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SCHEDA ARTICOLO N. «00129»

CLASSIFICAZIONE: 1
TIPOLOGIA: ESOTERISMO
AUTORE: DIZIONARIO ESOTERICO
TITOLO: MONDO
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TESTO ARTICOLO

MONDO.

Per l'esoterista, il mondo è l'espressione della potenza della parola di Dio. In quanto effetto di tale potenza, il mondo ingloba non solo la natura fenomenica, osservabile e oggettiva, ma anche la natura vivente fatta di scambi dinamici, psichici e spirituali che regolano la corrispondenza delle ragioni necessarie e sufficienti, della necessità e della Grazia. E' quanto dire che la scolastica di una 'natura naturata' e di una 'natura naturante' avrebbe l'unica conseguenza di oscurare l'unità stessa dei livelli del mondo esoterico e di stabilire delle separazioni là dove non esisterebbe soluzione di continuità, se non fossimo troppo inclini a separare, con il falso pretesto del rigore scientifico, l'obiettivo dal soggettivo, il certo dal possibile.
Ora, la soggettività, il possibile, come l'immaginario e il sacro, fanno ancora parte del mondo di cui rivelano simultaneamente gli aspetti più segreti. L'interesse della scienza esoterica consiste nel radicare il quotidiano nel mistero e nel grado elevato delle sue origini, al punto che la banalità e il profano non sono più che indizi in base a cui effettuare un'urgente riconversione dello sguardo, troppo spento, volto alle apparenze.
Occorre dunque la rigenerazione dello stesso uomo, del suo corpo, per sperimentare la totalità.
Quest'ultima, quali che siano le gerarchie dell'essere e le scale di valori che possono articolare, talora diversamente, l'ontologia e l'etica, si distingue sia da un sistema speculativo, interessato alle analogie dell'essere, sia da una morale, occupata a regolare il proprio rapporto con la legge sociale. L'esperienza del mondo esoterico è quindi la rinascita alle riunificazioni del senso e della vita, alle armonie di sé e degli altri, al cosmo.
Il mondo esoterico, essendo un cosmo, non esilia il mondo del pensiero vuoto né si confina nelle terre sconosciute del dopo-morte. Il mondo dell'esoterista interiorizza la presenza dei cieli invisibili; le sfere dell'evoluzione spirituale fanno risuonare il mondo terrestre dell'eco della loro musica: Orfeo, Pitagora e Platone hanno saputo riassumere la portata iniziatica di queste corrispondenze, nel Tirso, nei numeri e nella caverna.
L'intensità della coscienza che riconosce la propria vocazione cosmica nel tempo ("illo tempore") della sua creazione, o l'occorrenza dell'essere, il quale, per la sua stessa struttura, è saldato al piano generale del mondo, sono da soli i 'segni' di un mondo il cui principio non è mai quello dell'arbitrarietà dei suoi significanti, ma quello del senso con cui interpretare quegli apparenti vuoti all'interno della trama del senso stesso.
Come dicono i sufi: "Dio svolge nei cieli i rotoli fino a quando l'uomo li sappia leggere" (1), riprendendo il "Corano": "Noi mostreremo ben presto loro i nostri Segni, nell'Universo e in loro stessi, fino a quando vedranno chiaramente che questa è la verità" (2).
Il mondo esoterico può essere analizzato a tre livelli: quello dei rapporti tra Uno e Tutto, si tratta cioè delle grandi strutture ontologiche; quello della sua genesi in rapporto al divino, che nelle sue manifestazioni è contemporaneo alla 'creazione' del mondo; quello del senso per l'uomo, la cui genesi è legata tanto alla manifestazione del divino quanto alla creazione del mondo, il che lascia intravedere in quale senso l'uomo risulti un archetipo dell'universo (microcosmo).
