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SCHEDA ARTICOLO N. «00123»

CLASSIFICAZIONE: 1
TIPOLOGIA: ESOTERISMO
AUTORE: DIZIONARIO ESOTERICO
TITOLO: KARMA
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TESTO ARTICOLO

KARMA.

Karma è una parola sanscrita che significa 'lavoro, azione'. E' stata originariamente usata dai teologi bramani per indicare l'insieme dei meriti (e dei demeriti) della vita terrestre dell'uomo; causa delle sue incarnazioni successive, il Karma costituisce un limite, dal quale l'"atman" deve essersi affrancato perché l'uomo diventi un 'liberato in vita'. Il Karma corrisponde ai legami contratti con ogni azione compiuta. L'essere psicosomatico porta il segno delle sue azioni, e il Karma accumulato conduce ineluttabilmente l'uomo, dopo la morte, a rientrare nel ciclo indefinito delle successive rinascite.
Oggi però il termine viene usato in un senso che va oltre i riferimenti psicologici e cosmologici dell'induismo. Il concetto di Karma, infatti, assomma significati eterogenei, in modo particolare quello di un'evoluzione spirituale verso un polo di perfezione liberatrice, in contrasto con l'etica iniziale di spersonalizzazione dell'Io. Inoltre il concetto di Karma si allaccia ad altri concetti esoterici, anch'essi tradizionali, ma derivanti da strutture ierofaniche diverse, come l'interpretazione del Karma in termini di giustizia divina, residuo cabalistico della Sefirot Binah.
Il Karma diventa così la legge del mondo, ma di un mondo sefirotico, non più solo del Samsara. Si parla di ventiquattro Vecchi, signori del Karma, della porta stretta che non si può oltrepassare senza la purezza assoluta dei corpi superiori, segno di un superamento del Karma. la classificazione degli esseri a seconda che a guidarli sia la necessità o il libero arbitrio o la Provvidenza, presuppone un principio di predestinazione in accordo con il Karma. Così il Karma fa di un'esistenza la retribuzione di un merito o il pagamento di un debito.
Gli spostamenti e le condensazioni del senso di questo concetto testimoniano di una vita intensa dell'esoterismo. Non si può liquidarlo tacciandolo di sincretismo. Ogni amalgama costituisce un ostacolo per lo storico, ma in modo opposto alle tracce del lavorio sotterraneo degli esoterismi sull'inconscio delle culture, per chi non limita l'iniziazione all'archeologia delle cattedrali deserte.
Malgrado R. Guénon e i sostenitori di una tradizione la cui legittimità consisterebbe nell'ignorare la storia, le parole-chiave dell'esoterismo conoscono una vita indipendente dalle riduzioni e dalle fissazioni semantiche culturali o simboliche. Le immagini del Karma, come quelle della ruota cosmica indiana e del serpente astrale o zodiacale dell'ermetismo, convergono come anche la Madre, il Tribunale, la Bilancia, la Spada, la Pietra, il Fuso e il Telaio. Affermare l'esistenza di queste costellazioni di simboli non equivale tuttavia a un confronto parola per parola. Questo tipo di analisi satura un concetto, senza stabilire l'orizzonte delle convergenze. Un secondo metodo, più paziente e complementare, attento agli isomorfismi strutturali delle correnti esoteriche, precisa ciò che resta allusivo nel tracciato del profilo di un simbolo, comune in apparenza a più testi sacri. Così l'ermeneutica esoterica è in grado di distinguere tra quello che non è che pura omonimia, e le interferenze simboliche derivanti da sistemi isomorfi.
Questo non è tuttavia l'unico interesse che questo metodo dialettico presenta. Il concetto, che ha ricevuto un nuovo chiarimento in seguito al confronto con il sistema delle sue relazioni simboliche ed esoteriche iniziali, contribuisce a sua volta a una migliore comprensione e attualizza il potenziale della sua tradizione di origine.
