DEFINIZIONE:
|
Termine derivato dal greco monacoz, colui che vive da solo, proprio
del cristianesimo, che indica una forma di vita ascetica e religiosa solitaria,
estendendosi fino a comprendere quella comunitaria, nella quale la prima si è
spesso evoluta; ma con altri nomi. Il M. è fenomeno anche di altre religioni a
carattere salvifico, anteriori e posteriori al cristianesimo. In generale la
nascita e l’essenza del M. risiedono in una ricerca di santità e perfezione
individuali, mediante pratiche ascetiche, di cui la fondamentale e
caratterizzante è l’isolamento da un ambiente, culturale, storico o religioso,
giudicato come ostacolo, più o meno radicale, al processo di purificazione. Y
(M. cristiano): come forma perfetta dell’ideale evangelico, l’ascesi (povertà,
digiuno, astinenza e soprattutto verginità) fu praticata fin dalle origini da
quanti aspiravano a quell’ideale, ma l’istituzione della vita eremitica e
monastica risale al III-IV secolo, quando si sentì come imprescindibile la
volontà di mantenere vivo, in una Chiesa ormai necessariamente implicata con la
cultura secolare, il fondamentale distacco dal mondo proprio del cristianesimo.
All’ascetismo nel mondo si sostituì allora la vita ascetica lontana dagli
uomini, l’Anacoretismo (v.), che ebbe la sua culla nei deserti egiziani. È noto
dalle Vitae patrum, le biografie e le sentenze dei santi monaci, ed i suoi più
cospicui rappresentanti furono Sant’Antonio, la cui vita fu descritta da
Sant’Anastasio, Macario il Grande ed Evagrio Pontico. Al Cenobitismo, ovvero ad
una vita in comune governata da una regola che desse ordine più sistematico alle
norme emerse dall’esperienza anacoretica, provvide San Pacomio, che verso il 320
fondò un monastero a Tabennis, sul Nilo, e portò presto a nove i monasteri
maschili ed a due quelli femminili. La sua regola fu assai importante, anche per
gli influssi sul M. occidentale. Uguali sviluppi ebbe il M. in Palestina (Santi
Barione, Caritone, Epifanio, Girolamo e Paola), in Siria (i Figli del Patto, gli
Anacoreti, i Santi Giacomo di Nisidi, Efrem e Nimo), in Persia ed in Armenia,
ove il M. ebbe tuttavia come fonte principale San Basilio (330-379 ca.). Questi
fu il grande ordinatore del M. orientale: le sue Regulae trovarono subito
diffusione in tutto l’Oriente, ove sono tutt’oggi fondamento della vita
monastica ortodossa e cattolica, ed anche in Occidente, ove influenzò persino la
regola benedettina, e conobbe notevole diffusione in monasteri meridionali, dopo
la fuga di monaci greci a causa delle invasioni persiana ed araba, e della lotta
per le immagini (v. iconoclastia). Dopo San Basilio, ebbe grande importanza,
come riformatore ed integratore della regola, San Teodoro (VIII-IX secolo),
detto Studita dal celebre monastero di Studion in Costantinopoli. In Oriente
fiorirono altre forme di M., come quelle degli Stiliti, dei Rinchiusi, dei
Pabulatores, dei Sarabaiti, dei monaci girovaghi. In Occidente il M. cenobitico
si diffuse ben presto, fin dal IV secolo, in seguito all’influsso
dell’esperienza orientale, che si fece sentire come determinante soprattutto
nella fase prebenedettina. In Italia la vita ascetica in comune ricevette forte
impulso a Roma, ove nel 341 giunse Sant’Atanasio, e dove nel V-VI secolo si
contavano già sedici monasteri, a Vercelli (Sant’Eusebio), a Milano
(Sant’Ambrogio) ed in altre località. In Gallia ebbero importanza San Martino di
Tours (monastero di Marmoutier), Sant’Onorato (monastero di Lerins) e Giovanni
Cassiano (monastero di San Vittore di Marsiglia), autore di opere ascetiche
molto lette nel Medioevo. In Africa Sant’Agostino (v.), monaco prima di
diventare vescovo, promosse la vita in comune tra i chierici, e lasciò delle
direttive monastiche che sono tuttora la base di diverse istituzioni
ecclesiastiche: Altro nome notevole del M. africano fu Fulgenzio di Ruspe.
Pullulante di monasteri fu l’Inghilterra, a partire dal V secolo, e più ancora
l’Irlanda, ove il M. si identificò praticamente con la stessa organizzazione
ecclesiastica e civile. Famoso fra tutti il monastero irlandese di Bangor, donde
nel 590 i Santi Colombano e Gallo partirono verso l’Europa continentale, ove
diedero origine tra gli altri ai monasteri di Luxeil, San Gallo e Bobbio. Ma nel
VI secolo alla mancanza di una regola occidentale, a cui si era sopperito con le
regole orientali o con quelle occidentali ad esse ispirate (di Agostino,
Onorato, Cesario e soprattutto Cassiano), od infine con l’iniziativa personale
dei singoli abati, provvide San Benedetto. La sua regola, costruita per
l’Occidente con rare doti di equilibrio, e forte dell’esperienza orientale, si
diffuse in pratica in tutto l’Occidente, favorite dall’autorità ecclesiastica,
in primo luogo da San Gregorio Magno, e soppiantò nella grande maggioranza dei
monasteri le regole precedenti, ed anche quella posteriore di San Colombano.
