DEFINIZIONE:
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Termine identificante la tendenza dell’essere umano a mettersi in
evidenza per attirare l’attenzione altrui, onde originare lodi che soddisfino la
propria ambizione. É soprattutto tipica dei bambini allorché si trovano in
compagnia di adulti, quando si sentono esclusi dall’interesse dei presenti, per
cui arrivano ad assumere atteggiamenti anche inconsueti od a compiere azioni
spesso per loro del tutto anomale, tendenti a riportarli nella condizione
prediletta. Assume la caratteristica di vizio allorché tale tendenza,
assolutamente priva di valide motivazioni, viene a caratterizzare il modo
d’essere di un adulto quando si trova tra i suoi simili, in più o meno ampi
gruppi sociali. Sia nel caso del fanciullo che in quello dell’adulto, la base di
tale atteggiamento resta comunque la stessa. Nei casi in cui la tendenza diventa
fenomeno individuale sistematico, sempre assunto spontaneamente per
insopprimibile desiderio di stupire il prossimo attirandone l’attenzione, allora
è interpretabile come eccessiva ed irragionevole espansione dell’ego, e può
assumere proporzioni socialmente odiose e moralmente condannabili, in quanto
ingiustificate e non certo amichevoli, rappresentando un vero e proprio
oltraggio all’intelligenza altrui. Y (Massoneria) Nell’ambito della Loggia va
evitata la cosiddetta critica, come qualsiasi giudizio od addirittura censura,
espressa nei confronti di azioni od espressioni di Fratelli: specie nel corso
dei consueti Lavori rituali in camera d’Apprendista, è accettabile solo il
confronto di opinioni, magari opposte, mai le prese di posizione finalizzate
alla condanna morale di un Fratello per qualcosa che ha fatto oppure detto.
Eventuali dispute tra Fratelli vanno risolte solo all’esterno del Tempio, con
mediatore unico il Maestro Venerabile della Loggia. Come ogni "vizio" non può
che essere condannato e combattuto in un’assemblea che aspiri alla costituzione
di un’armonia costruttiva, nell’ambito della quale sia consentita la
realizzazione di una fraterna e veramente libera palestra di opinioni a
confronto, quale intende essere una buona Loggia di Liberi Muratori. In tale
ambito il P. si manifesta con interventi inopportuni, o con l’esposizione di
Tavole copiate e fatte proprie dall’oratore di turno, oppure con l’inopportuna
citazione di termini altisonanti, anche ad effetto, spesso però fuori luogo, che
sono quasi sempre incompresi da chi li cita e perlomeno fraintesi da chi li
ascolta. Il P. può anche rappresentare un tentativo di coercizione; è di norma
originato da un complesso d’inferiorità, oppure dalla volontà di porsi allo
stesso livello di quanti sappiano meglio esporre argomenti pregni di cultura e
saggezza. Non è da considerarsi P. qualsiasi azione intrapresa per disposizione
o delega del Maestro Venerabile, oppure l’esposizione di proprie conoscenze,
frutto di ricerca individuale. Al contrario, com’è preciso dovere di ogni
Massone l’approfondimento di qualsiasi tematica esoterica ed iniziatica, al
meglio delle singole possibilità, spingendo tale azione al limite delle capacità
intellettuali e culturali, è anche suo preciso dovere esporre in Loggia le
conclusioni raggiunte, anche solo temporaneamente: è così che ognuno
contribuisce al processo evolutivo dei Fratelli più vicini e, indirettamente, a
quello dell’intera Umanità. Non facendolo, tradirebbe la fiducia che
l’Istituzione muratoria ha riposto in lui accogliendolo tra le proprie file.
Quindi tale Massone assolve semplicemente il più importante dei compiti a lui
assegnati dalla Libera Muratoria. Al riguardo è decisamente più che opportuno
che i Fratelli Massoni ricordino antichi saggi detti, quali "la parola è
d’argento, il silenzio è d’oro", oppure "un bel tacer non fu mai scritto", ed
ancora "prima di usare la lingua assicurati di aver attivato il cervello". Il
silenzio è la dote, la virtù migliore e più costruttiva del vero Iniziato, e
quel tipo particolare di intervento, specie se motivato da superficialità,
oscuri rancori o malcelate gelosie, con atteggiamenti più o meno velatamente
offensivi nei confronti di una altro Fratello, male si adatta alla Loggia, dov’è
auspicabile l’esclusivo impiego del sacro linguaggio del Cuore. L’affetto da P.
non sa usarlo, ed essendo la sua azione decisamente deleteria nell’ambito
dell’azione esoterica, affatto formativa nei confronti di Fratelli Apprendisti e
Compagni d’Arte, è decisamente opportuno che si astenga, più o meno
volontariamente, dal frequentare i Lavori della Loggia. Al riguardo occorre ed è
inevitabile riferirsi al disposto dell’Art. 13 della Costituzione dell’Ordine,
che prescrive: "Il Libero Muratore che perseveri in un comportamento tale da
turbare l’armonia dei Lavori di Loggia, può essere allontanato per un periodo
non superiore a tre mesi". Inoltre l’Art. 24 del Regolamento del G.O.I.
sull’argomento prevede: "Nell’ipotesi prevista dall’Art. 13 della Costituzione,
il Consiglio delle Luci, dopo inutile diffida scritta, propone l’allontanamento
del Fratello alla Loggia che delibera in Terzo grado. Ove la Loggia abbia
deliberato un allontanamento del Fratello, il Maestro Venerabile dà immediata
notizia del provvedimento alla Grande Segreteria ed alla Segreteria del Collegio
Circoscrizionale. Durante il periodo di allontanamento, il Libero Muratore non
può frequentare i Lavori della sua Loggia di appartenenza né quelli di
alcun’altra Loggia della Comunione". Un provvedimento certo spiacevole ma
imperativo, che la saggezza della Tradizione impone come "male minore" che va
adottato contro il Fratello certo libero ma non certo di buoni costumi, per la
salvaguardia della salute della Loggia (v. Perbenismo).
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