Tratto da:
Dalai Lama. La ruota del Dharma.
Il Primo giro della Ruota del Dharma. (secondo gli insegnamenti di S.S.Dalai Lama).
- Le Quattro Nobili Verità -
Secondo la leggenda, raggiunta la piena illuminazione, il Buddha restò in silenzio per quarantanove giorni, senza predicare. Il suo primo insegnamento pubblico fu diretto ai cinque asceti che erano stati suoi compagni quando conduceva vita di mendicante. Avendo compreso che l'ascetismo non porta alla libertà dalla sofferenza, il Buddha - allora chiamato Siddharta Gautama - aveva abbandonato le pratiche ascetiche e si era separato dai cinque compagni.
Offesi per quello che ritenevano un tradimento, essi avevano giurato di non avere più nulla a che fare con lui. Credevano, infatti, che il mutamento di Siddharta indicasse la sua incapacità di perseguire la via dell'ascetismo. Ma, quando lo incontrarono dopo l'Illuminazione, si sentirono spontaneamente attratti verso di lui. Ai cinque antichi compagni il Buddha impartì il primo insegnamento pubblico, nel Parco delle Gazzelle di Sarnath.
In quel discorso, divenuto famoso come primo giro della ruota del Dharma, il Buddha espresse i principi delle Quattro Nobili Verità. Come la maggior parte di voi saprà, queste Quattro Verità sono:
- la Verità della sofferenza, la Verità dell'origine della sofferenza, la Verità della Estinzione della sofferenza, la Verità del Sentiero che conduce alla estinzione della sofferenza.
Secondo il Sutra relativo al primo giro, il Buddha espose le Quattro Nobili Verità sulla base di tre fattori: la natura delle verità stesse, la loro specifica funzione, il loro effetto o completo conseguimento. Il primo fattore riguarda la natura di ogni singola verità. Il secondo spiega la necessità che il praticante comprenda il significato specifico di ciascuna verità - e cioè:
riconoscimento della sofferenza ed eliminazione della sua origine; attuazione dell'estinzione della sofferenza; realizzazione del sentiero che porta all'estinzione.
Nell'ottica del terzo fattore, il Buddha spiegò il risultato ultimo, o completo conseguimento, delle Quattro Nobili Verità - e cioè: completo riconoscimento della sofferenza, completo abbandono dell'origine della sofferenza, completo conseguimento dell'estinzione della sofferenza, completa attuazione della via che porta all'estinzione della sofferenza.
Personalmente reputo l'insegnamento delle Quattro Nobili Verità molto profondo.
Esso espone in sintesi il progetto dell'intero corpus del pensiero e della pratica buddisti, delineando cosi la struttura base del cammino dell'individuo verso l'Illuminazione. Tornerò su questo più avanti. Ciò che desideriamo e cerchiamo è il conseguimento della felicità e l'eliminazione della sofferenza.
Il desiderio di conseguire la felicità e eliminare dolore e sofferenza è innato in ciascuno di noi e non ha bisogno di giustificazione per la sua esistenza e validità. Tuttavia felicità e sofferenza non sorgono dal nulla.
Esse sono conseguenza di cause e condizioni. In breve, la dottrina delle Quattro Verità stabilisce il principio di causalità. Tenendo presente questo punto fondamentale, mi trovo a volte a considerare come tutto il pensiero e la pratica buddisti si possano condensare in due principi: 1) adottare una visione del mondo che percepisca la natura interdipendente dei fenomeni, ossia la natura di origine dipendente di tutte le cose e di tutti gli eventi; 2) su questa base, adottare uno stile di vita non violento e che non rechi danno. Il buddismo sollecita la condotta non violenta sulla base di due semplici e ovvie premesse:
1) in quanto esseri senzienti, nessuno di noi desidera la sofferenza;
2) la sofferenza ha origine da sue determinate cause e condizioni.
Gli insegnamenti buddisti asseriscono inoltre che la causa principale del dolore e della sofferenza sta nella nostra ignoranza e confusione mentale.
