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SEZIONE: « DIZIONARIO ESOTERICO »

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DIZIONARIO ESOTERICO SCHEDA N. «02172»

TERMINE: VEDANTA
DEFINIZIONE:

Termine sanscrito che significa l'ultimo dei Veda (v.), che è la denominazione della principale scuola di filosofia indiana a carattere simbolico e metafisico. É anche nota sotto il nome di Uttara Mimansa, che significa ultima indagine. Fu molto probabilmente fondata intorno al 70 a.C. da Badarayana, in un'epoca in cui fioriva anche la dottrina Samkya (v.). Il V. approfondisce le idee delle Upanishad (v.), l'ultima parte dei Veda che tratta della ricerca del Brahman, od assoluto, e delle manifestazioni del mondo fenomenico. Secondo l'Eliade (Storia delle credenze e delle idee religiose, vol. II, Ediz. Sansoni, 1980) nella dottrina di Badarayana si trovano indicazioni sufficienti a tratteggiare grossolanamente il pensiero V., prima ancora dell'intervento di Sankara. La dottrina della maya (illusione od inganno delle facoltà sensorie) acquista un rilievo centrale. Vi si analizzano soprattutto i rapporti fra Brahman, la creazione, e la maya, rapporti che costituiscono l'oggetto della speculazione vedantica. L'antica concezione della creazione cosmica, in quanto manifestazione della potenza magica (maya) del Brahman, passa in secondo piano rispetto alla funzione che la maya svolge nell'esperienza di ciascun individuo, ovvero la funzione di accecamento. In definitiva la maya è assimilata all'ignoranza (avidya) e paragonata al sogno. Le realtà multiformi del mondo esterno sono altrettanto illusorie del mondo dei sogni. La tendenza ad accentrare il reale in Dio, vale a dire nell'Uno-Tutto, giunge a formulazioni sempre più ardite. Se l'essere è l'eterna Unità-Totalità, non soltanto è illusorio il Cosmo, cioé la molteplicità degli oggetti, ma lo è anche la pluralità degli spiriti. In realtà esiste soltanto un unico essere, Brahman, e allorché il saggio riesce, attraverso la meditazione Yoga, a cogliere sperimentalmente il proprio Atman, si risveglia nella luce e nella beatitudine di un eterno presente. Alla fine del XII secolo il grande filosofo Ramanuja, già seguace di Visnù, formulò la teoria del monismo qualificato (visist-advaita), che considera gli elementi del mondo come qualità manifestate da Dio, aventi pertanto un valore intrinseco. La liberazione (moksa) viene conseguita attraverso la conoscenza, ma soprattutto con la devozione fervente (bhakti) che conduce all'unione con Visnù.

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