DEFINIZIONE:
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In sanscrito significa il viaggio di Rama, ed è il titolo di uno dei
due massimi poemi indiani (l’altro è il Mahabharata), scritto da Valmiki nel
IV-III secolo a.C. È composto di sette libri di 24.000 strofe complessive, dei
quali sono stati riconosciuti autentici i libri II-VI, che esaltano la casta
guerriera nella figura del protagonista, Rama, visto come un eroe puramente
umano. I libri I e VII invece riconoscono in Rama l’incarnazione (avatara) del
dio Visnù, e si pensa perciò che siano una aggiunta posteriore dei brahmana
(sacerdoti), nel tentativo di avvicinare Rama alla loro casta. Nei libri II-VI
Dasaratha, re di Ayodhya (l’odierna Oudh), nella regione di Kosala, ormai
vecchio, vuole consacrare erede al trono il figlio Rama, ma la regina Kaikeyi,
alla quale il re aveva promesso di esaudire due desideri, chiede che Rama sia
mandato in esilio per quattordici anni, e sia eletto re suo figlio Bharata.
Dasaratha, costretto a mantenere la promessa, muore di dolore, mentre Rama,
nonostante le proteste di Bharata che non intende occupare il trono, va in
esilio nella foresta insieme alla moglie Sita ed al fratello Laksmana. Qui vince
i demoni Raksasa, che molestano gli asceti, ma per vendetta gli viene rapita la
moglie dal re dei Raksasa, Ravana, che domina l’isola di Lanka. Per riavere
Sita, Rama si allea con il popolo delle scimmie, fra le quali spicca per
saggezza la scimmia Hanumat’, ed è proprio per l’accortezza di questa e per il
valore di Rama che Ravana viene sconfitto ed ucciso dallo stesso eroe, che
libera Sita per poi ripudiarla essendo in dubbio sulla sua fedeltà. Sita allora,
gettatasi per disperazione in un rogo, chiama a testimone della propria fedeltà
il dio del fuoco, Agni, che appare e la scagiona. Rama riprende la moglie con
sé, e ritorna trionfalmente ad Ayodhya, sulla quale finalmente accetta di
regnare. Nel I libro, detto Balakanda (sezione del fanciullo), si narra della
incarnazione di Visnù in Rama, in seguito alle preghiere degli dei impauriti
dalla potenza che il demone Ravana stava acquistando mediante una rigorosissima
ascesi. Nel VII (ed ultimo) libro, detto Uttarakanda (sezione estrema), si narra
del nuovo ripudio di Sita a causa delle maldicenze del popolo e del tardivo
pentimento di Rama che, addolorato per la morte della donna, muore egli stesso
tornando ad essere Visnù. Alcuni studiosi hanno voluto vedere nel R. la lotta
tra gli invasori indoeuropei e le popolazioni indigene per il dominio
dell’India; altri invece hanno visto illustrato nel poema un mito agreste,
interpretando Sita (nata dal solco) come divinità tutelare dell’agricoltura, e
Rama come pioggia fecondatrice. Il R., che contiene, oltre al racconto
principale, altre narrazioni a carattere mitico, spesso quasi o del tutto
estranee al tema centrale, è in vari punti prolisso; tuttavia nel complesso si
rivela come opera di massimo dinamismo epico, di nobile e poetica sensibilità,
di profonda saggezza e di raffinata arte. I suoi personaggi costituiscono ognuno
la personificazione di un ideale. Così Rama è l’immagine della pietà filiale,
dell’eroismo e della sovranità; Sita della fedeltà coniugale; Laksmana
dell’amore fraterno; Hanumat della saggezza; Ravana del male. Molto amato e
diffuso sia all’interno che al di fuori dell’India, dove viene tuttora letto e
rappresentato, del R. abbiamo tre redazioni: quella di Bombay, quella bengalina
o gaudana, e quella occidentale, differenti in vari punti l’una dall’altra.
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