Confrontando con la legge che regge la genesi ebraica, il Karma riprende tutto il senso dell'atto rituale, che, all'epoca vedica, faceva della sua esecuzione corretta la garanzia dell'ordine cosmico. L'accostamento della Maya Shakti, da cui hanno origine le modalità delle catene che caratterizzano gli stati mentali e i fenomeni, con la Madre Cosmica, responsabile di tutte le rinascite, lascia intravedere il ruolo capitale, all'origine, dell'interrelazione della funzione psicagogica della conoscenza liberatrice e della teofania indiana. Parecchi punti della dottrina originaria del Karma, messi in parallelo con strutture appartenenti a contesti esoterici diversi, segnalano delle possibilità di sviluppi futuri. Essi non sempre erano espliciti all'epoca della rivelazione dei primi testi sacri.
Ci si avvicina alla Tradizione esoterica, ideale regolatrice degli esoterismi religiosi, attraverso la rielaborazione ricorrente e approfondita degli antichi temi. Ciò dimostra la sua presenza sempre viva nella storia della nostra cultura, testimoniando al tempo stesso l'erosione e il rinnovamento incessanti delle sue forme concettuali e la ristrutturazione del suo linguaggio esoterico.
Il Karma costituisce quindi il modello del ritorno inevitabile del passato, destinato alla sua non meno necessaria trasmutazione nel futuro. Il superamento del Karma corrisponde in questo senso al compimento della Tradizione nella storia degli uomini e del mondo.



LINGUA SACRA.

Esiste una Lingua universale che gli esoteristi hanno preso in considerazione sotto un duplice aspetto: riferendola all'umanità dei primordi, depositaria di una rivelazione originale da cui deriverebbero le diverse lingue e tradizioni, oppure considerandola una struttura metafisica dell'universo, capace di rendere operativo l'uso di formule che rispettano, attraverso l'ordine dei loro elementi, le relazioni cosmiche e teofaniche stesse. Così il Vatan, alfabeto originario detto Brahmi (1), come testimonia la "Bibbia" quando afferma "Tutta la terra aveva una sola lingua e le stesse parole" (2), così l'India vedica e preariana, in cui la potenza sacra del prestigioso OM trae origine dalla cosmogonia sonora e dalla metafisica dello "shabda" (3).
Una corrispondenza segreta tra parole e cose sancite dal legislatore (4), come nel "Cratilo" di Platone, fa sì che le diverse pratiche religiose, i mantra, il "dhikr" islamico, le formule degli esicasti, la stessa preghiera, equivalgano a veri e propri atti magici, che articolano l'uomo, Dio e l'Universo. Forse che il mondo non è il risultato della parola sacra (5)? Adamo è colui che dà i nomi e regna sulla creazione mediante il linguaggio. L'ipotesi di un'unica Lingua originaria, come quella di un mondo significante, viene replicata nei paradigmi del verbo creatore (6), della sillaba originale, dell'alfabeto archetipico cristico (7) e upanisadico (io sono l'alfa e l'omega) del libro ermetico della natura vivente.
L'essere dell'esoterismo è quindi un essere da decifrarsi, da leggersi, da sondare; si tratti del cuore o dello spirito, della natura o delle profondità di Dio. Su questo punto capitale si incontrano India, Egitto, Israele e Islam.
Brahma conosce 'Colui il quale', nascosto nei taciti nessi dei "Veda" con la "Svetasvatara Upanisad" (8), mentre il "Libro dei Morti Egiziano" ricorda: "All'alba dei tempi, tu hai modellato la lingua delle gerarchie divine" (9). Il rapporto del senso con il testo sacro è uguale a quello del sacro con il mondo: è esoterico, e richiede un'ermeneutica. Esistono dei livelli d'interpretazione della profezia islamica (per esempio l'imamologia), proprio come esistono dei livelli dell'essere. La Cabala offre in questo senso nello "Zohar" un esempio tipico di un'impresa in cui il senso è un mondo, perché con le sue lettere sacre e le Sefirot essa lo codifica e lo decodifica. "La Scrittura dice allora all'uomo: vedi come nelle stesse parole di cui ti ho mostrato prima un senso letterale ti mostro ora un senso mistico; e così come per il senso letterale tutte le parole sono indispensabili e non si può aggiungere o togliere loro niente, altrettanto per il senso mistico tutte le parole scritte sono indispensabili e non si può aggiungere o togliere loro neppure una sola lettera." (10) La genesi pone l'essere del mondo e lo vela. L'esoterismo cabalistico si sforza umilmente di sollevare un angolo del velo per accedere alla vita stessa del verbo creatore. Come verrà detto con la massima continuità della tradizione: "Tutto ciò che è nascosto deve esser portato allo scoperto, tutto ciò che è segreto deve esser conosciuto" (11). Per accedere al senso esoterico, oggi si deve in primo luogo passare per le lingue dei testi. La questione, sul piano dell'esoterismo comparato, non è l'accesso diretto alla lingua prototipica, ma lo studio della relazione che unisce negli "ieroi logoi" l'esoterismo al testo, il Sacro alla lingua usata in ciascuna tradizione. E' porre il problema della possibilità di una filologia del Sacro, ancor prima del progetto della costituzione di un'ermeneutica.
