la prima manifestazione.
Per Schlegel il M., in quanto manifestazione spontanea, è l’analogo della
spontaneità creatrice della natura, e costituisce l’essenza della poesia ingenua
degli antichi: la poesia moderna dovrà trovare i suoi miti nella filosofia
(idealismo). Suggestioni romantiche rivivono, ma con irrazionalistici e
naturalistici, in Nietzsche ed in Rosemberg: il M. diventa espressione dellla
volontà di potenza. All’opposto Sorè, che cerca di dare un’interpretazione
rivoluzionaria del M. (sciopero generale), in cui vede un’aspirazione collettiva
di gruppi e società storiche. La reazione all’irrazionalismo si esprime in una
svalutazione del M. come forma di pensiero opposto alla ragione. Per Paci il M.
è una falsa forma di fuga di fronte all’angoscia, che viene superata nella
dialettica del lavoro. Un ritorno alla posizione platonica è invece
riscontrabile in Cassirer, che postula una comune matrice simbolica tra M. e
pensiero razionale: il M. è una funzione simbolica che non si conosce come tale;
la matrice del M. è il sentimento, comune a M. e religione. Le interpretazioni
sociologiche di Durkheim riducono il M. ad una forma prelogica di pensiero,
corrispondente ad un livello di fusione animistica con la natura. La società è
invece l’origine del M. nelle interpretazioni più recenti di Malinowsky, per il
quale il M. è una giustificazione delle origini culturali di un gruppo: come
tale non è una forma di pensiero limitata ai primitivi, ma tende a riprodursi
nelle varie culture.
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