Il mondo degli esoteristi, sufi, cabalisti, indiani, è contraddistinto dall'unità. L'Uno costituisce il Tutto, di cui quest'ultimo è l'espressione, ma ancora il Tutto si congiunge solo a se stesso, il che mette l'esoterismo al riparo dall'accusa di panteismo fin dal primo principio ontologico. Paolo stesso non ha forse detto: "Noi siamo in Dio, e in Dio abbiamo la nostra esistenza?" Parimenti niente è più vano delle controversie sull'uno e sul multiplo, sul monoteismo e sul politeismo, sulla creazione "ex nihilo" e sull'emanazione, dato che, perché l'essere sia, si deve in un senso parlare dell'essere di Dio, del desiderio del 'Tesoro dei Tesori' di esser conosciuto, e a tale scopo di produrre la propria natura ancora prima della natura della propria creatura. Questo desiderio o volontà di Dio, al limite questa grande illusione cosmica, il Gioco Cosmico del Vedanta (3), ci rimandano alla solidarietà ontologica del Tutto e dell'Uno, che origina Dio produttore della natura di Dio. Dopo di che, 'il gioco è fatto', e nel basso e nell'alto della scala è l'Identico che si rivela all'Iniziato, dunque a se stesso, nella liberazione della coscienza separatista; è ancora Jehova che crea in Elohim un mondo la cui struttura riflette quella della Grande Figura. La Grande regola, come dice lo "Zohar" (4) dopo Ermete, Platone e Fo-hi, è: "Tutto è uno e non esiste separazione" (5). "Tutte le cose dipendono le une dalle altre e tutte sono legate tra loro affinché si sappia che tutto è uno, e tutto è l'Anziano e niente è separato da lui" (6).
Dio "non è uno" nel senso dell'unità aritmetica, pregiudizio che implica le aporie parmenidiane, ma nel senso in cui esso, in quanto "luce dei Cieli e della Terra" (7), "è la luce dell'essere e non un essere a fianco o al di sopra degli altri esseri" (8). Ciò non distrugge per niente la pluralità dell'essere, ma permette di realizzare il "tawhid" (9) in sé, la reintegrazione o il riassorbimento dei livelli dell'essere o della coscienza nel loro principio. L'unità del mondo in Dio fonda la presenza del divino in ciascuno degli anelli della catena. La struttura esoterica del mondo fornisce così il modello di tutte le catene o le tradizioni, come lascia intendere la Scrittura. "Ciò che vi è di invisibile dopo la creazione del mondo può essere intravisto dall'intelligenza attraverso le opere, il potere eterno e la divinità della coscienza stessa" (10).
Lo sguardo da portarsi sulla Totalità è dunque sinottico e ascendente: il fenomeno non appartiene all'ordine dell'apparenza, del molteplice, del particolare, ma a quello della singolarità in cui il principio si dimostra. Il rango degli esseri rinvia alle tappe della teofania, in cui Dio non può che riflettersi, non alle svalorizzazioni successive di un processo della creazione che terminerebbe a un estremo della sua catena. La comprensione adeguata del particolare implica la considerazione della presenza infinita della sua causa, presa nella storia eterna di tutte le ierofanie. La totalità, potenza dell'Uno, è anche un principio di conoscenza dell'essere.
Il mondo degli esoteristi non ignora la storia, anche se questa non segue i modelli lineari della storia occidentale, preferendo ai tempi delle contraddizioni umane i cicli delle teofanie. Lo stesso vale per tutte quelle concezioni filosofiche della storia le cui sottostrutture non coincidono con quelle delle teogonie (11), soprattutto quando esse ne intraprendono la smitizzazione.
La capacità di rinnovamento del mondo è in rapporto con la duplice relazione che unisce il Creatore alla sua creazione, e ciò in tutte le tradizioni. Il mondo è al tempo stesso il contenitore da cui tutto giunge all'essere e il contenuto, in quanto manifestazione del prototipo universale. Ciò equivale a dire che Dio ha nei confronti della natura un rapporto di coincidenza secondo l'ordine della creazione, e una differenza essenziale quanto a essenza. Il Sufismo situa il nome o gli attributi di Dio (Allah), l'Uno (al Haad), di Verità e di Assoluto (al Havy) al di là dell'intera creazione, in contrapposizione ad altri nomi, quello del Creatore (al Kalik), del Generoso (al Karim), di Colui che vive (al Haijy), del Riconoscente (al Shakin)... che rappresentano gli attributi di Dio secondo la successione ontologica dei livelli della creazione.
