DEFINIZIONE:
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Teologo di lingua greca (183-254), allievo di Clemente Alessandrino,
che riorganizzò il Didascaleion di Alessandria. Si stabilì poi a Cesarea, in
Cappadocia, dove fondò la sua scuola. Della sua immensa produzione letteraria
ricordiamo i Commenti a Giovanni e Matteo, alcune omelie, un'opera Contro Celso,
compendio di teologia che ebbe grande importanza nell'Oriente cristiano,
influenzando anche i Padri della Chiesa, l'Esortazione al martirio e Sulla
Preghiera, tutte redatte in greco. In versione latina ci è invece giunta la sua
opera filosofica maggiore, il De Principiis. Di tendenze eclettiche, come
esegeta della Bibbia produsse il suo lavoro più importante con l'Hexapia. Il suo
pensiero abbraccia i massimi problemi attorno a cui si andava formando la
filosofia cristiana, che egli elabora sotto l'influenza delle dottrine
platoniche e neoplatoniche, riprese in larga misura. Alcune sue dottrine sul
logos, concernenti la preesistenza e la reincarnazione delle anime, nonché
l'incertezza sull'indispensabilità all'ordine morale dell'universo della
risurrezione del corpo fisico, furono condannate aspramente nel corso del quinto
Concilio Ecumenico, tenutosi a Costantinopoli nell'anno 553. Fu questa
un'assemblea di vescovi della Chiesa, abilmente manovrata dall'imperatore
Giustiniano contro la volontà dello stesso papa Vigilio, che emise ben quindici
diversi anatemi contro O., introducendo invece il nuovo dogma sulla resurrezione
della carne. O. morì in seguito alle torture subite nel corso della persecuzione
ordinata dall’imperatore Decio.
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