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SEZIONE: « DIZIONARIO ESOTERICO »

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DIZIONARIO ESOTERICO SCHEDA N. «01895»

TERMINE: SAVONAROLA GIACOMO
DEFINIZIONE:

Religioso e uomo politico italiano (Ferrara 21.9.1452 - Firenze 23.5.1498). Nato da una famiglia originaria di Padova, resa famosa dal nonno Michele, un famoso medico, S. intraprese dapprima gli studi di medicina, abbandonati nel 1475 per entrare a far parte dell'ordine domenicano nel convento di San Domenico a Bologna. Ritornato a Ferrara per qualche anno, per completarvi gli studi di teologia, nel 1492 fu trasferito nel convento di San Marco in Firenze. Vi rimase per cinque anni, iniziando la sua attività di predicatore ed affrontando subito i temi centrali della sua ideologia: condanna dei costumi dissoluti dei laici e dei chierici ed annuncio dell'imminente rigenerazione della Chiesa, preceduta da una serie di sventure e di castighi. Il suo tono acceso e profetico colpì fin dai primi anno la sensibilità dei fedeli fiorentini. Nel 1487 lasciò Firenze perché trasferito, prima a Ferrara e poi a Brescia, da dove venne richiamato a Firenze per volontà dello stesso Lorenzo de' Medici. Questi aveva infatti ceduto alle pressioni esercitate da un gruppo di intellettuali estimatori del frate, capeggiati da Pico della Mirandola. Dall'autunno del 1490 i Fiorentini tornarono ad ascoltare le profezie apocalittiche del S., arricchite ora di un nuovo elemento: l'annuncio della prossima discesa in Italia di un vendicatore transalpino, che avrebbe castigato la Chiesa corrotta gettando le basi per l'attesa rigenerazione. La discesa di Carlo VIII sembrò dargli ragione, ed accrebbe enormemente il suo già grande prestigio. Priore di San Marco dal 1491, sempre più in vista dopo la morte di Lorenzo il Magnifico (1492), il S. divenne uno degli uomini più influenti della vita politica fiorentina, partecipando perfino al dibattito costituzionale, così vivo e sentito in quegli anni. Intanto però Carlo VIII, che il frate incontrò più di una volta senza poterne mai ottenere promesse concrete, si rivelò alquanto venale e deludente, mentre le difficoltà per un uomo più avvezzo all'oratoria che alla prassi politica di sostenersi nel marasma della crisi costituzionale fiorentina si faceva evidente. Tuttavia il S. riuscì ancora a prevalere sulla violenta opposizione degli Arrabbiati, che lo accusavano di connivenza con i medici esiliati, grazie ad un largo seguito della borghesia e del popolo, conquistati dalla sua sempre più accesa predicazione contro i vizi ed il lusso della vita mondana, i costumi corrotti delle donne fiorentine, la cultura umanistica, il papato simoniaco e nepotista, in particolare contro Alessandro VI Borgia. Firenze attraversò anzi un periodo di fanatismo collettivo, che raggiunse il culmine con i famosi bruciamenti delle vanità, e con la proclamazione di Gesù Cristo a re di Firenze (Natale 1495). Di fronte ai ripetuti rifiuti del S. di recarsi a Roma per una spiegazione, Alessandro VI lo scomunicò (12 maggio 1497), minacciando di interdetto la città di Firenze se non gli fosse stato impedito di predicare. Il pericolo di perdere i lucrosi commerci con lo Stato Pontificio decise i fiorentini ad abbandonare S. alla sua sorte. Ma il frate non riconobbe la scomunica: scrisse più volte al papa, tentò di spiegare l’iniquità del provvedimento e difese le sue azioni, specie col Triumphus crucis e col De veritate prophetica. La scomunica non venne revocata, ma S. tornò nuovamente a predicare in duomo, scegliendo il testo biblico dell’Esodo (11 febbraio 1498). Il papa reagì il 26 febbraio, ripetendo le minacce di interdetto se S non fosse stato arrestato. Il 1° marzo S. predicò per l’ultima volta in duomo, ed il giorno dopo tornò in San Marco da dove cricticò fortemente il papa per la sua corruzione ed immoralità. Nel corso di gravi disordini venne assalito il convento di San Marco, ed il S. imprigionato dalla Signoria, poi torturato, processato e condannato. Infine il S. ed altri due frati domenicani (frà Silvestro Maruffi e frà Domenico Buonvicini) il 23 maggio 1498, alle ore 10 vennero impiccati, i loro cadaveri bruciati ed i resti gettati nell'Arno, affinché "non se ne possi trovare reliquie, excepto non se ne andasse a cercare nel fiume con la rete", come testimonia Pietro Somenzi. Un tentativo non riuscito di disperdere e di annientare la memoria di un personaggio scomodo..

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