La tradizione cabalistica contiene due immagini differenti del Dio non manifestato (Ayin) e del Dio manifestato (En Soph), nell'eccellenza della Sefirot Kether, nella quale ha origine l'Albero del Mondo. Il "Vedanta riconosce un'analoga distinzione tra il Brahman Nirguna (Brahman privo di qualificazioni) e Brahman Saguna (Brahman fornito di qualificazioni). Così l'unità è al tempo stesso principio indifferenziato in quanto tale e principio distintivo per la manifestazione.
La storia del mondo, prima ancora del suo luogo drammatico, conosce una messa in scena. Può capitare però che lo scenario cambi. L'unità del mondo non è ripetizione eterna del testo. La vita stessa che Dio insuffla nel mondo ha origine nel principio di indeterminazione che rigenera l'ontologia. Il senso profondo dei cicli sta nel sancire le nuove alleanze della storia degli dei e della storia degli uomini. "Coloro che sanno che il santo giorno di Brahman finisce solo dopo mille ere, e che la notte abbraccia un uguale intervallo temporale, conoscono veramente il giorno e la notte. Allo spirare di tale notte, Brahman che si era addormentato si risveglia..." (12) Un nuovo ciclo comincia al ritmo scandito dall'espirazione e dall'inspirazione di Brahman.
La storia del mondo ha per metafora quella delle sue respirazioni. La vita degli esseri comincia e finisce allo stesso modo. Quando Brahman inspira, riassorbe la sua creazione; quando espira, la emana. Di 'Lui' non si può neppure dire che sia altrove, ma che il 'qui e ora' dell'essere sono già lavorati dal nuovo che viene, così come si dice che Dio crea un "nuovo cielo e una nuova terra" (13). La storia del mondo è dunque duplice: è uno svolgersi qui (in basso) delle teofanie, ma è soggetta, innanzi tutto, al continuo rinnovamento delle teofanie stesse.
Ma in se stesso, cioè all'interno di queste teofanie, cos'è il mondo degli esoteristi? La profusione delle cosmogonie autorizza a parlare a buon diritto di uno stesso mondo? Anche se esula dai limiti di questo lavoro un confronto tra l'albero sefirotico, la "Teogonia" di Esiodo, le cosmologie dei sufi e degli Indù, resta tuttavia il fatto che queste grandi strutture teogoniche e cosmologiche lasciano intravedere un piano dell'Opera.

La prima constatazione è che il mondo comporta diversi livelli di realtà fisica, psichica, spirituale o divina, nei quali si è sviluppato nel corso di una genesi tanto mentale che fisica. Il mondo appare come la risultante di un processo sempre involutivo, quello della condensazione progressiva di una struttura e di un ordine esistenti in precedenza nel pensiero di Dio. Questo processo ne richiama un secondo, l'evoluzione o ritorno della creatura nel suo principio: è la via delle iniziazioni, ma anche del corso della natura. Quest'ultimo, meno rapido, descrive un'ellisse. Il ritorno non lascia immutato un mondo che si spiritualizza per realizzarlo.
Ogni cosmologia implica, talvolta implicitamente, una teofania, come per esempio quella della "Genesi". E' che se il mondo è un pensiero di Dio, Dio deve innanzi tutto sviluppare il suo pensiero in un linguaggio che articoli i verbi divini della sua potenza. Accade così in "Les chatons de la Sagesse" di Ibn'Arabi, o nello "Zohar" per Rabbi Simeone e Rabbi Eleazar.