Può il Sacro rappresentare una categoria linguistica? (12) Si tratta di comprendere come il Sacro muta la lingua, e come questa possa articolarsi a un'intenzionalità la cui origine sfugge al solo gesto creatore dell'autore. Si definisce qui un'analisi di un nuovo stile, attraverso la considerazione del senso simbolico delle risonanze e delle analogie rivelate dal testo tra concetti, fonemi e semantemi, sintagmi e strutture profonde. Il primo compito consiste quindi nel reperire le tracce di questa dialettica interna del testo e del Sacro, in base alle particolarità linguistiche proprie di ciascuna tradizione esoterica.
Max Muller aveva situato la metafora all'origine del linguaggio e della mitologia; essa permette in particolare una duplice lettura dei "Veda". Il carattere sacro di quei testi si giustifica attraverso uno spostamento costante dallo psicologico al rituale (13). Il "Rig Veda" accenna a più riprese alla possibilità di sollevare un angolo del velo: "Le porte dello spirito possono essere aperte" (14). L'inno 10.71, dice Louis Renoir, riassume le idee dei Rishi sul linguaggio: "La parola sacra è un'invenzione degli antichi saggi... solo l'eletto è chiamato a vedere" (15). L'iniziazione passa dunque da un apprendimento attraverso la lettura. L. Renoir parla del 'senso nascosto', della 'lingua segreta' dei "Veda" (16).
Srhi Aurobindo nei suoi saggi sui "Veda" (17) elabora l'ipotesi del "sistema del doppio valore", secondo cui uno "stesso linguaggio" dei "Veda" si presta a render conto simultaneamente delle potenze "interiori ed esteriori della natura universale". Il sistema del doppio valore assicura così il senso psicologico della metafora rituale, e il compito è aperto per tutta una simbolica delle metafore dei "Veda", attraverso cui il Sacro produce il suo linguaggio specifico da decodificare. L'interpretazione si sviluppa allora in due tempi: mostrare, in primo luogo, attraverso lo studio della lingua di questi inni, che essi racchiudono "un nucleo di concetti psicologici sufficienti a giustificare la supposizione di un senso superiore, di tanto o di poco, al senso barbaro e primitivo dei "Veda"", trovare infine, a partire dai "Sukta", "l'interpretazione di ogni simbolo e di ogni immagine, la funzione psicologica esatta di ogni Dio" (18). L'interpretazione resta fedele alla stessa genesi del testo come testo sacro a partire dalla polisemia delle radici sanscrite. Così "raye" significa ricchezza, nella doppia accezione di 'prospettiva materiale' e di 'felicità interiore'; "yagira", termine rituale che allude al sacrificio, può anche significare il sacrificio di sé; infine "ghrita" designa la 'liberazione di burro chiarificato', ma rappresenta altrettanto bene 'l'offerta interiore'. La vacca "go" significa anche la luce; e nei "Veda" il termine è spesso congiunto all'aurora e al sole (19). "Acva", il cavallo, significa la forza, quindi il prana, energia del cosmo. E' dunque chiaro che "i due frutti principali del sacrificio vedico, l'abbondanza di vacche e di cavalli, simboleggiavano l'illuminazione mentale e l'abbondanza dell'energia vitale" (20). L'opera è ricca di un insegnamento esoterico, che si dissimula e si elabora sotto la metafora dinamica del testo e delle radici.
