DEFINIZIONE:
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Dal giapponese shinto, via degli dei. Religione nazionale
giapponese, denominata anche Kami-no-michi, via del kami. Il termine kami
(superiore) designa non solo le divinità del cielo e della terra, ma anche
uomini divinizzati, animali, vegetali, luoghi naturali, che per le loro eminenti
e straordinarie virtù siano degni di venerazione. Di alcuni kami si crede sia
presente nei templi un mi-tama (figura spirituale), che spesso viene
rappresentata da oggetti sacri o shintai, corpo della divinità. Nello S.
originario non sono adottati idoli, che vennero introdotti successivamente per
influenze cinesi e buddhistiche. La dottrina S. è compresa soprattutto in due
opere, Kojiki e Nihongi, redatte nell'VIII secolo sotto l'influenza della
filosofia cinese. In questi testi si narra come alcune generazioni di dei
prepararono la venuta di due divinità cosmogoniche, Izanami e Izanagi, da cui
ebbero origine il sole e la luna. Al contrario di quanto avviene in molte altre
religioni, nella mitologia shintoista non compaiono racconti sulla creazione del
genere umano. É inoltre assente una precettistica morale articolata, in quanto
l'unica prescrizione affermata impone di non commettere impurità poiché
offensive per gli dei. Sono previsti 24 casi di impurità, fra cui le colpe
universalmente riconosciute come gravi, come l'omicidio, danni privati contro
privati o la collettività sociale, alterazioni indipendenti dalla propria
volontà, come malattie e fenomeni di ossessione. Il concetto di oltretomba è
scollegato da ogni riferimento all'idea di premio-castigo dell'anima dopo la
morte. In origine i luoghi di culto erano semplici recinti sacri, contrassegnati
da un ramo o da un altro semplice simbolo. Più tardi sorsero modesti templi per
la conversazione degli shintai. Le funzioni religiose più solenni, precedute da
atti di purificazione, consistono nell'offerta di cibi e bevande. Le cerimonie
quotidiane si limitano ancora all'offerta di cibi e bevande al mattino ed alla
sera. I sacerdoti, che do solito coprono tale carica ereditariamenre, durante le
funzioni indossano un abito ad ampie maniche ed un particolare copricapo.
L'introduzione del confucianesimo in Giappone avvenne nel V secolo, senza
difficoltà, mentre fu ostacolata la diffusione del buddhismo, sino alla fusione
in una nuova formazione sincretistica attraverso l'identificazione del kami con
altrettante incarnazioni del Buddha o dei vari Bodhisattva. Nel 1868, nel quadro
della riforma politica operata dall'imperatore Mutsuhito, le due religioni
vennero di nuovo distinte, e quella dei kami rimase la religione ufficiale di
stato. Nel 1899 venne poi proclamata l'uguaglianza di tutte le religioni di
fronte allo stato. Lo S. subì in seguito un processo di secolarizzazione e di
trasformazione in istituzione statale, con lo scopo di mantenere viva fra il
popolo la fedeltà alle tradizioni nazionali ed all'imperatore, considerato di
natura divina. Dopo la sconfitta nella seconda guerra mondiale, un decreto
imperiale del gennaio 1946 negò la divinità dell'imperatore. Oggi il culto viene
esercitato dai bonzi (kannusi) che pregano e compiono offerte rituali,
affiancati dalle sacerdotesse, che eseguono la danza kagura.
Siamo parte della Terra: Nel lontano 1854 il Grande Capo bianco di Washington,
il Presidente degli Stati Uniti Franklin Pierce, si offrì di acquistare una
parte del territorio indiano, e promise di istituirvi una riserva per i
pellerossa (v.). La risposta del capo indiano "Seattle" risulta essere tuttora
la più bella e profonda dichiarazione mai fatta sull’Ambiente (v.): "Come potete
acquistare o vendere il cielo, il calore della terra? L’idea ci sembra strana.
