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SCHEDA ARTICOLO N. «00130»

CLASSIFICAZIONE: 1
TIPOLOGIA: ESOTERISMO
AUTORE: DIZIONARIO ESOTERICO
TITOLO: MORTE
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TESTO ARTICOLO

MORTE.

"La morte non è un fatto, ma uno stato, differente da quello della vita." (1) E' lo stato della crisalide che precede il volo della farfalla, immagine trasponibile alle iniziazioni che, analoghe agli effetti della morte, liberano l'uomo ancora da vivo dall'impaccio del corpo. La morte è morte al mondo, ma simultanea nascita nell'al di là, che conviene celebrare con un rito o un sacramento, come si fa nel battesimo.
Gli insegnamenti esoterici pongono la morte in un rapporto dialettico con la vita: lo attestano le metafore e le allegorie dello schiudersi, del risveglio, del germe, della rinascita, del sonno, della risalita, della nuova vita. Il discorso sulla morte è dunque una trasposizione linguistica di quello sulle forme di vita. La trasposizione si distingue dalla ripetizione mediante l'esplosione di forme il cui effetto liberatorio genera precisamente l'altra vita, e fa del dolore presunto del defunto quello di un parto di genere diverso. Per entrambe le situazioni, quella del parto e quella di una morte penosa, si parla infatti di 'liberazione'.
Il fondamento della dialettica esoterica della vita e della morte va nondimeno al di là della somiglianza delle immagini, rivelando che il problema della morte, legato a quello della vita, equivale al problema stesso del mondo e dell'uomo. Le cosmogonie e le antropogonie si riferiscono sempre ai miti della caduta (2) che, conferendo al mondo il suo significato attraverso i più diversi racconti simbolici (3), lo associano all'esperienza della sofferenza e della morte.
La morte delimita allora due regioni, due temporalità, il cui dualismo introduce l'idea di un passaggio, con una caduta dovuta a inettitudine, o a seduzione e ad errore, e una risalita, dovuta a un merito, a un sapere, con un'ascesa verso il cielo. La morte è così un punto limite, che in quanto tale non ha spessore, tra due ordini del mondo, l'alto e il basso, l'al di là e il quaggiù, e due progressi, l'involuzione e l'evoluzione, che scandiscono la storia dei mondi.
E' dunque, come dice M. Eliade, "l'esperienza della morte che rende intelligibile l'idea di spirito e di esseri spirituali" (4), perché è l'istanza del superamento perfino del non-senso, della contraddizione interna dell'ordine. In essa si gioca un'altra figura del senso, quella della decomposizione che favorisce la germinazione. La 'fenice' rinasce dalle proprie ceneri, come la pietra filosofale presuppone la "coincidentia oppositorum". Per il ruolo che riveste in seno alle cosmogonie, la morte mette dunque in relazione l'essere caduto o potenziale al potere e alla volontà del verbo che non può esser totalmente assolto dalle disubbidienze o dai limiti delle creature. Per l'antropologia iniziatica la morte resta il modello di qualsiasi itinerario delle risalite e delle redenzioni. In questo senso imparare a morire diviene imparare a morire a se stessi, perfino a ciò che ci ha condannato alla morte, anche se la causa non si colloca totalmente nel nostro libero arbitrio. Trionfando sul serpente cosmico, sulla materia, sul sesso, sulla morte e su Satana, non si fa altro, forse, che appropriarsi della vita dell'"uomo vivente", del "figlio dell'uomo", tuttavia inaccessibile senza la riconciliazione delle due forze antagoniste della manifestazione (5).