Il mondo è dunque in primo luogo l'emanazione di questo pensiero. La prima istanza di questa decisione di essere evoca molto spesso la dimensione piena e sovracondensata del punto: "Quando il misterioso di tutti i misteriosi vuole risvegliarsi, produce innanzi tutto un punto, che diventa il Pensiero divino" (14). Questo punto è qui Kether, la corona della vita della creazione, e il suo riassunto vivente, da cui irradiano i trentadue sentieri, o il lume "origine di tutti i Verbi" (Maamaroth) (15). E' questo il punto iniziale di ogni teofania. "Finché la scintilla divina era chiusa nel palazzo sublime, cioè prima di manifestarsi, non formava alcuna particolarità suscettibile di essere designata come l'essenza divina attraverso un qualsiasi nome." Il tutto non forma che l'Uno, sotto il nome di Rosch. Ma quando Dio creò il palazzo della materia, mediante il seme nascosto (Ascher), "Ascher si delineò nell'essenza divina". Da allora le Scritture possono insegnarci, secondo l'interpretazione di A. Fabre d'Olivet, che "primariamente in principio egli creò Elohim (determinò un'esistenza potenziale. Egli-gli Dei, l'Essere degli esseri), l'ipseità dei cieli e l'ipseità della terra" (16).
Il segno di un plurale-singolare e di un complemento-oggetto che è anche soggetto ('Egli-gli Dei') che precede la prima fase della "Genesi" situa già il passaggio dal virtuale all'atto in una nuova potenzialità (nel principio) ricca di tutti gli sviluppi, il punto. Come tutte le figure si generano dal punto, Dio estrarrà dal punto (Yod) tutte le direzioni dello spazio, e tutte le Sefirot, "il mondo intero è formato in tal modo, a partire dal misterioso punto supremo fino al più infimo grado della creazione, tutto fa da rivestimento a qualche altra cosa..." (17).
Prima di qualsiasi dualismo ontologico, il punto (Bindu) articola nelle cosmologie del Samkhya e del Tantrismo il passaggio dall'indifferenziazione del Parabrahman alla manifestazione polarizzata di Shiva e di Shakti. Il punto rappresenta l'unità indivisibile dello spirito di dualità identificato a "Colui il quale" totale. La non-distinzione tra oggetto e coscienza attiva, caratteristica di questa tappa della cosmologia, corrisponde all'esperienza dell'universo che ha Ishvara come il Signore. L'analogo microcosmico di questa struttura è il Nada Bindu, che evoca la risonanza interiore, mistica che accompagna l'ascesa di Kundalini dalla fronte al sommo della testa (18). Dato che l'unità si riflette nei tre livelli della manifestazione, la pratica dei mantra si sforza di animare il "bija", l'essere o simbolo essenziale della formula pronunciata, della potenza dell'uno che sostiene il cosmo. Così il triplice Bindu riassume la struttura della Maya-Shakti e di ogni manifestazione.
La prima tappa delle cosmogonie rivela delle strutture isomorfe: il punto corrisponde all'uovo del "Codice di Manu" (19), al 'Cielo stellato' della "Teogonia" di Esiodo, nato dall'esatta complementarietà tra Urano e Gea (20). Così nasce nella scrittura e nello "Zohar" il firmamento che separa e al tempo stesso unisce le acque in basso da quelle in alto (21), cioè il cerchio e il punto, proiezione su un piano del triangolo delle tre prime ipostasi (Kether, Hochma, Binah), che preparano la tappa della creazione mediante la divisione operata da quella struttura tra la luce e le materie cosmiche.
