DEFINIZIONE:
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Dal francese tabou e dal polinesiano tapu, il termine è già registrato
dagli Inglesi a Tonga sin dal 1771. Adottato poi in Occidente, indica quanto è
proibito, non tanto in forza di leggi esplicite, quanto per tradizione morale e
sociale. Tale termine ha incontrato grande fortuna nell’antropologia sociale
europea della fine del XIX secolo, nell’ambito della teoria del totemismo (v.),
nella quale T. indicava tutto ciò che nelle società primitive non è profano,
cioè accessibile a tutti, bensì sacro, cioè intoccabile e proibito, come
elemento di un sistema di complesse proibizioni religiose. Dall’antropologia
sociale il termine è passato alla psicologia: per oggetto T. si intende qualcosa
che è inavvicinabile od inconsumabile in forza di un divieto interiore ed
emotivo, razionalmente ingiustificato, ma spesso socialmente condiviso. Y
(Etnologia e Storia delle religioni): Nella maggior parte delle religioni
primitive, le conseguenze dannose della violazione del T. sono ritenute
automatiche e derivanti dalla carica di sacralità propria dell’oggetto
interdetto, senza tenere in alcuna considerazione l’intenzionalità
dell’infrazione. Nelle religioni superiori tali infrazioni assumono il carattere
di una punizione divina. Il divieto può essere definitivo o temporaneo, può
riguardare l’intera comunità o soltanto certe categorie o persone che si trovano
in determinate situazioni. Talvolta il T. può interessare parole o nomi, come
nel caso del divieto di nominare il nome di Dio invano, sancito dalla legge di
Mosè; presso alcuni popoli primitivi sussiste la proibizione di nominare cose
inerenti la caccia. Diffuso presso i primitivi, il T. si esprime anche nelle
culture più evolute, soprattutto nel campo delle proibizioni alimentari e
sessuali, o nell’uso di simboli ritenuti dotati di particolari poteri, che
proprio per la loro intoccabilità sono posti a protezione di campi, piante ed
abitazioni. Nelle società primitive gli uomini investiti di cariche o svolgenti
determinate funzioni (capi, sacerdoti, stregoni, guerrieri, tessitori o fabbri
in Africa, ceramisti in Nuova Guinea) o legate a pratiche magico-religiose
(specialisti in tatuaggi), emanano i T., ma ne sono a loro volta oggetto,
diventando intoccabili, ed acquistando tutti i dannosi influssi che ne derivano.
In Polinesia il T. è spesso connesso al totem (v.), e la relazione degli uomini
di uno stesso clan col proprio totem viene proprio rafforzata dal t. che lo
ricopre, impedendo di cacciarlo, danneggiarlo o consumarlo, a seconda dei casi.
Tale impedimento può essere legittimamente trasgredito dal gruppo in situazioni
eccezionali, per ottenere dal proprio totem particolari energie vitali: presso
molte tribù che hanno come totem un animale è proibito cibarsi delle sue carni
per tutto l’anno, salvo un giorno in cui è espressamente comandate di mangiarle
per trarne forza e benefici. Y (Sociologia): Il carattere distintivo del T.
consiste nel fatto che l’interdizione non è motivata, e che la sanzione
prevista, in caso di violazione, non è una punizione emanata dalla legge civile,
ma una calamità, come la morte o la cecità, che colpisce l’individuo colpevole.
I T. possono essere considerati come simboleggianti la struttura dei rapporti
peculiari ad un gruppo. La loro osservanza da parte degli individui serve a
contrassegnare l’appartenenza al gruppo, l’impegno nei confronti dei propri
ruoli ed il riconoscimento degli altri ruoli e delle forze interdipendenti con i
propri. La violazione del T. è perciò distruttiva del sistema morale e della
posizione dell’individuo in questo sistema.
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