Perciò, se non vogliamo la sofferenza, il passo logico da fare è astenersi da azioni negative, le quali conducono naturalmente a conseguenti esperienze di dolore e sofferenza. Dolore e sofferenza da soli non esistono; si verificano come risultato di cause e condizioni. Qui, nella comprensione della natura della sofferenza e del suo rapporto con cause e condizioni, il principio di origine dipendente gioca un ruolo fondamentale.
In sostanza, il principio di origine dipendente asserisce che un effetto dipende dalla sua causa. Dunque, se non volete il risultato, dovreste impegnarvi per eliminare la sua causa. All'interno delle Quattro Verità troviamo in atto due distinti binomi causa - risultato: la sofferenza è il risultato e l'origine della sofferenza è la causa; parimenti, la vera estinzione della sofferenza è pace (risultato) e il sentiero che ad essa conduce è la causa di quella pace. La felicità che cerchiamo - autentica e durevole pace e felicità - si può ottenere solo attraverso la purificazione della mente.
Questo è possibile se eliminiamo la causa principale di ogni sofferenza e infelicità - la nostra fondamentale ignoranza. La libertà dalla sofferenza, la vera estinzione della sofferenza, può prodursi solo dopo che siamo riusciti a smascherare l'illusione creata dalla nostra abituale tendenza a percepire i fenomeni come dotati di esistenza intrinseca e, di conseguenza, abbiamo realizzato la profonda visione intuitiva che penetra la natura definitiva della realtà. Per giungere a questo, tuttavia, l'individuo deve perfezionare i tre addestramenti superiori.
La pratica della Visione Profonda, o saggezza, agisce quale effettivo antidoto all'ignoranza e alle illusioni che da essa derivano. Tuttavia, soltanto quando essa venga unita a una capacità di concentrazione univoca, tutta l'energia e l'attenzione della nostra mente possono essere focalizzare senza distrazione sull'oggetto di meditazione prescelto. Perciò, l'addestramento nella concentrazione superiore è un fattore indispensabile negli stadi avanzati di applicazione della saggezza ottenuta attraverso la profonda visione intuitiva.
Tuttavia, perché la pratica della concentrazione superiore e la pratica della visione profonda superiore siano coronate da successo, il praticante deve innanzi tutto stabilire una solida base di moralità adottando uno stile di vita eticamente valido.
I tre addestramenti superiori.
Come vi sono tre tipi di addestramento superiore nell'etica, nella concentrazione e nella saggezza - così le scritture buddiste si dividono in tre grandi branche: disciplina, serie di discorsi, conoscenza metafisica. Si può affermare che una persona sia un detentore del Buddhadharma quando è in grado di intraprendere un autentico esercizio di queste tre discipline, fondato sullo studio dei tre gruppi di scritture, nonché di trasmettere tale conoscenza ad altri. La necessità di impegnarsi nei tre addestramenti superiori è identica per gli uomini e per le donne. Per quanto concerne l'importanza dello studio e della pratica, non si può fare alcuna distinzione tra i praticanti sulla base del loro sesso. Tuttavia, nelle regole monastiche di disciplina etica vi sono alcune differenze, a seconda del sesso del praticante. Il principale fondamento della pratica della moralità consiste nell'astenersi dalle dieci azioni negative: tre attinenti al corpo, quattro attinenti alla parola, tre attinenti al pensiero.
Le tre non - virtù fisiche sono:
1) uccidere: privare intenzionalmente della vita un essere vivente, sia esso persona o animale, anche se insetto;
2) rubare: impadronirsi di una proprietà altrui senza il consenso dell'altra persona, indipendentemente dal valore di detta proprietà;
3) impropria condotta sessuale: commettere adulterio.
Le quattro non virtù verbali sono:
4) mentire: ingannare gli altri con parole o gesti;
5) disunire: creare discordia, facendo in modo che coloro che sono d'accordo entrino in disaccordo o coloro che sono in disaccordo lo siano ulteriormente;
6) parlare violento: maltrattare gli altri con le parole;
7) fare discorsi vani: parlare di cose futili perché motivati dal desiderio, e così via.