Quando l'uovo si divide in due, nel "Codice di Manu", è la fine del primo anno del soggiorno di Brahma: "Egli divise in due quell'uovo. Con i due emisferi, fece il cielo e la terra..." (22) Esistono ormai due tipi di luce nello "Zohar", la luce attiva (Hochma) e la luce passiva (Binah), che sono i due poli dalle due parti dell'asse, o colonna centrale, equilibrata da Kether (23); è stato tracciato un limite tra il cielo superiore degli Hayoth e le acque in basso (24). E' la fine del secondo giorno, Dio non dice che questa è una buona cosa: la dualità è all'origine tanto della manifestazione quanto degli antagonismi. Il terzo giorno vede la creazione della 'terra', dei 'mari', della 'vegetazione' e degli 'alberi fruttiferi' simbolici. Secondo lo "Zohar", si tratta della giustizia e della scienza del bene e del male (25). E' l'opera della madre che riproduce il seme del padre, il popolo degli angeli. Ma si tratta di una terra di un'altra natura, la terra spirituale irrorata dall'alto dei cieli.
Come l'emanazione nella cabala comprende l'opera congiunta delle tre prime Sefirot, così la creazione comprende quella del ternario Hesed, Geburah, Tipheret; la formazione,, attraverso Netzach, Hod e Yesod e l'azione che ne è il risultato: Malkut. Ogni Sefirot, una volta emanata, ha un suo proprio ruolo cosmogonico. E notevole il fatto che Al Farabi, il primo grande filosofo arabo, Avicenna, i Fratelli della Purezza svilupparono concezioni molto simili (26). Il Sufismo in generale distingue tra tre discese di vere realtà. Semnani attribuisce la prima discesa all'Essenza che trascende ogni interpretazione; è infatti necessario, perché noi se ne possa parlare, che lo stesso principio dell'essere discenda a livello dell'essere. E' questa discesa che fa essere l'essere, come Kether. E solo a livello della seconda discesa che noi possiamo concepire che questa Essenza, essendo quello che è, faccia essere gli attributi che le sono immanenti, essenziali tutti, come i principi della creazione lo sono nella saggezza di Hochma. Sono gli attributi della Vita. La terza discesa segna il passaggio dall'essere al fare. E' "la teofania [non] per se stessa ma per gli altri, ed è la Luce, pienezza della sua vita, rivelazione del suo essere" (27). A queste tre sfere ontoteologiche aggiungiamo le sfere del mondo dei simboli, il regno angelico (al Malakut) e la sfera propria alla natura umana (al Nasut); abbiamo così le strutture del cosmo sufi che leggono le corrispondenze tra uomo, Dio e il mondo (28).
Moltiplicando i confronti tra teofanie diverse si giunge a due grandi divisioni, basate sull'ordine della manifestazione, che scompaiono sul piano ontologico: l'unità indifferenziata, assoluta e l'unità come principio dell'essere e delle sue distinzioni. Lo sviluppo di tale unità avviene secondo un ternario divino (29), che altro non è che la polarizzazione equilibrata dell'unità di Dio. Infine lo sviluppo delle potenzialità ammette, dopo il mondo dei principi e in base a simbolismi e a catene numeriche di elementi differenti, il mondo delle leggi o delle energie cosmiche e quello dei fenomeni naturali.
Il punto più significativo in cui tutte le cosmologie interferiscono è che l'uomo si trova a essere al tempo stesso il contemporaneo del mondo e l'archetipo della creazione. Tutte le tradizioni conoscono l'esistenza dell'Uomo Universale, analogo all'aspetto creatore di Dio (30). Quest'uomo conosce i nomi sacri di Dio, la sua genesi è l'eco tanto della struttura del mondo quanto delle teofanie. La sua polarità è quella stessa della dinamica della creazione. E al tempo stesso l'artefice e l'erede del mondo. Lo "Zohar" ci ricorda che gli è promessa la corona della vita, ossia la padronanza dei misteri dell'universo. La genesi del mondo è quella stessa del suo corpo, così come i cieli spirituali e le terre sono gli organi del corpo divino. Una volta di più si verifica la stupefacente profondità dell'autentica chiave del frontespizio di Delfi, che fa vibrare le armonie del Tutto: "Conosci te stesso, e conoscerai l'universo degli dei".
L'antropologia esoterica è la chiave che apre i misteri cosmici e teurgici.

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