DEFINIZIONE:
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Termine che definisce l’offerta di doni ad un dio, ad un essere
umano divinizzato come ad un defunto, un evento presente in tutte le religioni.
Attraverso la rinuncia ad un proprio bene, che viene offerto o bruciato sul
fuoco, si intende rinsaldare, come anche restaurare, un rapporto di comunione
con l’essere a cui il S. è dedicato. L’oggetto del S. è reso sacro dallo stesso
atto sacrificale. La pratica del S. generalmente prevede tre diverse fasi: · la
preparazione in luogo consacrato, effettuata con particolari riti, la
consacrazione della vittima e la purificazione del celebrante; · l’azione,
ovvero l’uccisione rituale della vittima; · l’uscita, comprendente la
desecrazione degli strumenti del rito. Mentre per la teoria animistica il S. è
un dono dell’offerente per ottenere in cambio benefici, e per quella totemistica
è all’origine un fenomeno di comunione, secondo altri è un dono vivente, offerto
alla divinità quando l’uomo deve usare i frutti della terra. Presso i popoli
primitivi il S. assume soprattutto la forma di offerta alla divinità delle
primizie del raccolto o della caccia, riconoscendo il potere e la proprietà del
dio sulle cose, di cui si riscatta l’uso proprio attraverso il S. Presso le
culture che riconoscono il sangue come sede della forza vitale, si sviluppa il
S. cruento con uccisione di animali e uomini. L’offerta di S. umani avviene in
varie forme, tra cui l’antropofagia come conclusione di un’uccisione rituale,
destinata a mantenere od a ripristinare l’ordine cosmico. Il S. umano può anche
assumere la forma di accompagnamento di un defunto nell’al di là (da parte di
mogli o schiavi) o del ristabilimento dell’ordine turbato da azioni sacrileghe,
come presso Balti, Slavi e Germani, che seppellivano gli omicidi con il cadavere
della vittima. In India la casta sacerdotale brahminica aveva la specifica
funzione di celebrare i S. Nel Rgveda il S. è indicato come lo strumento
fondamentale per impetrare grazie e benefici dalla divinità. L’ascetismo indiano
pre-buddista predicava l’autosacrificio celebrato con la morte nel fuoco, in
base alla credenza che il fuoco e la fiamma avessero il potere di rendere gli
asceti superiori agli dei stessi o capaci di ottenere grandi benefici. Presso
gli Iranici, prima della riforma di Zoroastro, erano diffusi i S, di animali, ma
anche l’offerta di fiori e frutta. In seguito si offrì il succo dell’heoma, un
liquore inebriante, agli dei celesti e terrestri, a Zarathustra ed agli spiriti
dei morti. Presso i popoli semitici il S. consisteva nell’offerta fatta a dio di
incensi, cibi e bevande; talvolta i S. erano cruenti, con l’uccisione di animali
ed anche di uomini. Anche nell’antica Grecia si verificavano S. incruenti (con
l’offerta di primizie, focacce, libagioni di miele, vino, latte, olio o
combustione di profumi) oppure cruenti (uccisione di buoi, capre, pecore, maiali
od altri animali commestibili). Il sacerdote, coperto di infule e talvolta
inghirlandato di fiori, sgozzava la vittima, lasciando colare il sangue
sull’ara; le viscere e altre parti del corpo venivano bruciate in onore della
divinità, poi sacerdoti ed astanti consumavano il resto. In origine forse anche
i Greci praticavano S. umani, come farebbero pensare i miti di Ifigenia,
Polissena, Eretteo e Codro. Analogamente, presso i Romani vi erano offerte
incruente di farro, miele, vino, latte e focacce. Nei S, cruenti le vittime
(tori, buoi, capre, pecore, a volte cani e pesci) non dovevano avere difetti
fisici, e venivano dichiarate idonee al S. dopo un loro esame ufficiale. Plinio
e Plutarco testimoniano l’esistenza anche di S. umani, sopravvissuti poi solo in
forma simbolica. Durante la cerimonia degli Argei venivano buttati nel Tevere
ventisette fantocci di paglia, sostituti di antiche vittime umane. . Presso gli
Ebrei antichi i S. erano offerti dal sacerdote, che operava per il sacrificante,
nei templi più antichi sull’altare, in varie località del paese, più tardi nel
solo tempio di Gerusalemme. Vi si praticavano giornalmente tre S.: il
quotidiano, il vespertino ed il mattutino. Nell’Antico Testamento il S., atto di
obbedienza e mezzo di espiazione, è considerato una forma di comunione tra il
sacrificante e Dio, mentre è assente l’idea, diffusa nel mondo semitico, che
esso servisse ad alimentare la divinità. Per il cristianesimo, nel S.
dell’eucarestia si verifica l’identità della vittima sacrificale con la
divinità; la consumazione del corpo di Cristo rappresenta l’incontro mistico tra
Dio e la comunità dei fedeli.
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