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SCHEDA ARTICOLO N. «00138»

CLASSIFICAZIONE: 1
TIPOLOGIA: ESOTERISMO
AUTORE: DIZIONARIO ESOTERICO
TITOLO: SIMBOLO
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TESTO ARTICOLO

SIMBOLO.

Il simbolo si differenzia dal segno per la relazione interna che stabilisce tra significante e significato. L'arbitrarietà del segno è un controsenso iniziatico: nell'universo esoterico, infatti, tutto costituisce un simbolo. Il Tutto, presente in ciascuna delle sue manifestazioni, fa esplodere i limiti di una logica dell'identità e del principio di non-contraddizione, per restituire la pluralità dei suoi livelli di significati. Il simbolo offre così una varietà polisemica che struttura la ierofania da cui ha origine.
Le funzioni del simbolo sono tre: esso sintetizza una molteplicità e, nello stesso tempo, la offre; infine apre il sistema delle relazioni alla vita stessa del mondo. Esso non ignora la storia, ma evolve ai due livelli della storia creatrice del sacro, delle teogonie della storia delle culture di cui costituisce il nucleo originale, in quanto simbolo ierofanico.
Attraverso il simbolo gli uomini comunicano sul piano sociale, linguistico, logico, affettivo, estetico e religioso. La vita è un linguaggio, questa è la scoperta del secolo. Ma cosa hanno in comune tutti questi linguaggi simbolici, e soprattutto quale rapporto può avere l'ermeneutica esoterica con la psicoanalisi dei simboli della vita inconscia, o con quei simboli della sociologia che sono gli atteggiamenti sociali, dando in tal modo realtà e funzione all'inconscio strutturale? Permette la lingua dei testi sacri un'esegesi che non coincida con la smitizzazione della dimensione sacra del simbolo?
Non si constata forse un'esplosione del discorso, addirittura un conflitto tra ermeneutiche, quando esse nutrono delle pretese epistemologiche egemoniche? Le pretese dell'esoterismo, ancora non completamente fondate sul piano epistemologico, provengono dunque solo dall'ignoranza della loro base mitica?
Ebbene, è proprio quando la si pone sul piano del mito che la questione della possibilità di un'ermeneutica esoterica della cultura nella sua generalità appare risolubile.
Nessuna interpretazione dell'esoterismo ha più come oggetto di studio i miti del suo discorso: i miti sottendono il discorso, perché quest'ultimo è sempre orientato, ossia significante, quindi gli elementi di qualsiasi sistema di segni vanno oltre alla chiusura del sistema, per articolarsi ad altri livelli di espressione, in un'architettura del senso. Il simbolo deriva la sua apertura dalla sua doppia funzione di iscrizione del mito nel mondo, di reintegrazione dell'espresso nell'implicito. In base alla prima funzione esso permette una lettura interna della scienza, dell'affettività, così come di altre manifestazioni della cultura o di altri comportamenti sociali. Il mito lavora alla costituzione del sapere, si trova dietro alle mobilitazioni dell'azione politica, magnetizza la storia personale degli individui. In base alla seconda funzione, permette di esprimere un pronostico circa gli orientamenti di una civiltà.
Una psicoanalisi esoterica approfondita della conoscenza, basata sui simboli dell'immaginario, mostrerebbe i modelli euristici da essi generati. Una critica approfondita del nostro uso sociale del sapere dal diciottesimo secolo in poi permetterebbe di rivelare come la collusione del mito progressista, la cui carta immaginaria è l'"Aufklarung", insieme al dominio prometeico sulla natura, siano all'origine del disincanto dell'Occidente, vittima di miti senz'anima, pertanto portatori di un potere di morte (1).
I simboli sacri costituiscono il nucleo originale del processo culturale stesso, perché il mito diventa indifferentemente scienza, religione o politica. Su questo punto le analisi di M. Eliade, di C.G. Jung, di Dumezil, di G. Durand convergono. L'uomo arcaico per il quale il cosmo è una ierofania simbolica, costante, è in realtà l'uomo tradizionale, le cui operazioni disconosciute conducono oggi alla banalizzazione mortale delle mistificazioni collettiviste, ai progressismi tecnocratici alienanti, alle distorsioni patologiche della personalità non centrata sul Sé. Non si tratta di abbandonarsi al passatismo o alle nostalgie (fossero anche quelle delle origini), ma di illuminare il presente vivente delle nostre civiltà mediante la scienza dei simboli, da una parte cercando di decifrarli, dall'altra abbeverandosi all'"oceano degli Dei", che definiscono "i tipi ideali dell'etos umano" (2). E' utopia allontanarsi dai simboli, fare della smitizzazione di marcia positivista l'ermeneutica della libertà. Al contrario, "qualsiasi abbozzo di rimitizzazione, qualsiasi contatto, anche il più distante, con l'universo degli archetipi e degli Dei, crea "ipso facto" una tonificante demistificazione" (3).
Tanto sul piano epistemologico della nuova antropologia quanto sul piano iniziatico, il momento della riflessione sul simbolo deve essere quello della conversione dello sguardo su sé e sul mondo.
Passate ormai le illusioni prometeiche del dominio cartesiano di una natura fatta per servire lo spirito, ritornano i tempi della riconciliazione con Sé, cioè con gli Altri e con l'Universo, derivata da un cosmo solidale, vivificato dai simboli in tutte le sue manifestazioni. Mediante il simbolo la teofania continua e sacralizza il mondo nella nostra coscienza (4). Ma questo tempo unificatore del simbolo non ha mai disertato la temporalità dell'esperienza umana, soggetta ai cicli evolutivi e non ripetitivi delle mitologie, nel momento stesso in cui crede, dopo il diciannovesimo secolo, di poter spezzare il modello ellittico dell'evoluzione a favore della storia lineare, sintomo della frattura tra significante e significato, tra senso e linguaggio (5), delle nostre culture schizofreniche.

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