Le tre non - virtù mentali sono:
8) cupidigia: desiderare di possedere qualche cosa che appartiene ad altri;
9) intenzione malevola: desiderare di fare del male ad altri, sia in piccola sia in grande misura;
10) visione errata: sostenere per esempio che la rinascita, la legge di causa e effetto o i Tre Gioielli non esistono.
La moralità praticata da un apprendista spirituale in termini di esplicita adozione di una particolare condotta etica sotto forma di precetti è conosciuta come disciplina della liberazione individuale, o Pratimoksa. Per quanto concerne la natura e l'elenco specifico dei precetti, emersero nell'India antica quattro tradizioni principali, poi suddivise in diciotto sotto scuole.
Ognuna delle quattro tradizioni principali aveva la propria versione del Sutra della liberazione individuale (Pratimoksa Sutra) tradizionale resoconto delle raccomandazioni disciplinari del Buddha, che elenca i precetti etici ed enuncia gli orientamenti fondamentali della vita monastica. Nella tradizione tibetana il sistema monastico e le regole etiche ad esso connesse sono quelli della scuola Mulasarvastivadin.
Secondo il Sutra della Liberazione individuale di questa scuola, scritto in sanscrito, ci sono 253 regole da seguire per il monaco che abbia preso l'ordinazione completa, e 364 per la monaca completamente ordinata. In questo la tradizione tibetana differisce dalla tradizione Theravada, che accetta la versione del Sutra in lingua pali, dove sono elencati 277 precetti per il monaco e 311 per la monaca. La pratica della moralità - impedire alle tre porte (corpo, parola, mente) di indulgere in azioni nocive - ci arma di consapevolezza e coscienziosità. Queste due facoltà ci aiutano a evitare gravi forme di azioni negative fisiche e verbali, che sono distruttive per sé e per gli altri.
Per questo motivo la moralità è il fondamento della via buddhista.
La seconda fase è la meditazione, ossia l'addestramento nella concentrazione superiore. In generale, parlando di meditazione in senso buddhista, distinguiamo due tipi principali: la meditazione concentrativa e la meditazione analitica. La prima si riferisce soprattutto agli stati meditativi della calma dimorante e alle varie pratiche meditative interamente connesse a questo stato.
Le caratteristiche principali di questo tipo di meditazione sono il carattere di univocità della concentrazione e la qualità di assorbimento meditativo che esso genera.
Meditazione analitica, invece, si riferisce a stati che, entrando in contatto con l'oggetto di meditazione, sono principalmente rivolti a esaminare e ad analizzare l'oggetto in questione. Essa comprende anche pratiche non caratterizzate solo dalla concentrazione univoca, ma associate a una analisi più profonda. Tuttavia, in entrambi i casi, è essenziale possedere un solido fondamento di consapevolezza e vigilanza - facoltà che hanno origine, come abbiamo visto, in una salda pratica di disciplina etica. Anche sul piano ordinario, nella vita di ogni giorno, l'importanza della consapevolezza e della vigilanza non dovrebbe essere sottovalutata. Per riassumere: quando ci impegniamo nella pratica della moralità, gettiamo le fondamenta dello sviluppo mentale e spirituale. Quando ci impegniamo nella pratica complementare della concentrazione, rendiamo la mente disponibile e ricettiva a questo scopo più elevato, e la prepariamo alla successiva pratica superiore della visione profonda, o saggezza. Mediante la facoltà della concentrazione univoca, frutto del fissare la mente su un unico oggetto, siamo in grado di incanalare tutta la nostra attenzione e la nostra energia mentale verso un dato oggetto. A questo punto, grazie a uno stato mentale assai stabile, è possibile generare una reale e profonda visione della natura ultima della realtà. Questa penetrante visione intuitiva della non esistenza del sé è l'unico antidoto diretto all'ignoranza, giacché essa sola è in grado di sradicare le nostre fondamentali percezioni errate, ovvero la nostra ignoranza, insieme con i vari stati illusori cognitivi ed emotivi che da essa derivano.
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