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SEZIONE: « DIZIONARIO ESOTERICO »

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DIZIONARIO ESOTERICO SCHEDA N. «01357»

TERMINE: MONACHESIMO
DEFINIZIONE:

Termine derivato dal greco monacoz, colui che vive da solo, proprio del cristianesimo, che indica una forma di vita ascetica e religiosa solitaria, estendendosi fino a comprendere quella comunitaria, nella quale la prima si è spesso evoluta; ma con altri nomi. Il M. è fenomeno anche di altre religioni a carattere salvifico, anteriori e posteriori al cristianesimo. In generale la nascita e l’essenza del M. risiedono in una ricerca di santità e perfezione individuali, mediante pratiche ascetiche, di cui la fondamentale e caratterizzante è l’isolamento da un ambiente, culturale, storico o religioso, giudicato come ostacolo, più o meno radicale, al processo di purificazione. Y (M. cristiano): come forma perfetta dell’ideale evangelico, l’ascesi (povertà, digiuno, astinenza e soprattutto verginità) fu praticata fin dalle origini da quanti aspiravano a quell’ideale, ma l’istituzione della vita eremitica e monastica risale al III-IV secolo, quando si sentì come imprescindibile la volontà di mantenere vivo, in una Chiesa ormai necessariamente implicata con la cultura secolare, il fondamentale distacco dal mondo proprio del cristianesimo. All’ascetismo nel mondo si sostituì allora la vita ascetica lontana dagli uomini, l’Anacoretismo (v.), che ebbe la sua culla nei deserti egiziani. È noto dalle Vitae patrum, le biografie e le sentenze dei santi monaci, ed i suoi più cospicui rappresentanti furono Sant’Antonio, la cui vita fu descritta da Sant’Anastasio, Macario il Grande ed Evagrio Pontico. Al Cenobitismo, ovvero ad una vita in comune governata da una regola che desse ordine più sistematico alle norme emerse dall’esperienza anacoretica, provvide San Pacomio, che verso il 320 fondò un monastero a Tabennis, sul Nilo, e portò presto a nove i monasteri maschili ed a due quelli femminili. La sua regola fu assai importante, anche per gli influssi sul M. occidentale. Uguali sviluppi ebbe il M. in Palestina (Santi Barione, Caritone, Epifanio, Girolamo e Paola), in Siria (i Figli del Patto, gli Anacoreti, i Santi Giacomo di Nisidi, Efrem e Nimo), in Persia ed in Armenia, ove il M. ebbe tuttavia come fonte principale San Basilio (330-379 ca.). Questi fu il grande ordinatore del M. orientale: le sue Regulae trovarono subito diffusione in tutto l’Oriente, ove sono tutt’oggi fondamento della vita monastica ortodossa e cattolica, ed anche in Occidente, ove influenzò persino la regola benedettina, e conobbe notevole diffusione in monasteri meridionali, dopo la fuga di monaci greci a causa delle invasioni persiana ed araba, e della lotta per le immagini (v. iconoclastia). Dopo San Basilio, ebbe grande importanza, come riformatore ed integratore della regola, San Teodoro (VIII-IX secolo), detto Studita dal celebre monastero di Studion in Costantinopoli. In Oriente fiorirono altre forme di M., come quelle degli Stiliti, dei Rinchiusi, dei Pabulatores, dei Sarabaiti, dei monaci girovaghi. In Occidente il M. cenobitico si diffuse ben presto, fin dal IV secolo, in seguito all’influsso dell’esperienza orientale, che si fece sentire come determinante soprattutto nella fase prebenedettina. In Italia la vita ascetica in comune ricevette forte impulso a Roma, ove nel 341 giunse Sant’Atanasio, e dove nel V-VI secolo si contavano già sedici monasteri, a Vercelli (Sant’Eusebio), a Milano (Sant’Ambrogio) ed in altre località. In Gallia ebbero importanza San Martino di Tours (monastero di Marmoutier), Sant’Onorato (monastero di Lerins) e Giovanni Cassiano (monastero di San Vittore di Marsiglia), autore di opere ascetiche molto lette nel Medioevo. In Africa Sant’Agostino (v.), monaco prima di diventare vescovo, promosse la vita in comune tra i chierici, e lasciò delle direttive monastiche che sono tuttora la base di diverse istituzioni ecclesiastiche: Altro nome notevole del M. africano fu Fulgenzio di Ruspe. Pullulante di monasteri fu l’Inghilterra, a partire dal V secolo, e più ancora l’Irlanda, ove il M. si identificò praticamente con la stessa organizzazione ecclesiastica e civile. Famoso fra tutti il monastero irlandese di Bangor, donde nel 590 i Santi Colombano e Gallo partirono verso l’Europa continentale, ove diedero origine tra gli altri ai monasteri di Luxeil, San Gallo e Bobbio. Ma nel VI secolo alla mancanza di una regola occidentale, a cui si era sopperito con le regole orientali o con quelle occidentali ad esse ispirate (di Agostino, Onorato, Cesario e soprattutto Cassiano), od infine con l’iniziativa personale dei singoli abati, provvide San Benedetto. La sua regola, costruita per l’Occidente con rare doti di equilibrio, e forte dell’esperienza orientale, si diffuse in pratica in tutto l’Occidente, favorite