Se la morte nasce dall'involuzione necessaria ai piani di Dio, essa indica anche, in senso figurato, quella morte a se stessi che equivale a una resurrezione nell'acqua e nello spirito. Essa è dunque il prototipo di ogni iniziazione, la ragione del tempo passato dall'adepto nella sepoltura della piramide, delle metamorfosi dell'anima in Apuleio, di tutte le mimesi mortuarie tibetane, che altro non sono che rinascita alla nuova vita, o riapparizioni. Essa scaturisce dall'altra parte dello specchio, nell'interiorità della tomba alchemica degli alchimisti. L'anticipazione di una morte analogica è sempre conoscenza di una ri-creazione estatica del Sé. "Tutte queste equivalenze creatrici, questi simboli e queste metafore, generate dall'elevazione del morire a modello esemplare di ogni importante transizione, sottolineano la funzione spirituale della morte, cioè che la morte trasforma l'uomo in spirito, sia esso anima, soffio, corpo eterico o altro ancora. Del resto queste trasformazioni spirituali sono espresse mediante immagini e simboli relativi alla nascita, alla rinascita o alla risurrezione, cioè a una nuova vita, talora anzi investita di poteri in più." (6) Perfino i riti funerari vengono trasformati dalla 'funzione spirituale' della morte in riti di inaugurazione di una nuova vita (7).
Il pensiero esoterico della morte non stabilisce i propri principi su una credenza. Esso è un pensiero della contraddizione, che sancisce l'unità dei due contrari. (8) Tuttavia esso deriva da un pensiero del Tutto, e da un altro tipo di logica rispetto a quella del nostro tipo di sapere, centrato sui principi di identità e di non contraddizione. Ora, la concezione comune della morte pensata come un annientamento proviene da tale tipo di sapere, da una logica, quindi, che fonda sulla ragione, una ragione non dialettica, la mutua esclusione tra la vita e la morte. Questi due processi, di eterogeneizzazione e di omogeneizzazione, sono coniugabili, dal momento che la vita è carica di un potenziale di morte destrutturante, così come non potrebbe esistere un'eterogeneizzazione pura senza una potenziale omogeneizzazione. La vita può essere distruttiva e la morte può essere dotata di una funzione totalizzante. "Ciò permette di intravedere la figura esistenziale della morte; essa abolisce, almeno asintoticamente, la singolarizzazione vitale, ma a profitto di una totalizzazione, di quella totalizzazione di cui il gruppo, faccia a faccia con la vita, non era che un tentativo parziale e contraddittorio..."
Da questo punto di vista la decomposizione propria della morte appare come una composizione, la putrefazione come un'altra vivificazione (9). Un simile pensiero non immobilizza l'opposizione delle contraddizioni, ma apre indefinitamente i sistemi del sapere alla dialettica del potenziale e dell'attuale, dell'omogeneo e dell'eterogeneo, dietro a ogni avvenimento, a ogni processo. Non vietando le riversibilità, una simile logica offre così le basi epistemologiche di una logica della risurrezione e della rinascita.
Essa permette di fondare comunque tutta una fenomenologia della percezione dell'esistenza "post mortem", propria a tutte le visioni dei processi di liberazione dell'anima, dapprima del corpo fisico, dopo la rottura del cordone d'argento, poi dei diversi corpi psichici, in un movimento ascendente evolutivo (10). Analogamente la testimonianza ripetutamente resa da soggetti ritenuti morti riguardo le loro esperienze al limite, in cui in un istante la loro vita è sfilata davanti alla loro coscienza (11), implica, per poterla integrare a una visione globale del processo di disincarnazione, una struttura dell'uomo e del mondo in cui lo psichismo e la materia interferiscono come poli di energia, di cui uno riflette l'altro o è contenuto nell'altro, secondo il doppio processo di attualizzazione fisica del virtuale psichico nell'involuzione e di attualizzazione psichica del virtuale fisico nell'evoluzione.
Nasce così dalle immagini, dalle idee e dalle esperienze relative alla morte tutta una nuova epistemologia della contraddizione, di cui non possono far a meno né la pratica aleatoria di uno spiritismo selvaggio, né un'indagine parapsicologica che voglia procedere a una revisione di categorie logiche che sono inadatte a questo livello di intelligibilità dell'uomo e del mondo.

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