La scrittura geroglifica ammette un'analoga frattura tra il senso primario di un testo religioso e il suo significato profondo. Il primo livello corrisponde al carattere orale dei geroglifici, al fonetismo; il secondo considera il glifo come simbolo vivente. Il Sacro si articola dunque alla parola con l'intermediario di un simbolismo esoterico che lo ierofante padroneggia al punto che più che di un testo sacro resta impenetrabile senza l'uso di questa griglia esegetica (21). Lo stesso Champollion nel suo "Précis de système hiéroglyphique" distingueva i diversi livelli del linguaggio: "Gli Egizi scrivevano i nomi dei loro dei in tre modi diversi: fonetico, figurativo e simbolico" (22).
Esiste una scrittura per i testi sacri e un'altra per i libri contabili. La loro differenza è indicata dall'uso dei due segni [simile a una P all'indietro] che significano il divino: la rivelazione e [due '"' racchiuse in un rettangolo] raffigurano un lago misterioso, derivante da [tre file di 'onde' sovrapposte], la 'materia prima', mentre [non descrivibile] colorato di rosso sottolinea il carattere materiale della seconda scrittura.
A ogni glifo corrisponde una proprietà fonetica e un significato esoterico. Così l'insieme dei glifi produce non solo il carattere fonetico di un termine, ma anche, in materia religiosa, la dimensione occulta del termine stesso, il cui senso, comunemente ammesso, si raddoppia mediante la combinazione esoterica del simbolismo delle lettere che lo compongono. L'alfabeto geroglifico rappresenta per lo ierofante l'insieme delle forze della natura, e la scrittura, come la parola, l'insieme degli atti magici, e ciò in virtù della stretta corrispondenza della lettera e dell'idea.
E' forse la cabala che sviluppa nel modo più sistematico l'idea di una grammatica esoterica come fondamento dell'ermeneutica dei testi sacri. L'esoterismo della lingua ebraica vi si trova confermato mediante un alfabeto avente valori cosmici e numerici (23). Ciò fornisce la base per un approccio simbolico di uno stesso testo e permette la diversificazione di tale interpretazione ottenuta con un costante accostamento di parole e radici con altre parole e radici aventi colori numerici comparabili: è questa la gematria (24). Altri metodi, come il "notarikon" che usa le lettere iniziali, mediane e finali di una parola per comporne una nuova, o la "temura", che applica congiuntamente la gematria e il "notarikon" alla permutazione e alla combinazione delle lettere, costituiscono l'essenziale dei procedimenti, che permettono di svelare il "Pentateuco".
Lo "Zohar" dice del resto: "Il senso letterale della scrittura è l'involucro; dannato sia colui che prende tale involucro per la stessa Scrittura... Nei tempi futuri tutti potranno vedere l'Anima della Scrittura. Dannati i colpevoli che pretendono che la Scrittura sia una semplice narrazione" (26).
Così i testi sanscriti dei "Veda" attraverso la metafora, i geroglifici con i loro due livelli di espressione, l'alfabeto sacro e i testi sacri della "Genesi" fondata su una numerazione cosmica e teofanica, possono mostrare come il sacro pervada e determini tutti quei testi, nella diversità dei contesti linguistici e culturali.
L'interesse di una simile esegesi sta nel fondare l'idea della tradizione esoterica diversamente che sulla difficoltosa ricerca di vane priorità di influenze storiche e religiose. La coerenza dell'idea di tradizione viene più dall'interiorità dei testi sacri, in grado di consentire un loro confronto e certi isomorfismi, che da negazioni indignate, in nome di una presunta idea di una tradizione storica, delle loro differenze simboliche su cui poggia l'identità culturale delle religioni.
La Lingua universale, abbia essa una realtà storica o sia un polo regolatore dei libri ispirati, resta in primo luogo la struttura isomorfa dell'intenzionalità degli antropologi delle religioni.

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