Se noi non possediamo la freschezza dell’aria, lo scintillio dell’acqua sotto il
sole, come potete chiederci di acquistarli? Ogni zolla di questa terra è sacra
per il mio popolo. Ogni ago lucente di pino, ogni riva sabbiosa, ogni lembo di
bruma dei boschi ombrosi, ogni radura ed ogni ronzìo di insetti è sacro nel
ricordo e nell’esperienza del mio popolo. La linfa che scorre nel cavo degli
alberi reca con sé il ricordo del pellerossa. I morti dell’uomo bianco
dimenticano il loro paese natale quando errabondano tra gli spazi siderali. I
nostri morti non dimenticano mai questa terra magnifica, perché essa è la madre
dei pellerossa. Siamo parte della terra, e la terra fa parte di noi. I fiori
profumati sono nostri fratelli; il cervo, il cavallo, la grande aquila sono
nostri fratelli; le creste rocciose, l’aroma dei prati, il calore del pony e
l’uomo appartengono tutti alla stessa famiglia. Per questo, quando il Grande
Capo bianco di Washington ci manda a dire che vuole acquistare la nostra terra,
ci chiede una grossa parte di noi. Il Grande Capo ci manda a dire che ci
riserverà uno spazio dove muoverci, affinché si possa vivere confortevolmente
fra di noi. Egli sarà nostro padre e noi saremo i suoi figli. Prenderemo dunque
in considerazione la vostra offerta, ma non sarà facile accettarla. Questa terra
per noi è sacra. Quest’acqua scintillante che scorre nei torrenti e nei fiumi
non è soltanto acqua, per noi è qualcosa di immensamente più significativo: è il
sangue dei nostri padri. Qualora acconsentissimo a vendervi le nostre terre,
dovrete ricordarvi che esse sono sacre, dovrete insegnare ai vostri figli che si
tratta di suolo sacro, e che ogni riflesso nell’acqua chiara dei laghi parla di
eventi e di ricordi della vita del mio popolo. Il mormorio dell’acqua è la voce
del padre di mio padre. I fiumi sono nostri fratelli, ci dissetano quando
abbiamo sete. I fiumi sostengono le nostre canoe, sfamano i nostri figli. Se vi
cedessimo le nostre terre, dovrete ricordarvi, ed insegnarlo ai vostri figli,
che i fiumi sono nostri e vostri fratelli, e dovrete provare per i fiumi lo
stesso affetto che provereste nei confronti di un fratello. Sappiamo che l’uomo
bianco non comprende i nostri costumi. Per lui una parte della terra è uguale
all’altra, perché è come uno straniero che irrompe furtivo nel cuore della
notte, e carpisce alla terra quel che più gli conviene. La terra non è sua
amica, anzi, è un suo nemico e, quando l’ha conquistata, va oltre. Abbandona la
tomba dei suoi avi, e ciò non lo turba. Toglie la terra ai suoi figli, e ciò non
lo turba. La tomba dei suoi avi, il patrimonio dei suoi figli, cadono
nell’oblio. Tratta sua madre, la terra, e suo fratello, il cielo, come cose che
possono essere comprate, sfruttate, vendute, come si fa con le pecore o con le
pietre preziose. La sua ingordigia divorerà tutta la terra, ed a lui non resterà
che il deserto. Io non so. I nostri costumi sono diversi dai vostri. La vista
delle vostre città fa male agli occhi del pellerossa. Ma forse ciò dipende dal
fatto che il pellerossa è un selvaggio, e non può capire. Non c’è un posto
tranquillo nelle città dell’uomo bianco. Non esiste in esse un luogo ove sia
dato percepire lo schiudersi delle gemme a primavera, od ascoltare il fruscio
delle ali di un insetto. Ma forse ciò avviene perché io sono un selvaggio, e non
posso comprendere. Solo un assordante frastuono sembra giungere alle orecchie e
ferirne i timpani. E che gusto c’è a vivere se l’uomo non può ascoltare il grido
solitario del caprimulgo ed il chiacchierìo delle rane attorno ad uno stagno? Io
sono un pellerossa, e non comprendo. L’indiano preferisce il suono dolce del
vento che si slancia come una freccia sulla superficie di uno stagno, e l’odore
del vento stesso reso terso dalla pioggia meridiana o profumata del pino. L’aria
è preziosa per il pellerossa, giacché tutte le cose condividono lo stesso soffio
vitale: gli animali, gli alberi, gli uomini tutti condividono lo stesso soffio.
