DEFINIZIONE:
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Religioso spagnolo (cTreviri, 385), vescovo di Avila, che sostenne
fin dal 370 d.C. un’eresia diffusasi in tutta la Spagna ed in Aquitania.
Perseguitato da Idazio ed Itacio, P. fu infine condannato a morte per magia,
assieme a sei seguaci, dall’usurpatore imperiale Massimo (385). L’esecuzione,
riprovata anche da Sant’Ambrogio e da San Martino di Tours, non spense l’eresia
che, attraverso varie condanne conciliari, sopravvisse nella sola Spagna con i
Priscillanisti, fino al concilio di Braga (563). Oltre alle opere di Orosio e di
Sant’Agostino (v.), nonché agli atti conciliari, sono giunti fino a noi vari
scritti priscillanisti, tra i quali i deludenti 11 Trattati, i Canones in Pauli
apostoli epistulas e, più interessante, il De Trinitate fidei catholicae. Per
l’oscurità delle fonti, l’eresia resta di difficile valutazione: era soprattutto
caratterizzata dall’esoterismo e dall’ascetismo, con tendenze gnostiche e
manichee; considerava il Cristo un’emanazione divina, e la materia una creazione
di Satana. Negava in assoluto, come irrazionale, il principio dogmatico della
resurrezione della carne, adottato dalla Chiesa cattolica nel corso del quinto
Concilio Ecumenico, tenutosi a Costantinopoli nell'anno 553 (v. Origene).
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