dall’autorità ecclesiastica, in primo luogo da San Gregorio Magno, e soppiantò nella grande maggioranza dei monasteri le regole precedenti, ed anche quella posteriore di San Colombano. Secondo fondatore del M. benedettino può considerarsi il riformatore San Benedetto di Aniane (m. 821), che provvide a frenare il processo di secolarizzazione dei beni ecclesiastici. Altra riforma importante del M. benedettino fu quella poi avviata nel X secolo a Cluny, affiancata da altre meno estese (Brogne, Gorze, San Benigno di Digione, Cava ed Hirsau). Successive riforme furono quelle dell’XI secolo: Camaldolesi, Vallombrosani, Certosini e Cisterciensi, cui nel XIII secolo seguirono i Silvestrini e nel XIV secolo gli Olivetani, che assunsero tutti fisionomie proprie e particolari. Y (M. indiano): Tra le forme monastiche non cristiane, merita speciale considerazione quella indiana, che si diffuse in tutta la zona NE dell’Asia fino alla Mongolia ed al Giappone, dove influenzò e si fuse con religioni e culture locali anteriori. Le sette o scuole, assai numerose, ebbero linee di sviluppo diverse, ma tutte furono accomunate dal costante rifiuto del mondo, e dall’accettazione di una regola nonché da una pratica ascetica di vita. Nell’India antica il M. fu una reazione all’evoluzione vagamente ritualistica del sacerdozio brahmanico, e manifestò insieme il desiderio di recuperare spazi liberi come simbolo di una realtà al di fuori della cultura. I monaci, che venivano definiti uomini delle selve, conducevano una vita eremitica, talvolta pellegrinante, quasi sempre solitaria o temporaneamente associata, come nella convivenza con un maestro (guru), ed occasionalmente con condiscepoli agli inizi della vita monastica stessa, o durante periodi stabiliti per la pratica comunitaria di particolari tecniche salvifiche (yoga). I nomi attribuiti al monaco ne indicano le qualità tipiche: "quello che ha rinunciato, che domina le passioni, che ha dato via gli averi, che si è consacrato, mendicante", ecc. Una linea di sviluppo più stabilmente cenobitica fu invece caratteristica del giainismo (v.) e del buddhismo (v.). Nell’ambito di quest’ultimo i monaci itineranti, dal IV secolo più o meno unificati, nell’indirizzo prevalente della dottrina Hinayana, portarono il buddhismo fino alla Cina ed al Giappone dove, misto ad elementi di religione locale, diede origine al taoismo ed allo zen, con i loro tipi di vita monastica conventuale aperta alla esigenze di vita ascetica solitaria. Accanto a quelli nominati, va notata in India la presenza dei monaci Sikh, organizzati in sette di tipo gerarchico militare con forti influssi del M. islamico. Y (M. ebraico e giudaico): I testi sacri sono tendenzialmente contrari a forme ascetiche, considerato che il corpo umano è immagine di Dio, cosicché le prime pratiche ascetiche (naziret) ebbero soprattutto carattere magico propiziatorio. La prima vera forma di M. risale agli Esseni (v.) ed ai Qumraniti (v. Qumran), che si separarono dall’Ebraismo (v.) ufficiale per ritirarsi a vivere nel deserto, da soli od in comunità. Si sviluppò poi, includendo elementi di filosofia greca (p. es. la condanna del corpo come carcere dello spirito), nel Giudaismo alessandrino di Filone, con la ricerca della solitudine per soddisfare le prevalenti esigenze contemplative (v. Terapeuti). In era maccabaica gli Hasidim intesero applicare integralmente la Legge, e praticarono una severa ascesi, ma senza precludersi la vita coniugale. Dal Medioevo in poi nel M. giudaico entrarono progressivamente motivi del M. cristiano, a cui va ricondotta l’accettazione di quelle forme di penitenza, anche molto rigorosa, che erano state prima rifiutate. Y (M. manicheo): Non privo di tratti buddhisti, cristiani e zoroastriani, rappresentò all’interno della società la casta degli Eletti, tenuta a particolari obblighi, quali la povertà, la verità, l’ossequio alla religione, le pratiche ascetiche, tra le quali il digiuno minimo di 50 giorni l’anno, nessuna cura per il corpo, e preghiera come occupazione principale. Y (M. islamico): Subì grosse influenze da parte del M. cristiano e di quelli orientali. Fu caratterizzato dal nomadismo, pur non essendo privo di forme conventuali. A parte manifestazioni non trascurabili nell’Arabia preislamica, esso si impose anche sull’Islamismo come bisogno di rinnovare individualmente (Sufi dal 750 ca.) e poi collettivamente (Dervisci dal XII secolo) le strutture religiose e politiche ufficiali. Notevoli le difficoltà alla sua nascita, dato che il Corano proibisce i rapporti diretti con Dio, e tende a condannare il M. Vi furono praticate ascesi mortificanti, rinunzie, sopportazione dei mali. Allorché fu assorbito dall’ortodossia, il Sufismo si evolse nelle organizzazioni dei Dervisci, provviste di un capo e di tutta una complessa trama di funzionari.

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