L’uomo bianco non sembra far caso all’aria che respira e, come individuo in
preda ad una lenta agonia, è insensibile ai cattivi odori. Ma qualora vendessimo
le nostre terre, dovrete ricordarvi che l’aria per noi è preziosa, che l’aria
condivide il suo soffio con tutto ciò che essa fa vivere. Il vento che diede il
primo alito al nostro avo è lo stesso che raccolse il suo ultimo respiro. E
qualora vi cedessimo le nostre terre, voi dovrete custodirle in modo
particolare, e considerarle come un luogo dove l’uomo bianco può andare a
gustarsi il vento che reca le fragranze del prato. Prenderemo in esame la vostra
offerta di acquistare le nostre terre. Ma qualora decidessimo di accettare tale
proposta, io porrò una condizione: l’uomo bianco dovrà rispettare gli animali
che vivono su questa terra come se fossero suoi fratelli. Io sono un selvaggio,
e non conosco altro modo di vivere. Ho visto un migliaio di bisonti imputridire
sulla prateria, abbandonati dall’uomo bianco dopo che erano stati travolti da un
treno in corsa. Io sono un selvaggio, e non comprendo come il "cavallo di ferro"
fumante possa essere più importante dei bisonti, che noi uccidiamo solo per
sopravvivere. Cosa sarebbe l’uomo senza animali? Se tutti gli animali
sparissero, l’uomo soccomberebbe in uno stato di profonda solitudine. Poiché ciò
che accade agli animali, prima o poi accade all’uomo. Tutte le cose sono legate
tra loro. Dovrete insegnare ai vostri figli che il suolo che calpestano è fatto
delle ceneri dei nostri padri. Affinché i vostri figli rispettino questa terra,
dite loro che essa è arricchita dalle vite della nostra gente. Insegnate ai
vostri figli ciò che noi abbiamo insegnato ai nostri: che la terra è la madre di
tutti noi. Tutto ciò che di buono accade sulla terra, accade ai figli della
terra. Se gli uomini sputassero sulla terra, sputerebbero su sé stessi. Noi
sappiamo almeno questo: non è la terra che appartiene all’uomo, ma è l’uomo che
appartiene alla terra. Questo noi lo sappiamo. Tutte le cose sono legate come i
membri di una famiglia sono legati da un medesimo sangue. Tutte le cose sono
legate tra loro. Tutto ciò che accade alla terra accade anche ai nostri figli.
Non è l’uomo che ha tessuto la trama della vita. Egli è soltanto un filo. Tutto
ciò che egli fa alla trama lo fa a sé stesso. Lo stesso uomo bianco, col quale
il suo Dio si accompagna e dialoga familiarmente, non può sottrarsi al destino
comune. Dopo tutto, forse, siamo fratelli. Vedremo. C’è una cosa che noi
sappiamo e che forse l’uomo bianco scoprirà presto: il nostro Dio è il suo
stesso Dio. Voi forse pensate che adesso lo possedete, come volete possedere le
nostre terre; ma non lo potete. Egli è Dio degli uomini, e la sua misericordia è
uguale per tutti, tanto per l’uomo bianco quanto per il pellerossa. Questa terra
per Lui è preziosa, ed il recare danno alla terra è come disprezzare il suo
Creatore. Anche i bianchi spariranno, forse prima di tutte le altre tribù.
Contaminate i giacigli dei vostri focolari, ed una notte vi ritroverete
soffocati dai vostri stessi rifiuti. Per un disegno particolare del fato siete
giunti a questa terra, e ne siete divenuti i dominatori, così come avete
soggiogato i pellerossa. Questo destino è per noi un mistero, perché non
riusciamo più a comprendere quando i bisonti vengono tutti massacrati, quando
gli anfratti più segreti delle foreste sono invasi dagli uomini, quando la vista
delle colline in piena fioritura è imbruttita dai fili che parlano. Dov’è finito
il bosco? Dov’è finita l’aquila? Scomparsa! È la fine della vita, è l’inizio
della sopravvivenza". (Edito a cura del Centro d’Informazione delle Nazioni
Unite).
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