Secondo fondatore del M. benedettino può considerarsi il riformatore San
Benedetto di Aniane (m. 821), che provvide a frenare il processo di
secolarizzazione dei beni ecclesiastici. Altra riforma importante del M.
benedettino fu quella poi avviata nel X secolo a Cluny, affiancata da altre meno
estese (Brogne, Gorze, San Benigno di Digione, Cava ed Hirsau). Successive
riforme furono quelle dell’XI secolo: Camaldolesi, Vallombrosani, Certosini e
Cisterciensi, cui nel XIII secolo seguirono i Silvestrini e nel XIV secolo gli
Olivetani, che assunsero tutti fisionomie proprie e particolari. Y (M. indiano):
Tra le forme monastiche non cristiane, merita speciale considerazione quella
indiana, che si diffuse in tutta la zona NE dell’Asia fino alla Mongolia ed al
Giappone, dove influenzò e si fuse con religioni e culture locali anteriori. Le
sette o scuole, assai numerose, ebbero linee di sviluppo diverse, ma tutte
furono accomunate dal costante rifiuto del mondo, e dall’accettazione di una
regola nonché da una pratica ascetica di vita. Nell’India antica il M. fu una
reazione all’evoluzione vagamente ritualistica del sacerdozio brahmanico, e
manifestò insieme il desiderio di recuperare spazi liberi come simbolo di una
realtà al di fuori della cultura. I monaci, che venivano definiti uomini delle
selve, conducevano una vita eremitica, talvolta pellegrinante, quasi sempre
solitaria o temporaneamente associata, come nella convivenza con un maestro
(guru), ed occasionalmente con condiscepoli agli inizi della vita monastica
stessa, o durante periodi stabiliti per la pratica comunitaria di particolari
tecniche salvifiche (yoga). I nomi attribuiti al monaco ne indicano le qualità
tipiche: "quello che ha rinunciato, che domina le passioni, che ha dato via gli
averi, che si è consacrato, mendicante", ecc. Una linea di sviluppo più
stabilmente cenobitica fu invece caratteristica del giainismo (v.) e del
buddhismo (v.). Nell’ambito di quest’ultimo i monaci itineranti, dal IV secolo
più o meno unificati, nell’indirizzo prevalente della dottrina Hinayana,
portarono il buddhismo fino alla Cina ed al Giappone dove, misto ad elementi di
religione locale, diede origine al taoismo ed allo zen, con i loro tipi di vita
monastica conventuale aperta alla esigenze di vita ascetica solitaria. Accanto a
quelli nominati, va notata in India la presenza dei monaci Sikh, organizzati in
sette di tipo gerarchico militare con forti influssi del M. islamico. Y (M.
ebraico e giudaico): I testi sacri sono tendenzialmente contrari a forme
ascetiche, considerato che il corpo umano è immagine di Dio, cosicché le prime
pratiche ascetiche (naziret) ebbero soprattutto carattere magico propiziatorio.
La prima vera forma di M. risale agli Esseni (v.) ed ai Qumraniti (v. Qumran),
che si separarono dall’Ebraismo (v.) ufficiale per ritirarsi a vivere nel
deserto, da soli od in comunità. Si sviluppò poi, includendo elementi di
filosofia greca (p. es. la condanna del corpo come carcere dello spirito), nel
Giudaismo alessandrino di Filone, con la ricerca della solitudine per soddisfare
le prevalenti esigenze contemplative (v. Terapeuti). In era maccabaica gli
Hasidim intesero applicare integralmente la Legge, e praticarono una severa
ascesi, ma senza precludersi la vita coniugale. Dal Medioevo in poi nel M.
giudaico entrarono progressivamente motivi del M. cristiano, a cui va ricondotta
l’accettazione di quelle forme di penitenza, anche molto rigorosa, che erano
state prima rifiutate. Y (M. manicheo): Non privo di tratti buddhisti, cristiani
e zoroastriani, rappresentò all’interno della società la casta degli Eletti,
tenuta a particolari obblighi, quali la povertà, la verità, l’ossequio alla
religione, le pratiche ascetiche, tra le quali il digiuno minimo di 50 giorni
l’anno, nessuna cura per il corpo, e preghiera come occupazione principale. Y
(M. islamico): Subì grosse influenze da parte del M. cristiano e di quelli
orientali. Fu caratterizzato dal nomadismo, pur non essendo privo di forme
conventuali. A parte manifestazioni non trascurabili nell’Arabia preislamica,
esso si impose anche sull’Islamismo come bisogno di rinnovare individualmente
(Sufi dal 750 ca.) e poi collettivamente (Dervisci dal XII secolo) le strutture
religiose e politiche ufficiali. Notevoli le difficoltà alla sua nascita, dato
che il Corano proibisce i rapporti diretti con Dio, e tende a condannare il M.
Vi furono praticate ascesi mortificanti, rinunzie, sopportazione dei mali.
Allorché fu assorbito dall’ortodossia, il Sufismo si evolse nelle organizzazioni
dei Dervisci, provviste di un capo e di tutta una complessa trama di funzionari.
|